IL TERRORE E LA "SICUREZZA"
2.6. Il sistema che non ammette eccezioni alla Costituzione al di fuori dello Stato di guerra
2.6.2. l'ordinamento costituzionale italiano
Il nostro sistema dunque appartiene a quello nel quale non sono ammesse deroghe, eccezioni o sospensioni, se non durante lo stato di guerra. Si prevede comunque un ampio ricorso alla decretazione legislativa del Governo in casi di necessità ed urgenza. Nella memoria dei costituenti erano ben presenti i tragici effetti provocati dalla utilizzazione dell'art 48 della Costituzione di Weimar, il quale andava appunto ad autorizzare il
Presidente del Reich in caso di grave pericolo, ad adottare misure necessarie per garantire sicurezza ed ordine pubblico attraverso l'uso della forza e la sospensione dei diritti fondamentali. Ad onor del vero occorre qua ricordare come vi furono delle proposte in tal senso e cioè di prevedere direttamente la possibilità di limitare i diritti fondamentali per un periodo limitato, di fronte ad urgenze e pericoli. Queste proposte scatenarono una forte reazione di contrasto proprio per i precedenti storici29. Quindi notiamo come il rifiuto ad
introdurre in Costituzione altre disposizioni extra art. 78 concernenti stati di eccezione, trae proprio la sua giustificazione dal timore che la regolazione di tali fenomeni potesse giustificare arbitrarie condotte dell'esecutivo. Il peso della storia orientò i costituenti a non positivizzare situazioni emergenziali. Non può comunque sfuggire il ruolo essenziale del Parlamento in quanto la sua posizione di organo direttamente rappresentativo della sovranità popolare viene valorizzata non solo nei momenti di ordinario funzionamento istituzionale, ma anche in momenti eccezionali, rompendo infatti alla tradizione monarchica che riservava al Capo dello Stato la competenza a dichiarare e a deliberare lo stato di guerra. Il testo della Costituzione infatti, distingue proprio il momento di formazione della volontà (deliberazione), dalla fase della sua estrinsecazione (la dichiarazione). La dichiarazione è mantenuta in capo al Presidente della Repubblica, mentre la deliberazione rientra tra le prerogative parlamentari ( art.87 : "il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle camere"). Cosi oggi la Costituzione consente da un lato, al Governo, l'adozione in caso di necessità ed urgenza di decreti-legge vigenti al momento della loro pubblicazione, con validità di 60 giorni, da convertire in legge pena la loro decadenza; dall'altro, si conferisce al Governo, dopo la
29 Per la ricostruzione dell'intero dibattito cfr. B. Cherchi, Stato d'assedio e sospensione delle libertà nei lavori dell'Assemblea costituente, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1981, pp. 1108 ss.
deliberazione dello Stato di guerra30, i poteri necessari, ma solo quelli ritenuti essenziali
per fronteggiare alla relativa situazione ( si evita una discrezionalità illimitata dell'esecutivo). Quindi, alla luce di quanto detto la sospensione di taluni diritti fondamentali viene ad essere prevista dalla stessa Carta in caso di guerra ed esclusivamente in tale ipotesi, andando cosi ad escludere ogni altra sospensione durante eventuali situazioni emergenziali meno rilevanti. Quindi cosa accade di fronte al fenomeno del terrorismo? come si deve atteggiare il nostro ordinamento?. L'articolo 77 della nostra Carta fondamentale sembra essere la risposta effettiva ad un simil contesto: "il governo non può senza delegazione delle Camere emanare decreti che abbiano valore
di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità ed urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate entro cinque giorni". Il decreto legge infatti, sin dall'origine,
sembra essere stato formulato per situazioni oggettivamente eccezionali, tali da porsi al di fuori della consueta disponibilità del legislatore ordinario, ma esso non è comunque abilitato a prevedere norme derogatorie o sospensive di principi costituzionali. Il decreto- legge deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e immediatamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. L'art. 15 della legge 400/1988 (assieme all'art. 77 cost. Disciplina il decreto-legge) prescrive che esso sia pubblicato con la denominazione di decreto-legge e con l'indicazione nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità ed urgenza volte a giustificarne l'adozione, nonché dell'avvenuta deliberazione del Consiglio dei ministri. Inoltre il decreto-legge
30 La Costituzione della Repubblica italiana, a cura di F. Falzone, F. Palermo e F. Cosentino, ed aggiornata da S. Bartole, Milano, Mondadori, 1991, p. 85.
deve contenere la clausola di presentazione al Parlamento per la conversione in legge (art. 15,4). Si noti come sia lo stesso decreto a stabilire il giorno della sua entrata in vigore, di solito è il giorno stesso della pubblicazione, o il giorno successivo. Il giorno stesso della pubblicazione il decreto-legge deve essere presentato alle Camere che, come stabilisce l'art. 77,2 Cost. “anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni”: infatti la conversione del decreto-legge rientra tra i poteri delle Camere in regime di prorogatio. “Presentando” il decreto-legge, il Governo chiede al Parlamento di produrre la legge di conversione, per cui il decreto viene ad essere presentato come allegato di un disegno di legge, il cui contenuto si risolve in un unica disposizione. Si da cosi avvio ad un procedimento legislativo che deve concludersi entro il termine tassativo di 60 giorni. Il procedimento di conversione presenta, rispetto al procedimento legislativo ordinario, alcune variazioni, introdotte nei regolamenti parlamentari. In parte esse sono dettate dall'esigenza di assicurare tempi certi e brevi di approvazione del disegno di legge, in parte dall'esigenza di consentire alle Camere di svolgere un controllo attento sulla sussistenza dei presupposti della necessità ed urgenza. Infatti, il potere di adottare decreti-legge può essere esercitato solo quando ricorrano i tre presupposti fissati dall'art. 77,2 Cost. : a) “casi straordinari”, legati quindi a circostanze eccezionali e imprevedibili; b) ”di necessità”, per cui non è possibile provvedere con strumenti legislativi ordinari; c) “d'urgenza” e cioè che rende indispensabile produrre immediatamente quegli effetti. Queste tre condizioni poste dalla Costituzione (ma lette dalla gran parte della dottrina come condizione unitaria, in cui i tre elementi non possono essere concettualmente distinti) si rendono essenziali affinché possa porsi un evento fortemente contrastante con
la fondamentale regola della divisione dei poteri e cioè appunto che il Governo, senza preventiva delega al Parlamento, eserciti il potere legislativo riservato a questo. Ma chi lo decide se sussistono o meno quei presupposti? È un giudizio che può svolgersi sul terreno delle considerazioni giuridico-formali, senza impegnarsi in giudizi di opportunità, cioè di merito politico? Come ipotesi astratta, sia il Presidente della Repubblica (nell'autorizzare l'emanazione di un decreto-legge) che la Corte costituzionale in via successiva (nell'eventuale giudizio di legittimità), potrebbero trovarsi nella condizione ottimale per svolgere questo controllo: ma lo possono fare senza uscire dall'ambito delle valutazioni che sono loro proprie e ingerirsi in valutazioni politiche a loro precluse? La Corte ha detto si, nello specifico: “straordinarietà, necessità e urgenza costituiscono un requisito di validità costituzionale dell'adozione di un decreto legge, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità del decreto legge, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima valutato erroneamente l'esistenza dei presupposti di validità in realtà insussistenti e quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione” (sent. 29/1995). Questa sentenza rappresenta un passo importante sul percorso compiuto dalla Corte per riportare l'uso del decreto-legge nell'alveo della Costituzione che, come sappiamo, l'abuso in tal senso appare evidente. Infatti se i decreti legge fossero stati emanati soltanto per situazioni di necessità straordinarie, probabilmente ne avremmo fatto un uso completamente diverso, ma certamente più fedele alla Costituzione. La sentenza 29/1995 deve essere letta con particolare attenzione: possiamo affermare come l'ipotesi volta a far scattare il controllo della Corte è solo quella di una “mancanza evidente” dei presupposti, di una “valutazione erronea” della loro
esistenza. Si tratta insomma di casi limite che al momento non si sono mai verificati, in quanto non rientrano valutazioni sull'opportunità del ricorso alla decretazione di per sé apparentemente icto oculi ingiustificato. Le valutazioni sull'opportunità infatti, restano riservate al Parlamento. Per quanto attiene ai regolamenti parlamentari in materia di decreto-legge, si può notare come il regolamento, nello specifico quello del Senato, preveda ancora il parere obbligatorio espresso preliminarmente dalla Commissioni affari costituzionali sulla sussistenza dei requisiti della necessità ed urgenza: la Commissione infatti, deve esprimere entro 5 giorni; se dà parere negativo deve deliberare l'aula entro i successivi cinque giorni. Alla Camera invece è stato tolto il parere preventivo della Commissione affari costituzionali, sostituendolo con un filtro più complesso: innanzitutto, nella relazione del governo che accompagna il disegno di legge di conversione, deve essere dato conto dei presupposti di necessità ed urgenza per l'adozione dello stesso; inoltre, vengono descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione e le conseguenze delle norme da esso recate sull'ordinamento; la Commissione referente, a cui il disegno di legge di conversione è assegnato, può chiedere al governo di integrare gli elementi forniti nella relazione, anche con riferimento a singole disposizioni; il disegno di legge è sottoposto, oltre alla Commissione referente competente, al Comitato per la legislazione “che, nel termine di cinque giorni, esprime parere alle Commissioni competenti, anche proponendo la soppressione delle disposizioni del decreto-legge che contrastino con le regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto dei decreti stessi, previste dalla vigente legislazione” (art 96 bis). L'art. 15,3 della legge 400 dispone infatti che “il decreto debba contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”: al Comitato è
quindi affidato il compito di rendere effettiva questa disposizione che, altrimenti, essendo dello stesso grado gerarchico dei decreti-legge, costituirebbe per essi un vincolo assai debole.31