• Non ci sono risultati.

Disciplina sul finanziamento e democrazia interna: l’articolo 5 della l 96/

Nell’esame dell’attuale quadro normativo, è emerso come la pressoché totalità della disciplina legislativa relativa ai partiti ha riguardato il finanziamento dei medesimi o il rimborso delle spese elettorali, esplicitamente escludendosi forme di regolamentazione, ma limitandosi a prevedere controlli sui loro bilanci (tra l’altro formali e di dubbia efficacia). Come accennato nel paragrafo precedente però, il legislatore ha iniziato a mutare approccio con la l. 96/2012, legando il tema del finanziamento pubblico ai partiti alla necessità per i medesimi di adottare standard democratici circa la loro organizzazione interna. E non è neppure un caso che la l. 96/2012 abbia riformato il sistema dei controlli esterni sull’utilizzazione dei finanziamenti, rendendoli maggiormente effettivi ed efficaci: come osservato in dottrina111 “è evidente […] il collegamento tra la mancata regolamentazione giuridica dei partiti (che ha alle sue radici il dettato dell’art. 49 Cost. e il rifiuto di immaginare forme di sindacato esterno sulla vita dei partiti) e un certo tipo di legislazione sul finanziamento degli stessi, caratterizzata, come detto, dalla pratica assenza di controlli sull’utilizzazione dei finanziamenti e, a monte, dall’omessa indicazione di ogni indicazione circa il loro impiego”. Se i partiti, volenti o nolenti, si sono mostrati disponibili all’introduzione di controlli efficaci ed effettivi sulla gestione delle risorse finanziarie loro erogate, ugualmente questa disponibilità, in virtù della connessione precedente, deve esserci anche circa una

110

Attualmente il disegno di legge, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati, è

all’esame del Senato della Repubblica. Cfr.

http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede_v3/Ddliter/42299.htm

111

36

disciplina che li regolamenti; non a caso nello stesso periodo di discussione e approvazione della l. 96/2012 si esaminavano una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare in tema di disciplina dei partiti politici112. Puntualizzato ciò, esaminiamo la disciplina; rileva in tal senso l’articolo 5, intitolato “Atti costitutivi e statuti dei partiti e dei movimenti politici”, ai sensi del quale: “1. I

partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, qualora abbiano diritto ai rimborsi per le spese elettorali o ai contributi di cui alla presente legge, sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto, che sono trasmessi in copia al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati entro quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. L’atto costitutivo e lo statuto sono redatti nella forma dell’atto pubblico e indicano in ogni caso l’organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio e l’organo responsabile per la gestione economico-finanziaria. Lo statuto deve essere conformato a princìpi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti. 2. I partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, che non trasmettano al Presidente del Senato della Repubblica o al Presidente della Camera dei deputati gli atti di cui al comma 1, nel termine ivi previsto, decadono dal diritto ai rimborsi per le spese elettorali e alla quota di cofinanziamento ad essi eventualmente spettante.” La norma pone uno specifico

obbligo in capo ai partiti, o più in generale, forze politiche, ossia l’obbligo di adottare un atto costitutivo ed uno Statuto, in forma pubblica e con l’indicazione in ogni caso dell'organo competente per l'approvazione del rendiconto di esercizio e responsabile per la gestione economico-finanziaria. Non è però un obbligo posto in capo di per sé ai partiti, movimenti politici, o liste di candidati, capace di condizionare la loro stessa esistenza o partecipazione alle elezioni; semplicemente rappresenta un presupposto per conseguire il finanziamento pubblico. Più precisamente, l’adempimento del deposito dello Statuto e dell’atto costitutivo

112

L’arresto della discussione e la mancata adozione della legge è da imputarsi al venir meno della coesione tra le forze politiche che sostenevano il Governo Monti: il 6 dicembre il PDL lasciò la maggioranza, il 13 dicembre la prima Commissione della Camera interruppe l’esame del provvedimento.

37

rappresenta non già un requisito di accesso al contributo, ma una condizione ostativa alla decadenza da quel contributo; in altri termini, il mancato adempimento nei termini comporta la mancata corresponsione del finanziamento. E’ un modo per incentivare i partiti ad adottare uno Statuto, e quindi un’organizzazione interna, avente certe caratteristiche, piuttosto efficace in un sistema, quale quello italiano, in cui per lo svolgimento delle loro attività e per la loro struttura, i partiti richiedono ingenti somme, che non sarebbero capaci di procacciarsi presso i privati o gli iscritti con altrettanta facilità. E’ una soluzione “a basso impatto coattivo”: il legislatore ha voluto evitare di condizionare eccessivamente con tale obbligo la struttura del partito politico, configurandolo come presupposto necessario per la sua esistenza o per la sua partecipazione alle elezioni, ma ha comunque voluto introdurre un disincentivo forte alla mancata adesione all’indicazione legislativa. La previsione legislativa fissa uno specifico contenuto per lo statuto da depositarsi: “Lo statuto deve essere conformato a

princìpi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti.” Questa

indicazione rileva come l’articolo 5 sia espressione della volontà di attuare l’articolo 49 della Costituzione, nella sua declinazione di previsione che richiede di garantire il “metodo democratico” nell’ordinamento interno dei partiti. Ora, sebbene il legislatore ordinario non abbia utilizzato l’ambigua espressione “metodo democratico”, comunque la norma sembra “dire troppo o troppo poco”113

. Infatti nel resto della legge non è fornita alcuna disciplina volta a

specificare i “principi democratici nella vita interna”; l’indicazione è priva di effettivi contenuti, e richiede chiaramente un “ordito normativo ampio e

complesso”114

, ovvero una disciplina che regolamenti con un sufficiente grado di

dettaglio la vita interna del partito, in particolare la scelta dei candidati, il rispetto delle minoranze e i diritti degli iscritti. Opportune in tal senso sono le riflessioni svolte al riguardo dal Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali (i c.d. saggi), istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica, che sembra opportuno

113

Servizio studi del Senato, “Finanziamento dei partiti: Note sul disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati”, A.S. n° 3321, p. 45.

114

38

riportare per intero115: “Statuto dei partiti politici. La Costituzione definisce il partito come una associazione di cittadini che si impegnano con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art.49). Con il tempo questo carattere di libera e nobile associazione politica si è affievolito tanto nella realtà quanto, e molto di più, nella percezione dell’opinione pubblica. L’insoddisfazione per le prestazioni del sistema politico si è indirizzata, come in tutti i periodi di crisi, principalmente contro i partiti. La rilegittimazione dei partiti politici come strumento a disposizione di tutti i cittadini per partecipare alla vita politica del Paese passa attraverso un loro rinnovato orientamento verso il bene comune e la responsabilità nazionale, ma decisiva è la determinazione dei caratteri minimi degli statuti che possano rassicurare il cittadino in ordine alla struttura e alle finalità di ciascuno. Tale esigenza ha trovato concretizzazione nella legge 96/2012 sul finanziamento dei partiti […] che all’art. 5 impone, al fine di ottenere la quota di finanziamento loro spettante, di trasmettere ai presidenti delle Camere tanto l’atto costitutivo quanto lo statuto “conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti”. E’ opinione del Gruppo di Lavoro che tale previsione sia troppo generica e rischi di dar luogo ad incertezze e contenziosi. Pertanto, appare opportuno proporre che ogni statuto preveda, per rispondere ai requisiti di democraticità richiesti dalla Costituzione: a) gli organi dirigenti elettivi; b) le procedure deliberative che prevedano adeguata interazione tra iscritti e dirigenti nella formazione degli indirizzi politici; c) gli organi di garanzia e di giustizia interni; d) la istituzione dell’anagrafe degli iscritti e le condizioni per l’accesso, che dovrebbe essere garantito a tutti gli iscritti; e) l’equilibrio di genere negli organi collegiali e nella formazione delle candidature; f) le garanzie per le minoranze; g) le procedure per modificare statuto, nome e simbolo del partito.” In assenza di una normativa che regolamenti questi contenuti, l’indicazione dei “principi democratici nella vita interna” è totalmente inutile, non può essere utilizzata come parametro di controllo della regolarità formale degli statuti dai Presidenti di Camera e Senato. Dal punto di vista della politica del diritto, il vincolo della democraticità interna quale presupposto per non decadere dalla

115

M. Mauro, V, Onida, G. Quagliarello, L. Violante, in “Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali”, www.quirinale.it., 2013, p. 6

39

pubblica contribuzione non garantisce necessariamente che partecipino alla competizione elettorale, ed addirittura la vincano, o comunque ottengano notevoli risultati, forze politiche non organizzate su base democratica. Ad esempio, Beppe Grillo, in qualità di garante del MoVimento 5 Stelle, ha dichiarato di rinunciare a qualsiasi finanziamento pubblico, e la lista del M5S è stata la seconda lista più votata alle elezioni politiche del 2013.

1.6 La natura giuridica del partito e l’attuale quadro delle fonti

Come osservato, la storia dell’attuazione dell’articolo 49 è stata fondamentalmente una vicenda di mancata attuazione di una previsione costituzionale, o, forse più correttamente, di attuazione “extralegale” della previsione costituzionale: fermo restando che l’articolo 49 non enuncia espressamente la necessità per il legislatore di adottare una legge regolativa del fenomeno partitico, come già osservato, la volontà dei costituenti, prima, e del legislatore ordinario, poi, è stata quella di riservare all’autonomia degli stessi partiti politici la loro disciplina, e l’attuazione del “metodo democratico”. Ciò ha fatto sorgere un problema di non facile soluzione, ossia quello della determinazione dell’esatta natura giuridica dei partiti politici. Sicuramente sono da rigettarsi le concezioni “organiche” che li qualificavano come organi o poteri dello Stato apparato, o come suoi “enti ausiliari”116

, in quanto il legislatore ha chiaramente col suo omesso intervento regolatore optato per una configurazione “privatistica”, sul presupposto che una disciplina dello Stato che penetrasse a regolare l’istituzione partito, implicherebbe un suo riconoscimento in qualità di “ente come ordinamento giuridico subordinato”117

. Da un punto di vista formale, i partiti politici sono pertanto “associazioni non riconosciute”, ed in quanto tali disciplinate dal codice civile. Trattasi di un regime giuridico che garantisce massimamente l’autonomia dei partiti, rendendoli non sottoponibili a forme di

116

Tesi sostenute tra il anni ’40 e ’50 da G. D. Ferri, P. Virga e S. Romano; per la critica a queste tesi, cfr. P. Ridola, Partiti politici, cit., pp. 121-124.

117

Questa tesi si fonda su un presupposto ideologico volto a risolvere per intero l’ordinamento statale nell’apparato autoritario. La precedenze esperienza del regime fascista potrebbe perciò aver indirettamente influito sul modo di concepire la natura e lo statuto dei partiti nella Repubblica.

40

controllo esterno, specie da parte della magistratura118. Tale configurazione è stata confermata indirettamente da alcune leggi119, in quanto esse hanno escluso l’applicazione ai partiti della disciplina prevista per particolari forme di associazione. La legge non impedisce peraltro che i partiti possano chiedere e ottenere il riconoscimento della personalità giuridica (ma nessun partito l’ha mai chiesta sinora). Si pone pertanto la questione su quale sia l’attuale quadro delle fonti, cui guardare per ricavare la disciplina sui partiti, in particolare sui rapporti tra singolo iscritto e partito politico, sull’organizzazione interna, e sullo svolgimento di talune rilevanti attività, quali la selezione delle candidature. In primo luogo, la disciplina codicistica dettata per le associazioni non riconosciute, e cioè gli articoli 36 – 38 del codice civile: quindi i partiti possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali è conferita la presidenza o la direzione; i contributi ed i benefici costituiscono il fondo comune dell’associazione; i terzi possono far valere i loro diritti nei confronti del fondo comune, e delle obbligazioni rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Qualora per ipotesi un partito chiedesse ed ottenesse la personalità giuridica, gli si applicherebbe altresì la disciplina degli articoli 14 – 35 del codice civile; peraltro la giurisprudenza ormai ritiene che anche talune di tali norme siano applicabili ai partiti, a prescindere dal riconoscimento dell’associazione120. Alla luce di questa disciplina, l’ordinamento interno è regolato dagli accordi tra gli associati: quindi i partiti devono avere un

atto costitutivo e uno Statuto, nel quale sono disciplinate le modalità di adesione

al partito e di espulsione, i diritti e i doveri dei soci, nonché l’organizzazione e la vita del partito. Lo statuto giuridico dei partiti politici è quindi disorganico e frammentato: oltre le norme di diritto comune in tema di associazioni non riconosciute, rilevano specifiche discipline, dirette ed indirette, che affrontano singoli aspetti (ad esempio relativamente ai controlli esterni nelle leggi sul

118

In realtà ciò non è propriamente vero, vi sono dei casi di interventi giudiziari a tutela degli iscritti e di controversie sorte all’interno dei partiti. In particolare, a seguito delle vicende che hanno portato alla fine dei partiti della prima Repubblica e al sorgere di nuovi partiti, sono stati frequenti i ricorsi al giudice per la spettanza dei simboli, dei nomi e dei beni materiali dei partiti estinti (ad esempio come è accaduto per la scissione all’interno del PPI tra la componente di Rocco Buttiglione e quella di Gerardo Bianco).

119

Ad esempio l’articolo 2, comma 2, della l. 383/2000, sulle associazioni di promozione sociale, e l’articolo 10, comma 10, del d. lgs. 460/1997 sulle Onlus.

120

41

finanziamento pubblico, già richiamate, o nel d. lgs. 235/2012, circa la materia dell’incandidabilità, che ha un impatto sulla selezione delle candidature). Quanto agli aspetti organizzativi o funzionali, essendo stati derubricati ad affari interni ai partiti, trovano la propria disciplina negli statuti dei partiti; si tenga però presente che vi può essere (e spesso accade) un profondo iato tra la disciplina statutaria e la prassi associativa, al punto da rendere le previsioni statutarie talvolta del tutto disapplicate. Questo però non vuol dire che lo statuto perda il valore di fonte, quantomeno perché inevitabilmente ispira i comportamenti dei suoi consociati; inoltre, esso non costituisce una semplice rassegna di norme burocratiche, ma risulta essere intrinsecamente ed intimamente impregnato dei valori e principi stessi del partito cui appartiene121, costituendo in un certo qual modo il “documento d’identità” del partito politico. Questo è l’impianto normativo cui si farà riferimento nell’esame della disciplina dei partiti ed in particolare del modo di atteggiarsi della democrazia al loro interno122. Si può pertanto affermare che la forma d’associazione partitica, pur vivendo in un rapporto osmotico con il diritto pubblico, dal punto di vista giuridico appartiene al mondo del diritto privato, e deve sottostare alle sue regole123. Sembrerebbe che questo non sia un regime giuridico soddisfacente, e già nei primi anni di operatività della Costituzione c’era chi, in dottrina (Esposito, Crisafulli) riteneva fosse necessaria una disciplina sui partiti più penetrante e specifica, che presupponesse l’assunzione da parte dei medesimi della personalità giuridica. E forse non a torto, alla luce di quanto emerso in questo Capitolo, si può condividere il pensiero di Costantino Mortati, che parlava dei partiti come soggetti privati esercenti funzioni pubbliche (si pensi alla selezione delle candidature). Pertanto, è condivisibile l’indirizzo di pensiero per cui la natura giuridica del partito politico, “prescindendo dalle categorie

121

M. Melillo, I rapporti centro-periferia nell’organizzazione dei partiti politici, in Partiti politici

e democrazia, cit., p.62.

122

In particolare, al fine di osservare la concreta disciplina dei singoli istituti nel nostro

ordinamento (iscrizione al partito, espulsione al partito, disciplina degli organi interni, selezione delle candidature etc..) si farà riferimento in una prospettiva comparatistica alle previsioni degli statuti di Partito democratico, Popolo delle Libertà, Italia dei valori, Movimento per le autonomie, Unione di centro, Scelta civica, Lega Nord, Futuro e Libertà, Sinistra Ecologia e Libertà, e agli statuti della Democrazia cristiana del 1983 e del Partito comunista italiano del 1972. La peculiare organizzazione del M5S ne richiede un esame a parte, che sarà svolto, insieme ad un’analisi approfondita degli statuti di PD e PDL, nel Capitolo V.

123

S. Clinca, L’iscrizione ai partiti politici, diritti e doveri degli iscritti, l’esclusione dal partito, in E. Rossi – L. Gori (a cura di), Partiti politici e democrazia, cit., p. 35.

42

tradizionali del diritto privato e dell’incorporazione nell’apparato statale, sarebbe la risultante della compenetrazione fra uno status di libertà e di eguaglianza dei partiti con uno spiccatamente pubblicistico”124. Il che potrebbe legittimare un intervento regolativo da parte dello Stato, pur rispettoso dei margini di autonomia privatistica propri dell’associazione di cittadini chiamata partito, senza dover necessariamente imporre l’acquisizione della personalità giuridica. Espressione di questa impostazione sembrerebbe essere l’articolo 2 del testo unificato adottato dalla I Commissione della Camera dei deputati il 9 maggio 2012 sulla disciplina dei partiti politici, che definisce i partiti politici come “libere associazioni di

cittadini che concorrono a determinare la politica nazionale”, elencando

successivamente talune delle attività che realizzano tale concorso, quali la contribuzione alla formazione della volontà politica dei cittadini, la promozione e l’approfondimento della cultura politica, l’organizzazione della partecipazione dei cittadini alla vita politica, la formazione dei cittadini in grado di assumere responsabilità pubbliche, la partecipazione alle elezioni mediante la presentazione dei candidati. La previsione non equipara esattamente il regime di partiti italiani a quello previsto in altre esperienze ordinamentali125, non prevedendo espressamente né alcuna registrazione né l’acquisizione della personalità giuridica, ma ciò si può valutare anche alla luce del fatto che tra le persone giuridiche-associazioni e le associazioni non riconosciute esistono nel nostro ordinamento tratti normativi distintivi sempre minori126.

124

K. Hesse, Die verfassungsrechtliche Stellung der politischen Partein im modernen Staat,in

VVdt.St., Heft 17, de Gruyter, Berlin, 1959, p. 45.

125

La registrazione del partito e l’acquisizione della personalità giuridica sono previsti ad esempio in Gran Bretagna, Austria, Germania, Portogallo, Spagna. Interessante il caso greco, dove i partiti non sono considerati persone giuridiche ai sensi del codice civile, sono invece ritenuti “associazioni di persone di diversa natura” che possono ugualmente godere dei diritti o assumere gli obblighi necessari allo svolgimento delle loro funzioni costituzionalmente riconosciute.

126

In particolare, fermo restando che il riconoscimento non è nel nostro ordinamento elemento di attribuzione della soggettività giuridica, la principale differenza è data dal fatto che il regime dell’associazione riconosciuta comporterebbe l’irresponsabilità patrimoniale degli associati per l’adempimento delle obbligazioni contratte per conto dell’associazione, facendo godere il partito che eventualmente lo adottasse di un’autonomia patrimoniale perfetta.

43

CAPITOLO 2

CITTADINO, PARTITO E DEMOCRAZIA INTERNA

Outline

Documenti correlati