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L’esclusione dal partito, in particolare, l’espulsione

CITTADINO, PARTITO E DEMOCRAZIA INTERNA 2.1 Il cittadino davanti al partito: come elettore e come iscritto

2.4 L’esclusione dal partito, in particolare, l’espulsione

La libertà d’associazione politica, che come osservato si sostanzia tra l’altro in un diritto d’iscrizione al partito politico, oltre ad essere una libertà positiva, è anche una libertà negativa; il cittadino è libero di non iscriversi ad alcun partito, o se iscritto, di rinunciare all’adesione170. L’allontanamento del cittadino iscritto al

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Opportunamente la legge spagnola impone tale principio all’articolo 8, comma 1, affermando che i membri dei partiti politici “hanno uguali diritti e doveri”.

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M. Eroli, cit., pp. 75-80.

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“L’iscritto è in ogni momento autorizzato a presentare le proprie dimissioni immediate dal partito” è sancito ad esempio nell’articolo 10, paragrafo 2, secondo periodo, della PartG tedesca.

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partito dal partito medesimo può essere pertanto volontaria, oppure imposta: si parla rispettivamente di dimissioni e di espulsione dal partito. Mentre le dimissioni sono un vero e proprio diritto dell’iscritto, fondato sul presupposto che il cittadino può cambiare la propria opinione politica, non ritenendo più conformi alle proprie convinzioni i valori propugnati dal partito o magari non adeguatamente perseguiti dal medesimo, l’espulsione è solo la più grave delle possibili sanzioni che possono essere comminate dal partito ai suoi aderenti a causa di infrazioni disciplinari, ovvero mancata osservanza di specifici obblighi prescritti nello statuto, nei regolamenti o nel Codice etico, dove previsto. Dimissioni e espulsione sono due modalità di esclusione dal partito, cui va ad affiancata la sospensione dal partito, modalità di esclusione provvisoria che presenta una duplice natura, essendo sia rimessa alla disponibilità dell’iscritto (la c.d. autosospensione171), sia configurabile come una possibile sanzione comminabile dal partito. Ulteriore modalità di esclusione dal partito è la decadenza, che si verifica per il mancato rinnovo dell’adesione o per irregolarità o morosità nel pagamento dei versamenti richiesti per contribuire finanziariamente al partito. Ovviamente, anche la morte dell’associato, nonché lo scioglimento del partito, sono cause di esclusione. Ancora, l’espulsione dal partito non va confusa con l’esclusione dell’individuo dalla partecipazione alla vita del partito disposta immediatamente, mediante rigetto della richiesta di adesione, in quanto in quest’ultima ipotesi, il vincolo associativo non è ancora sorto. È questo il quadro di riferimento che si ricava attraverso un’analisi comparata degli statuti dei partiti, in assenza di qualsiasi specifica normativa in materia. Di tutte queste modalità di esclusione, la più problematica è rappresentata dall’espulsione dal partito, che rappresenta il momento più delicato delle vicende evolutive del rapporto che lega individuo e associazione. Dal punto di vista della sua natura giuridica, l’espulsione può essere considerata una forma di autotutela privata, svolgendo una

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Ad esempio si è autosospeso dal partito Filippo Penati, parlamentare del PD, in quanto coinvolto nell’inchiesta di Monza sulle tangenti nell’area Falck. In seguito Penati è stato sospeso dalla Commissione di Garanzia del PD “sino al completo chiarimento della propria posizione giudiziaria”. Ma i casi di autosospensione sono numerosi, e riguardano esponenti di varie forze politiche.

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funzione analoga alla diffida ad adempiere o alla clausola risolutiva espressa172. In sua assenza, i partiti sarebbero privi di un efficace strumento per tutelare la propria identità, che sarebbe snaturata dalla presenza di soggetti che perseguano finalità differenti rispetto a quelle proprie del partito, o che addirittura le ostacolino. La dottrina prevalente configura l’espulsione come l’extrema ratio delle misure disciplinari, e ciò per due ordini di ragioni: rispettare i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità nella comminazione delle misure disciplinari, al fine di poter sanzionare con l’inefficacia quel provvedimento punitivo che, nel mancato rispetto di questi principi, risulti configurare un abuso di potere; garantire l’inquadramento del partito politico tra le formazioni sociali di cui all’articolo 2 della Costituzione, di modo che, rivestendo il partito un ruolo primario nello sviluppo della personalità dell’individuo, la sua esclusione sarà disposta solo in casi eccezionali. L’individuazione di questi casi eccezionali, in assenza di una qualsiasi legislazione al riguardo, è lasciata all’autonomia statutaria. È necessario guardare agli statuti dei partiti, al fine di individuare le cause di espulsione173 dal partito; esse sono molteplici e mutevoli, ma il più delle volte caratterizzate da una profonda genericità: mancata ottemperanza (talvolta qualificata come grave) delle previsioni dello statuto, dei regolamenti e delle deliberazioni legittimamente adottate dagli organi dell’associazione (Scelta civica, PDL); mancata osservanza del Codice etico, talvolta qualificata come grave (Scelta civica, MPA); svolgimento di attività contrarie agli interessi del partito (Scelta civica); danni, anche morali, arrecati in qualunque modo al partito (Scelta civica); indegnità morale o politica (PDL); grave violazione dei doveri morali e politici che arrechino grave pregiudizio al partito (UDC); grave danno all’immagine del partito (PD); procurato danno di immagine o accusa ingiustificata o calunnia nei confronti di altri iscritti o elettori (PD); indegnità o di ripetuti comportamenti gravemente lesivi della dignità di altri soci o di gravi ragioni che ostacolino o pregiudichino l’attività del Movimento o ne

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M. A. Urcioli, La tutela del singolo nei partiti politici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp.103ss.

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Nello Statuto del PD e nel regolamento sul funzionamento delle Commissioni di Garanzia, sulle procedure e sulle sanzioni che derivano dalla violazione dello Statuto e del Codice etico, la sanzione dell’espulsione è denominata “cancellazione dall’Albo degli elettori e dall’Anagrafe

degli iscritti”. Resta fermo che l’effetto è sostanzialmente quello proprio dell’espulsione, cioè lo

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compromettano la sua immagine politica (Lega Nord). È chiaro che la genericità delle cause indicate negli statuti possa permettere un utilizzo strumentale della sanzione dell’espulsione, per indebolire, intimidire o eliminare le minoranze politiche all’interno del partito174. L’orientamento giurisprudenziale circa la possibilità di una tutela del singolo dinanzi all’arbitrario provvedimento di espulsione è mutato nel corso del tempo. In una prima fase la giurisprudenza aveva sostenuto l’insindacabilità da parte dell’autorità giudiziaria dei provvedimenti di espulsione adottati dai partiti politici, nonostante avesse esteso alle associazioni non riconosciute la disciplina dei rapporti interni prevista per le associazioni riconosciute. Quindi l’orientamento della giurisprudenza era che il giudizio in merito all’eventuale illegittimità del provvedimento di espulsione rientrasse nella competenza esclusiva dell’organo di giustizia interna previsto dallo statuto. Tale orientamento è mutato, pur non senza contrasti, a partire dagli anni Ottanta, ritenendo la giurisprudenza che la tutela giurisdizionale statale debba operare anche all’interno dei partiti, a fini di garanzia dei diritti dei singoli: potendo essere i rapporti interni al partito ricondotti nell’ambito contrattuale, è legittimo applicare gli articoli 23 e 24 del codice civile, rispettivamente dedicati allo “annullamento e sospensione delle deliberazioni” e “recesso ed esclusione

degli associati”. In tal modo la disciplina ricavabile dagli statuti circa l’esclusione

del socio è integrata da queste disposizioni legali, ed anzi dovrebbe essere ad esse conforme. In tal senso è possibile delineare con maggior precisione le dimissioni dell’associato, in quanto equiparabili ai sensi del secondo comma dell’articolo 24 ad un vero e proprio diritto di recesso, esercitabile nel rispetto di specifiche indicazioni temporali (“la dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell’anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima”). La facoltà di recesso ad nutum del singolo

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Senza scomodare il celebre caso della “radiazione” dal PCI di Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli, vicini alle posizioni della rivista “Il Manifesto”, con l'accusa di "frazionismo", si pensi alle numerose espulsioni di esponenti della Lega Nord dal partito, a seguito dello scandalo Belsito che ha coinvolto anche il segretario Umberto Bossi e la sua famiglia, determinando l’elezione a segretario di Roberto Maroni, e la nascita sostanziale di due correnti contrapposte, i “barbari sognanti”, legati a Maroni, ed il “cerchio magico” legato a Bossi. Vari esponenti della corrente bossiana, tra cui lo stesso Bossi, hanno accusato Maroni di volere, mediante le espulsioni, eliminare gli esponenti della corrente avversa, per indebolirla. Dal canto suo, Maroni ha giustificato le espulsioni con la necessità di “far pulizia”, allontanando dal partito soggetti a vario titolo coinvolti nello scandalo Belsito e in scandali analoghi.

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associato può essere esclusa soltanto nel caso in cui lo stesso rinunci all’esercizio di tale facoltà temporaneamente, mai per un periodo di tempo indeterminato, restando, in ogni caso, impregiudicato ed efficace il recesso qualora sussista una giusta causa. Ci si chiede se costituisca esercizio del diritto di recesso il distacco dal partito di interi gruppi di aderenti, i quali solitamente pretendono di appropriarsi del nome e del simbolo del partito, oltre che di una parte del fondo comune. In giurisprudenza è prevalente l’orientamento175

che configura questo fenomeno, detto scissione, come esercizio del diritto di recesso, proprio per impedire che gli scissionisti possano vantare un qualsiasi diritto sul patrimonio del partito, anche qualora siano maggioranza all’interno della sua articolazione. È tuttavia innegabile che esista una differenza sostanziale tra recesso e scissione, non è un caso che ad esempio nella disciplina delle società è dettata per i due istituti una differente disciplina. La scissione infatti può essere dovuta alla modificazione dei principi e programmi che costituivano il presupposto dell’adesione da parte della maggioranza degli iscritti, operazione questa che rende impossibile per la minoranza degli iscritti proseguire la propria adesione al partito. Se a questa vicenda segue la costituzione, da parte degli scissionisti, di un nuovo partito nel quale far “rivivere” l’elemento ideologico che aveva costituito l’oggetto principale dell’adesione al vecchio partito, allora dovrebbe essere consentita, con i dovuti accorgimenti, la divisione proporzionale del fondo comune del partito. Nel silenzio assoluto anche degli statuti, è chiara l’urgenza di una legge che regolamenti non solo il fenomeno della scissione, ma anche quello della fusione dei partiti. Ritornando a quella modalità estrema di esclusione nota come espulsione, rileva il terzo comma dell’articolo 24, per il quale “l’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione”. Circa la compatibilità con le previsioni statutarie, la norma suscita tre problematiche. La prima è data dal fatto che si parla di esclusione del socio deliberata dall’assemblea (dei soci): in pressoché tutti gli statuti tale delibera è invece assunta da un apposito organo di garanzia. L’indicazione letterale non è da intendersi come ostativa all’applicazione della

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Ad esempio si veda la sentenza del Tribunale di Roma del 26 aprile 1991 a proposito della questione sorta a seguito della scissione del PCI.

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previsione, anche nel caso in cui la delibera sia stata adottata dall’organo di garanzia, e questo perché la necessità di perlomeno ostacolare l’abuso del potere di esclusione come strumento utilizzato dalla maggioranza per colpire la minoranza politica interna, richiede che tale potere sia affidato ad un organo tendenzialmente scevro da qualsiasi legame con gli altri organi del partito, specie quelli dell’amministrazione; inoltre si deve tenere conto dell’articolo 36 del codice civile, per cui “l’ordinamento interno” è regolato dagli “accordi degli associati”, che sono liberi di attribuire il potere di esclusione ad un organo diverso dall’assemblea. La seconda problematica è data dal termine legalmente previsto per la presentazione del ricorso da parte dell’associato escluso: sei mesi dal giorno della notificazione della deliberazione. Risulta problematico conciliare questa previsione con le previsioni statutarie che richiedono la preventiva (se non esclusiva) impugnazione della deliberazione di esclusione presso gli organi di giustizia interna. Rinviando la problematica del ruolo degli organi di giustizia interna e del loro rapporto con la giurisdizione statale al Capitolo IV, si può affermare che una soluzione potrebbe essere quella di ritenere che il termine di 6 mesi decorra, nel caso di previo operare degli organi di giustizia interna, dal giorno di notificazione della decisione da parte dell’organo di giustizia interna di ultima (o unica) istanza, o dal giorno di scadenza del termine per impugnare, presso l’organo di giustizia interna di ultima istanza, la deliberazione dell’organo di giustizia interna di prima istanza. La terza problematica è data dal significato dell’espressione “gravi motivi”, e dalla compatibilità delle formule statutarie viste in precedenza con tale espressione. Si può affermare che il controllo del giudice debba essere finalizzato a verificare sia la conformità della norma statutaria legittimante l’esclusione dell’iscritto ai “gravi motivi”, sia a verificare la corretta applicazione della norma statutaria. È evidente che il giudice non potrebbe mai sindacare l’opportunità del provvedimento stesso, ma è altrettanto vero che la genericità delle cause di esclusione (specie di espulsione) statutariamente previste, rendano molto difficile, se non impossibile, per il giudice non entrare nel merito. Resta da chiarire cosa accada qualora, a seguito di ricorso dell’espulso (o più in generale dell’escluso), si sia avuto annullamento della deliberazione da parte del giudice. In tal caso il singolo dovrà ritenersi integrato nell’associazione; questo

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però non impedirebbe comunque al partito di rendere estremamente difficoltosa la partecipazione alla vita del partito del soggetto coattivamente riammesso176. Taluni statuti (Lega Nord, Scelta civica) precisano altresì gli aspetti economici relativi alla cessazione del rapporto, affermando sostanzialmente che per tutte le cause di scioglimento del rapporto associativo limitatamente all’associato, questi o i suoi eredi non hanno diritto ad alcuna liquidazione o rimborso. Alla luce di quanto detto, la disciplina in materia di esclusione dal partito politico, in particolare di espulsione, è alquanto lacunosa, nonché incerta, in quanto lasciata alla discrezionalità, ai limiti dell’arbitrio, dell’autonomia statutaria, ed alla volubilità degli orientamenti giurisprudenziali. Opportunamente in altri ordinamenti si è fatta la scelta di fissare una specifica disciplina, a tutela dell’iscritto, che, quantomeno a titolo comparativo, è opportuno citare. La legislazione tedesca cerca di fissare indicazioni vincolanti circa i presupposti sostanziali e le garanzie procedurali, incorrendo però nelle medesime criticità già osservate nella disciplina statutaria dei partiti italiani. Infatti la PartG tedesca con specifico riferimento all’espulsione sancisce che “un iscritto può essere espulso dal partito solo se ha compiuto dolosamente una violazione dello statuto o ha violato in misura rilevante i principi ispiratori o l’ordinamento interno del partito, arrecando così a quest’ultimo gravi danni”177

. Il paragrafo successivo attribuisce la competenza a deliberare l’espulsione ad un organo imparziale, il Collegio dei probiviri, fissando talune garanzie come l’obbligo del doppio grado di giudizio e della motivazione delle decisioni adottate. La legislazione spagnola in materia invece concentra l’attenzione sulle garanzie procedurali, disponendo che l’espulsione potrà essere comminata “esclusivamente mediante procedimenti in contraddittorio, nei quali sia garantito agli interessati il diritto ad essere informati dei fatti contestati, il diritto ad essere uditi previamente all’adozione delle predette misure, il diritto alla motivazione della decisione con cui si impone una sanzione e il diritto a presentare, eventualmente, ricorso interno”.

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Proprio per questa ragione taluni statuti prevedono specifiche previsioni volte a delineare la posizione all’interno del partito del soggetto, che pur essendo stato espulso, è riammesso al partito, previsioni la cui ratio è quella di penalizzare il socio riammesso anche dopo la reintegrazione. E così ad esempio si prevede (UDC, PDL) che egli non possa esercitare i diritti d’elettorato attivo e passivo, per le cariche interne al partito, per un anno dalla riammissione.

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CAPITOLO 3

PARTITI E SELEZIONE DELLE CANDIDATURE

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