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La selezione delle candidature nell’esperienza italiana e l’influenza della legge elettorale

PARTITI E SELEZIONE DELLE CANDIDATURE 3.1 Il cittadino come candidato e la selezione delle candidature

3.2 La selezione delle candidature nell’esperienza italiana e l’influenza della legge elettorale

La difficoltà di analisi e valutazione del sistema delle candidature denunciata a conclusione del paragrafo precedente risulta essere quanto mai vera e presente guardando all’esperienza italiana, a causa della particolare disciplina che presenta il nostro ordinamento circa il regime dei partiti politici, dei sistemi elettorali che si sono succeduti nel tempo, e di quell’unicum di carattere storico rappresentato dal totale disgregarsi del sistema partitico italiano tra il 1992 ed il 1994, sostituito da un sistema che per numerosi versi presenta notevoli caratteri distintivi. Bisogna chiarire se si è avuta una rottura col precedente sistema partitico anche dal punto di vista delle modalità di selezione delle candidature, che soprattutto in Italia costituisce il “giardino segreto della politica”196. Ad una prima osservazione, la realtà italiana circa questa tematica si inserisce appieno nel contesto europeo, essendo in Europa il processo di selezione interamente nelle mani dei partiti, variando solo rispetto agli attori, alle procedure e ai luoghi di decisione. In Italia, in particolare, complice l’atteggiamento “non interventista” dello Stato relativamente alla disciplina sui partiti politici, almeno fino alla data del passaggio cruciale che deve essere collocata tra il 1992 ed il 1994, la selezione delle candidature si è configurata come un campo nel quale le formazioni politiche hanno esercitato un potere quasi monopolistico, che è stato fatto oggetto di severe critiche. In dottrina si è osservato come la rigida azione di filtro svolta sulla selezione della candidature rischiava (e rischia) di compromettere la genuinità di una delle procedure più rilevanti per il funzionamento della democrazia rappresentativa, consegnandone il controllo ad apparati di partito e alle relative pratiche di cooptazione197. Questo quasi monopolio partitico andava a sommarsi ad una legge elettorale proporzionale con voto di preferenza multipla, determinando questi effetti: i sistemi di selezione tendenzialmente adottati dai partiti della c.d. prima Repubblica legavano l’elezione ad un sistema di clientela necessario ad ottenere appoggio all’interno del partito ed il voto di preferenza alle elezioni. Un sistema questo, che per mantenersi richiedeva cospicue risorse

196

M. Gallagher e M. Marsh (a cura di), Candidate Selection in Comparative Perspective: The

Secret Garden of Politics, London, Sage, 1988.

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economiche (da qui il ricorso al finanziamento occulto) e la capacità di generare consenso tramite scelte politiche ed amministrative accondiscendenti con gli interessi dei propri sostenitori. Senza tralasciare che un simile sistema di selezione comportava un’estrema conflittualità interna ai partiti: i candidati in cerca di preferenze si rivolgevano usualmente all’elettorato più consolidato della propria area, aprendo faide feroci con il proprio compagno “lista” e sclerotizzando così la vita interna del partito198. Tuttavia il voto di preferenza non è stato soltanto un veicolo di corruzione e lotta tra le correnti: a seconda dei partiti, tale voto serviva a selezionare fra le candidature al Parlamento e a promuovere chi dimostrasse di sapere effettivamente conquistare voti. Ciò fu vero in particolare per i candidati della DC e, per un non breve periodo, del PSI199. Osserviamo pertanto, con particolare riferimento alla prassi effettiva, le modalità di selezione delle candidature per le elezioni del Parlamento nei due principali partiti della c.d. prima Repubblica, PCI e DC. Circa la selezione delle candidature, lo Statuto del PCI affermava: “Ogni organizzazione di partito esistente nella circoscrizione o collegio elettorale per l’elezione di deputati o senatori, può proporre candidature. I Comitati federali scelgono tra le proposte fatte, sentiti i comitati regionali, e designano assieme alle Commissioni federali di controllo i candidati per la provincia. I comitati regionali coordinano la composizione delle liste per le varie circoscrizioni della Regione, le approvano e le presentano per la ratifica al Comitato centrale e alla Commissione centrale di controllo.” Come si ricava facilmente, al di là del (limitato) coinvolgimento degli apparati locali, il PCI presentava un selectorate esclusivo e centralizzato, spettando l’ultima (e definitiva) parola sulle candidature al Comitato centrale, con la supervisione della Commissione centrale di controllo. Nella prassi, come ricostruito dalla dottrina200 il PCI aveva un reclutamento che, in linea di massima poteva essere al 75 per cento accentrato, cioè deciso dal vertice, e al 25 per cento affidato alle varie zone dove potevano emergere dei candidati naturali, per presenza, attività, prestigio, rappresentatività, i quali poi avevano la possibilità di conquistare cariche nelle

198

E. Rossi – L. Gori, cit., p. 12.

199

G. Pasquino, I partiti e la formazione della classe dirigente parlamentare, in La democrazia dei

partiti e la democrazia nei partiti, cit., p. 68.

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varie amministrazioni locali e, in seguito, di procedere nella carriera fino ad entrare in Parlamento, normalmente per effettuare due mandati. Il PCI è stato il partito italiano che ha effettivamente, deliberatamente e consapevolmente proceduto alla selezione della sua classe dirigente parlamentare, e questo perché le strutture del PCI erano in grado di decidere l’elezione dei loro candidati. Ciò è stato possibile tramite il voto di preferenza, che ha consentito esercizi finissimi di controllo, non del voto in quanto tale, ma dell’incanalamento delle preferenze sulle candidature che si era deciso di promuovere in qualche modo in quanto completavano il profilo che il PCI voleva presentare, non tanto al suo elettorato, quanto all’opinione pubblica. In pratica, a tutti gli iscritti e ai loro parenti era consegnata una schedina con tre o quattro nomi di candidature che sarebbero stati disciplinatamente votati, e il controllo dell’osservanza di tale “indicazione” era consentito dalla bassa percentuale di voti di preferenza che tradizionalmente erano espressi dall’elettorato comunista. Pertanto, nel PCI il sistema elettorale proporzionale con voto di preferenza multipla non ha operato, come accadeva in altri partiti, come una sorta di “elezione primaria” tra più candidati del medesimo partito, e perciò assumeva un ruolo decisivo il procedimento di selezione delle candidature. Il potere di proposizione delle candidature come visto era attribuito alle organizzazioni di partito a livello locale, i cui dirigenti determinavano la rosa dei candidati da proporre per la nomination attraverso consultazioni della base degli iscritti. Gli iscritti quindi erano coinvolti nel processo di selezione delle candidature, ma il procedimento di consultazione non era dotato di solide garanzie democratiche: infatti esse avvenivano su liste preconfezionate, e venivano debitamente manipolate, al fine di individuare le persone giuste in base in parte agli imperativi della rappresentanza (ad esempio un partito della classe operaia non poteva non candidare un operaio) e in parte all’esistenza di un apparato burocratico (chi aveva lavorato a lungo e con impegno per il partito, andava premiato). Esaminato il selectorate, quanto ai candidabili, essi potevano anche essere non iscritti al PCI: si pensi ai deputati ed i senatori che pur eletti nelle liste del PCI, per provenienza e idee erano esterni alla struttura del partito, provenendo dal mondo cattolico o laico/azionista o dalla società civile e dello spettacolo201. I

201

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percorsi di reclutamento, selezione e promozione della DC furono molto diversi. La DC è stata un efficace esempio di partito di correnti, un esempio molto positivo di “oligarchie competitive”202. Ciò era possibile grazie al sistema elettorale di tipo proporzionale con voto di preferenza multipla: la competizione tra correnti avveniva infatti sul piano elettorale, funzionando l’espressione delle preferenze come una sorta di “elezione primaria” tra i vari candidati della DC; erano proprio la rappresentanza proporzionale ed il voto di preferenza che consentivano di valutare con grande efficacia: la capacità delle correnti di intessere rapporti con una pluralità di gruppi ed associazioni il cui consenso e i cui contributi, anche finanziari, erano essenziali per il potere del partito (e soprattutto delle singole correnti); l’abilità dei singoli candidati al Parlamento di trovare il maggior numero di preferenze. Pertanto, le candidature (e ricandidature) dipendevano in larghissima misura dalla capacità del singolo parlamentare, talvolta associato in cordate correntizie, di riuscire a conquistare voti di preferenza. Quanto detto per la DC, valeva tendenzialmente anche il PSI203. Il sistema di selezione di due delle principali formazioni politiche nazionali conteneva pertanto in sé i presupposti che lo avrebbero fatto degenerare: la ricerca dei voti di preferenza divenne spasmodica, a causa dei conflitti interni tra correnti; per essere eletti occorrevano moltissimi voti di preferenza, e questo fece levitare il costo delle campagne elettorali, determinando la necessità di finanziarsi in qualunque modo, anche ricorrendo a finanziamenti occulti o illegali. I candidati di opinione, cioè quelli che hanno un fascino perché hanno specifiche conoscenze e capacità, ma che non sono in grado di mobilitare l’elettorato e raccogliere voti di preferenza, sparirono, soppiantati da politicanti privi di specifiche capacità che non fossero la fedeltà ad un capocorrente e l’abilità nel raccogliere le preferenze (spesso e volentieri con metodi clientelari), cosa che determinò un degrado morale e professionale della classe dirigente e parlamentare. In definitiva, la cattiva modalità di selezione delle candidature fu una delle concause che fece implodere

e al Senato e una propria struttura ufficiale autonoma, a fianco di quella del PCI, costituendo la c.d. Sinistra Indipendente.

202

G. Pasquino, cit., p. 71.

203

Ad esempio, nel PSI molto del reclutamento dipendeva dalla forza delle correnti di appartenenza, le quali sostanzialmente decidevano le candidature, ed orientavano l’attribuzione dei voti di preferenza, e ciò non cambiò neppure quando Craxi tentò una qualche centralizzazione delle procedure di selezione dei parlamentari.

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il sistema partitico della c.d. prima Repubblica, e non fu un caso che ebbe successo la campagna d’opinione che portò all’abbandono del sistema delle preferenze e all’adozione di leggi elettorali di stampo maggioritario, a livello locale e nazionale, come espressione del profondo e diffuso rifiuto delle modalità di selezione delle candidature affermatosi nei primi cinquanta anni di Repubblica. È opportuno chiedersi se dall’angolo visuale della selezione delle candidature, con l’adozione di nuove leggi elettorali e l’emersione di nuovi partiti politici, vi sia stata una rottura col passato, all’insegna di una maggiore democraticità nella selezione delle candidature. In realtà l’introduzione per le elezioni politiche di un sistema elettorale misto (maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari unito per il rimanente 25% dei seggi assegnati al recupero proporzionale dei più votati non eletti per il Senato attraverso un meccanismo di calcolo denominato "scorporo" e al proporzionale con liste bloccate e sbarramento del 4% alla Camera) anziché indebolire ha rafforzato il controllo dei partiti sulla fase di presentazione delle candidature. Ciò è stato dovuto in primis dalla presenza delle “liste bloccate” per la quota di proporzionale, cosa che ha comportato che spettasse solo ed esclusivamente ai partiti stabilire chi inserire in lista e con quale ordine; in secondo luogo, con riferimento al sistema della candidatura uninominale in collegi, l’introduzione dell’obbligo di sottoscrizione delle candidature da parte di un certo numero di elettori ha ostacolato la possibilità di candidarsi degli indipendenti, di chi non ha un partito alle spalle, mentre chi ha l’appoggio di un partito può servirsi della sua capacità organizzativa, cosa che fa sì che i partiti avessero il reale dominio delle operazioni di candidatura anche nei collegi uninominali. Infine, è vero che un sistema maggioritario fondato sul collegio uninominale si connota per un voto alla “persona”, anziché al “partito”, non essendoci mai (o quasi) l’interposizione delle liste di partito, e quindi i votanti vedono davanti a sé persone con tanto di nome e cognome. Ma questa “visibilità” del candidato non significa di per sé che la persona sia più importante del partito, dato che ciò accade tendenzialmente solo nei c.d. collegi insicuri, mentre nei collegi sicuri, in cui un dato partito fruisce di una maggioranza comoda, tale partito non è più costretto a trovare un “buon candidato”, atto a vincere, e si potrà permettere di presentare i propri interni. Ed è

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esattamente quello che è accaduto nella vigenza del c.d. Mattarellum. Quindi, il passaggio ad un sistema prevalentemente maggioritario e il connesso superamento del sistema delle preferenze ha rafforzato anziché diminuito il potere dei partiti, ed i candidati erano, di regola, membri di partito scelti attraverso canali partitici. Il controllo dei partiti nella selezione delle candidature ha assunte forme ancora più accentuate con l’adozione del nuovo sistema elettorale proporzionale fortemente corretto mediante la l. 270/2005. Come osservato dalla dottrina204 “la previsione della presentazione di liste di partito “bloccate” da parte degli organi dirigenti nazionali dei partiti; la possibilità di candidature multiple nei collegi, seguite, dopo le elezioni, da un insindacabile diritto di opzione da parte degli eletti; la stessa previsione di un premio di maggioranza (diseguale fra la Camera ed il Senato) del tutto scisso dal raggiungimento di un quorum, costituivano le parti costitutive di un disegno volto a riaffermare l’egemonia dei partiti non soltanto sul corpo elettorale, ma anche, ancor di più, sui propri candidati al parlamento: che diventavano numeri nelle mani delle classi dirigenti dei partiti ed erano del tutto scissi da qualsiasi legame e da ogni individuale responsabilità con gli elettori: il potere dei quali veniva ristretti alla semplice approvazione o non approvazione della lista unica di partito presentata nei singoli collegi”. Si aggiunga che la totalità dei seggi delle due Camere è assegnato col sistema delle “liste bloccate” sulla base di circoscrizioni di vastissima ampiezza (talvolta così ampie da superare i confini di un’intera regione). È chiaro che tale sistema non rispetta i principi democratici: i cittadini non sanno per quale candidato votano, conoscendo al più solo una parte dei candidati inseriti nella propria circoscrizione elettorale. Con la l. 270/2005 gli elettori sono stati privati del potere di scegliere i candidati, potere attribuito a ristrette oligarchie partitiche, capaci in pratica di determinare, l’intera composizione delle due Camere. Non è un paradosso dire che venti persone circa “nominano” un intero Parlamento205

. La domanda di partecipazione e protagonismo degli elettori è così ridotta a “una sorta di giudizio di Dio”, tendenzialmente binario, al fine di stabilire con cadenza quinquennale il leader, il Capo cui affidare pieni poteri, in linea con una visione distorta e caricaturale della democrazia maggioritaria straordinariamente simile ai regimi bonapartisti o

204

S. Merlini, cit., pp. 41-42.

205

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peronisti206. Complice il contesto di sostanziale assenza di una struttura partitica (e di una legge che ne imponga o ne incentivi la creazione), è chiaro che i titolari del potere di selezione dei candidati sono costretti ad una spossante attività di compensazione e mediazione tra le esigenze di corrente, le cordate, le appartenenze e le fedeltà, senza tralasciare la necessità di tener conto dei

desiderata di coloro che dispongono di una “rendita elettorale”, o di denaro,

prestigio sociale, notorietà, appartenenza allo star-system, fattori che assumono rilevanza nel contesto elettorale per la raccolta dei voti. Se le cose stanno così, oggi più che in passato occorre focalizzare l’attenzione sulla disciplina di selezione delle candidature vigente attualmente nel nostro ordinamento, e nella prassi seguita dalle varie formazioni politiche, perché, in presenza di una legge elettorale che presenta seri profili di illegittimità costituzionale dal punto di vista della sua stessa democraticità, una selezione delle candidature conforme al “metodo democratico” sembra essere l’unico correttivo che, a legislazione invariata, è idoneo ad evitare una totale compromissione, nelle sue fondamenta, del circuito democratico.

3.3 L’attuale assetto normativo: la natura del potere di selezione delle

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