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Le cosiddette ‘migliori intenzioni’: la narrazione ufficiale del nuovo piano e della sua gestione.

Nel dicembre 1993, Francesco Rutelli viene eletto direttamente sindaco, e forma la sua giunta di centrosinistra che si propone di cambiare volto alla città. In uno dei campi decisivi, quello della pianificazione urbanistica, inizierà un processo che porterà, passando per la delibera di adozione del 2003, all’approvazione del nuovo piano regolatore generale nel 2008, ultimo atto del consiglio comunale con sindaco Walter Veltroni.

Innanzitutto, quindi, il nuovo piano regolatore si presenta come culmine di un processo più che decennale115, che ha avuto le sue tappe fondamentali nell’approvazione del poster plan

del 1995, il manifesto urbanistico delle nuove giunte di centrosinistra, e del ‘piano delle certezze’ del 1997, la variante al piano del 1965 con la quale si aprì la questione delle compensazioni: la sospensione delle previsioni edificatorie negli ambiti inedificati ritenuti meritevoli di tutela, trasferite altrove.

114 Il riferimento è al Progetto di ricerca di interesse nazionale “Territori post-metropolitani come forme urbane emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità”. Al lavoro dell’unità di ricerca romana, e non solo, è associabile una successiva pubblicazione (Cellamare, 2016a). La definizione di tale sistema ‘post- metropolitano’ è un tema che porterebbe fuori strada: per approfondire la questione si rimanda al dibattito tra la tesi del libro appena citato ed i contributi presenti nel capitolo finale del libro stesso, “Una discussione su Roma” (Caudo, 2016; Piccioni, 2016; D’Albergo, Moini, Pizzo, 2016).

115 Vezio De Lucia, nella prefazione a un libro di Paolo Berdini (2000), ne racconta le radici: dopo la sconfitta elettorale delle sinistre nel 1985, nel Pci e poi nel Pds “fiorirono discussioni appassionate e senza fine […]. Di quel percorso furono tappe importanti i convegni «Roma da slegare», «Le città della metropoli», il dossier dal titolo Chi comanda a Roma e tante altre iniziative. […] Chiedevamo che si mettesse mano, contemporaneamente, a tre diversi piani urbanistici: una variante di salvaguardia, per confermare gli interventi già decisi e sospendere le altre previsioni del Prg allora (e oggi) vigente; il piano dell’area metropolitana, per definire le scelte strategiche a scala provinciale; il nuovo piano di Roma”.

“[…] Il poster plan ha fissato all'inizio i principi e alcune scelte fondamentali. Il principio di coniugare insieme ‘storia e natura’ come criteri ispiratori; il principio del nuovo modello di assetto policentrico e del recupero della ‘città esistente’; il principio del ritorno (massimo possibile) della rendita alla città; le scelte, di respiro metropolitano, in merito al sistema ambientale e al riuso delle ferrovie per il trasporto pubblico di massa; le scelte degli ambiti di recupero e di riqualificazione legati a programmi attuabili, anche per la parte pubblica essendo privati. […]”116

Questo processo, che ha portato all’individuazione dei contenuti del nuovo piano della capitale, è definito ‘nuova urbanistica romana’ dai suoi fautori. I principi e le scelte fondamentali, citate, rimandano a quelle che sono poi diventate i principali contenuti del piano:

- il disegno di un assetto policentrico, con la redistribuzione delle funzioni ‘centrali’ attraverso la creazione delle centralità metropolitane – dunque relazionate anche alla corona dei comuni contermini, e non solo –, ed urbane in aree periferiche;

- l’ottica di recupero della città esistente, in virtù della quale è stato realizzato il passaggio dallo zoning monofunzionale alla classificazione in sistemi – e, in particolare, in componenti del sistema insediativo117, tessuti ed ambiti –, nonché il

mutamento del concetto di ‘centro storico’ verso il più ampio ambito della ‘città storica’, con le corrispondenti prescrizioni e strumenti attuativi;

- l’obiettivo di realizzare le opere di urbanizzazione attraverso quote della rendita fondiaria ed immobiliare realizzata dai privati, con la predisposizione di oneri aggiuntivi per gli interventi privati e col ricorso alle partnership pubblico-privato cioè

116 La fonte di questa citazione è ‘Città sostenibili’, il sito del corso di Urbanistica II tenuto dal prof. ing. Domenico Cecchini, assessore all’urbanistica delle giunte Rutelli, dal 1993 al 2001. Il testo è estratto dalla scheda 22 (“Il nuovo piano: contenuti strutturali e operativi. La dimensione strutturale e la sua articolazione”). 117 Nel piano, il sistema insediativo, interagente con altri sistemi (ambientale; delle infrastrutture e dei servizi), comprende quattro sottosistemi:

- ‘Città storica’, che ospitava il 22,9% della popolazione (ca. 630.000 abitanti al 2003) nel 3,9% del territorio (ca. 5.000 ha), comprendendo l’ambito interno alle mura – il centro storico delimitato come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO – e le espansioni otto-novecentesche consolidate (Garbatella, Città giardino Montesacro, E42/Eur, Ostia, ecc.);

- ‘Città consolidata’, che ospitava il 47% della popolazione (ca. 1.320.000 abitanti) nel 9% del territorio (ca. 11.600 ha), comprendendo prevalentemente gli ambiti di attuazione dei due precedenti PRG (1931 e 1962-65) dalla morfologia ormai definita e consolidata;

- ‘Città da ristrutturare’, che ospitava il 17,7% della popolazione (ca. 500.000 abitanti) nel 7% del territorio (ca. 9.000 ha), comprendendo le vecchie zone F1, G4 ed L del PRG 1962-65 (aree di ristrutturazione urbanistica parzialmente edificate, aree di case unifamiliari con giardino, aree per attività industriali) solo in parte morfologicamente e funzionalmente configurate

- ‘Città della trasformazione’, che ospitava il 7,9% della popolazione (ca. 210.000 abitanti) nel 6,8% del territorio (ca. 8.500 ha), comprendendo la parte di città di nuovo impianto.

Fonte dei dati su territorio e popolazione (al 2003) è la delibera di approvazione del Piano Regolatore Generale (D.C.C. n.18 del 12.02.2008).

la contrattazione tra amministrazione comunale, proprietà fondiaria ed immobiliare, costruttori ed altri attori;

- la volontà di riconnettere sistema insediativo, ambientale e delle infrastrutture, in virtù del quale sono state definite una rete ambientale strutturata, con un corrispondente regime vincolistico, ed il criterio guida della ‘cura del ferro’ il quale, a partire dal riuso delle ferrovie regionali, mirava a riconnettere le parti di città esistenti e previste attraverso ferrovie, linee metropolitane e tramviarie;

- l’attivazione di programmi complessi di diverso tipo (principalmente rimandabili alle già citate partnership pubblico-privato ed alle procedure di urbanistica ‘contrattata’), individuati in relazione alle necessità locali.

Mi sembra interessante, inizialmente, approfondire criticamente il piano seguendo la traccia di tali scelte fondamentali ed evidenziando le ‘falle’ in fase attuativa. Tornerò in seguito sul ruolo di ‘storia e natura’, ritenendolo utile per individuare orizzonti possibili. L’analisi che esporrò, invece, è doppiamente utile, anche nella convinzione che le problematiche siano ‘a monte’ dell’attuazione del piano, al fine di articolare le critiche più ampie: da un lato, per gli spunti forniti dalle stesse problematiche emerse ‘a valle’, dall’altro, semplicemente perché ‘pulisce il campo’.

“Il principio del nuovo modello di assetto policentrico e del recupero della ‘città esistente’”: gli interessi degli operatori ed il naufragio delle centralità.

Il nuovo modello di assetto policentrico, e il relativo recupero della ‘città esistente’, ha avuto una rapida evoluzione verso il semplice perseguimento degli interessi degli operatori privati. Data l’importanza attribuita alle ‘centralità urbane e metropolitane’ nella retorica del piano, il loro fallimento è particolarmente significativo.

La strategia dichiarava la volontà di attuare un decentramento funzionale, in particolare dal centro storico118, nell’ottica di arricchire le esistenti aree periferiche costituite principalmente

da residenze (i cosiddetti ‘quartieri dormitorio’), riqualificandole attraverso il perseguimento di quella che viene definita mixité sociale e funzionale, caratteristica fondamentale dei contesti urbani. L’effetto a cascata avrebbe dovuto essere quello di alleggerire il centro storico diminuendo i flussi in direzione dello stesso (in particolare, quelli carrabili lungo le strade consolari), provenienti dalle aree periferiche e dai comuni esterni che gravitano sulla città di Roma. Una strategia al contempo finalizzata ad arricchire le realtà locali e ad indirizzare il contesto metropolitano verso un nuovo assetto (equilibrio?) policentrico.

118 Storicamente, il centro storico è stato il coagulo delle funzioni direzionali pubbliche – ministeri, enti di diverso tipo – e private. La realizzazione, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, del quartiere dell’E42/Eur, ha fatto da contraltare allo stesso, accogliendo molte nuove sedi direzionali. Altri progetti finalizzati al trasferimento verso Est delle funzioni direzionali, susseguitisi dalla proclamazione di Roma Capitale del Regno d’Italia (1871) fino ad oggi, non hanno mai visto la luce.

Figura 2.1 – “Sublime 2011”.

Centralità metropolitana Bufalotta, vista verso via Carmelo Bene (foto: Marco Gissara, 2011).

Al momento dell’adozione del piano (2003), vi erano otto centralità urbane e metropolitane già pianificate119 su diciotto complessivamente previste. In sintesi, in base ai dati comunali120,

la gestione e attuazione del piano nei dieci anni successivi è stata tale da poter essere definita ‘fallimentare’. Infatti, è consistita: nella definizione di due nuove centralità121 nei cinque anni

tra la delibera di adozione e quella di approvazione, e nel blocco totale di tale attività negli anni successivi; in un aumento delle quantità edificatorie da realizzare122, localizzato

119 Al 2003, erano ‘a pianificazione definita’: le centralità metropolitane di Eur Sud Castellaccio, Ostiense, Tor Vergata, Pietralata, Polo Tecnologico, Ponte di Nona-Lunghezza e Bufalotta; la centralità urbana di Alitalia- Magliana.

120 Per il 2003, la fonte è indicata nell’elaborato D5 (“Centralità e funzioni”) del PRG adottato. L’altra fonte è il “Monitoraggio sulle centralità urbane e metropolitane” elaborato da Risorse per Roma nel dicembre 2013 e che comprende anche i dati parziali al 2008. Le quantità edificabili sono misurate in ‘superficie utile lorda’, ovvero la somma delle superfici lorde di tutti i piani degli edifici. La definizione esatta è contenuta nell’art. 4 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG.

121 Si tratta della centralità metropolitana di Fiera di Roma (prima denominata Fiumicino-Magliana) e di quella urbana di Massimina.

122 Circa il 20% della superficie utile lorda, passando da 2.846.666 a 3.402.763 mq, con un aumento netto di 556.097 mq.

principalmente nelle centralità prossime al centro storico123 dunque in contraddizione con la

strategia complessiva; in un mutamento di funzioni da insediare, che ha caratterizzato principalmente le centralità più periferiche, da direzionale pubblico-privato e cultura e servizi congressuali, verso residenziale (con dinamiche di sovrapproduzione), commercio (già presente, ma a scale minori), università e ricerca (con fondi pubblici), e sport e tempo libero124.

Per completare il quadro, le due centralità pianificate nel corso dei dieci anni hanno mantenuto invariate nel tempo le quantità complessive125, così come le otto centralità rimaste

ad oggi da pianificare.

Gli spostamenti di superfici – o, più classicamente, di ‘cubature’ – tra una funzione e l’altra, rappresentano una delle questioni più significative rispetto alla strategia ‘annunciata’, che prevedeva l’innesto in periferia di funzioni ‘centrali’. Uno dei protagonisti della nuova stagione del centrosinistra romano, Walter Tocci126, in un suo scritto di poco successivo

all’approvazione del piano, riconosce in queste dinamiche una vera e propria regola del settore delle costruzioni italiano, tracciandone una storia recente:

“[…] per prima cosa il costruttore cerca interlocutori nelle burocrazie pubbliche per realizzare sedi di uffici o servizi. […] Quando la domanda pubblica è assente i costruttori ricorrono a generiche destinazioni funzionali, procedendo a ondate successive che di solito saturano la domanda di un settore prima di passare ad un altro. Negli anni ottanta tutti si misero a costruire uffici fino ad arrivare a rilevanti quote di invenduto, per poi chiedere ai Comuni di cambiare la destinazione degli immobili terziari a uso residenziale. Negli anni novanta c’è stata la moda dei centri commerciali, e non è escluso che anche in questo caso si raggiunga la saturazione in seguito al raffreddamento dei consumi. La più grave patologia dell’offerta si è però verificata nelle abitazioni. Con la bolla immobiliare, infatti, era piuttosto facile collocare sul mercato case per i redditi medio alti, trascurando completamente l’offerta per i ceti più bassi. Appena il meccanismo si è inceppato i

123 Ci si riferisce alle centralità metropolitane di Ostiense e Pietralata, che sorgono in prossimità del centro delimitato dalle mura storiche, in cui le superfici utili lorde sono aumentate di 413.295 mq (+61%), in una dinamica che ha coinvolto in proporzioni diverse tutte le funzioni previste. Nelle altre centralità a ridosso del Grande Raccordo Anulare (Eur Sud Castellaccio e Bufalotta, metropolitane, e Alitalia-Magliana, urbana), o esterne ad esso (Tor Vergata, Polo Tecnologico e Ponte di Nona-Lunghezza, metropolitane), l’aumento complessivo di 142.802 mq (+7%) si è caratterizzato per un netto travaso di funzioni, principalmente da direzionale pubblico-privato e, in misura minore, da cultura e servizi congressuali e generico ‘non residenziale’, verso altre destinazioni (residenziale, università e ricerca e, in misura minore, commercio, sport e tempo libero, polo tecnologico), in sintonia con quanto riportato nei dati complessivi della nota successiva. 124 Nello specifico, gli aumenti di superficie utile lorda, suddivisi per destinazione d’uso, sommano: 152.874 mq residenziali (+33%), 118.342 mq per commercio (+39%), 514.182 mq per università e ricerca (+123%), 27.269 mq per sport e tempo libero (+85%), 24.225 mq per il polo tecnologico (+9%) e 42.821 mq di generico ‘non residenziale’. Le diminuzioni di superficie utile lorda contano invece 294.644 mq per direzionale pubblico- privato (-28%), 20.770 mq per cultura e servizi congressuali (-20%), 5.549 mq per turismo e ricettività (-6%). 125 Vd. nota 120.

costruttori hanno scoperto una forte sensibilità popolare e sono corsi a chiedere aiuto al governo per costruire case per l’affitto. […]” (Tocci, 2009)

Se la seconda fase del modus operandi descritto attiene pienamente a quanto appena evidenziato, in relazione alla prima fase è il caso di segnalare una questione dirimente rispetto alla strategia di alleggerimento del centro storico connessa alla realizzazione delle centralità. Si tratta dell’ipotesi dello spostamento fuori dal centro di Roma delle sedi esistenti dei ministeri e, più in generale, del settore terziario pubblico127. Dato per necessario nelle

varie formulazioni dell’idea di città policentrica succedutesi nel tempo128, questo

cambiamento, se coerentemente realizzato, avrebbe un ruolo significativo rispetto all’organizzazione della capitale. Negli anni, il trasferimento di uffici ministeriali in nuove sedi è stato annunciato, comparendo nei progetti delle centralità129 e dando così una

concretezza alle astratte quantità edificatorie classificate come ‘servizi pubblici', in alcune occasioni ratificato130, e in piccola parte realizzato131. Eppure, nel complesso, tale intenzione

127

L’assessore all’urbanistica Morassut (2002) scriveva: “[…] dopo tanti anni di ipotesi, scenari e dibattiti, il sistema amministrativo pubblico avrà tre nuovi poli direzionali (Pietralata-Stato, Ostiense-Comune, Regione- Colombo) […]“. Il riferimento era all’insediamento di alcune grandi strutture pubbliche nella centralità urbana Pietralata (vd. anche nota 129), al ‘nuovo Campidoglio’ a Ostiense in cui accorpare gli uffici comunali, al trasferimento del Consiglio Regionale nella ex Fiera di Roma (che in ogni caso non ha nulla a che con l’alleggerimento del centro storico). A distanza di quindici anni restano progetti sulla carta, al massimo quantità non meglio definite di ‘servizi pubblici’ all’interno del piano. Continuava poi con un’altra intenzione realizzata solo parzialmente, anch’essa poco legata al decongestionamento del centro: “[…] molti nuovi Municipi troveranno nelle centralità metropolitane e locali, le loro sedi rappresentative”. Chiosava infine con una frase che oggi può essere letta con una certa ironia: “Chi vorrà obiettare al nuovo Piano l’assenza di un disegno di riorganizzazione funzionale e territoriale delle funzioni pubbliche ed amministrative dovrà fare i conti con questi dati reali”.

128 Agli albori delle giunte di centrosinistra, Walter Tocci (1993) scriveva che gli obiettivi del Sistema Direzionale Orientale (il cosiddetto Sdo) definito nei decenni precedenti erano molto chiari, e uno di essi era di “liberare il centro storico dal soffocante peso terziario per rilanciarne la funzione culturale”. Affermava poi che “se nei terreni dello Sdo si localizzassero nuove attività terziarie senza alleggerire il centro storico, il risultato finale sarebbe di ulteriore concentrazione urbanistica, con tutte le prevedibili conseguenze sull’ingorgo quotidiano”, aggiungendo in nota che “non vi possono essere dubbi sull’impraticabilità dello Sdo in assenza di una decisione sul trasferimento dei ministeri; in tal caso infatti il terziario nuovo si andrebbe ad aggiungere a quello esistente in una zona ancora molto centrale, aumentando così l’ingorgo e il soffocamento del sistema urbano”. Andava poi oltre, preannunciando un’ipotesi policentrica più ampia rispetto a quella dello Sdo: “l’operazione di svuotamento del centro storico andrebbe ripensata con più ambizione. […] per alleggerire l’area centrale, occorre comunque pensare a spostare i ministeri nell’hinterland”.

129 Così come a Pietralata, anche in tutte le versioni del progetto elaborato da Manuel Salgado per la centralità urbana Romanina compare il Ministero dell’Ambiente, insieme a quello della Sanità.

130 Nella centralità urbana Pietralata è stato definito il trasferimento del Ministero dell’Ambiente e di quello delle Politiche Agricole, oltre ad altre sedi della pubblica amministrazione (vedi il protocollo d’intesa firmato ad aprile del 2000: http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2000/04/14/Cronaca/ROMA-LO-SDO-

PUO-PARTIRE-FIRMATO-IL-PROTOCOLLO-DINTESA_160800.php).

131 Ad esempio, come mette in luce Berdini (2000): mentre ancora si dichiarava l’intenzione di concentrare la direzionalità nello Sdo, alcuni uffici del ministero delle Finanze (la direzione centrale del Catasto) venivano trasferiti a Cinecittà, e nel frattempo altri venivano localizzati a La Rustica (ministero delle Finanze) e Tor Pagnotta (ministero delle Poste).

non si è certo concretizzata132 nella politica delle centralità urbane e metropolitane e, salvo

qualche sporadica ripresa133, è prevalentemente scomparsa dal dibattito pubblico.

In compenso, al di là del trasferimento delle cosiddette ‘funzioni rare’, va sottolineato che un processo di decentramento funzionale era già in corso (Tocci, 1993) ed è continuato in seguito (Berdini, 2005): in assenza di politiche diversamente orientate, le residenze e tutte le funzioni ad esse correlate sono ‘migrate’ verso l’esterno, sostituite soprattutto da attrezzature commerciali e turistiche.

“Il principio del ritorno (massimo possibile) della rendita alla città”: dimostrabilità (minima possibile) dell’attuazione di un giusto principio.

I contenuti del saggio di Tocci appena citato ci portano direttamente al secondo punto di questa analisi: quello che è stato definito in precedenza, nelle parole relative al poster plan, come ‘il principio del ritorno (massimo possibile) della rendita alla città’. Appare infatti molto difficile verificare e, dunque, dimostrare l’attuazione del principio con i fatti: come si può definire il massimo possibile? Quest’ultima domanda, che sarebbe meritevole di un corposo approfondimento134, può avere numerose risposte, ognuna con i suoi corollari

comparativi a livello geografico – con altre città italiane, europee, mondiali – o temporale – paragoni sincronici o diacronici –, e con la sua analisi dei fattori in gioco nel determinare questo ‘massimo possibile’.

132 L’unica operazione di trasferimento all’interno di nuove centralità è stata quella riguardante la sede centrale del Ministero della Salute nella nuova centralità metropolitana Eur Sud Castellaccio. Durante il governo Berlusconi IV (2008-2011), si è invece ipotizzato il trasferimento di alcuni Ministeri direttamente in altre città. 133 Come nella recente intervista al vicesindaco Luca Bergamo: Il vice di Raggi e l'idea di spostare i ministeri: «La

politica fuori dal centro di Roma», Corriere della Sera, 5 gennaio 2017, disponibile online all’indirizzo: http://www.corriere.it/politica/17_gennaio_04/vice-raggi-idea-spostare-ministeri-la-politica-fuori-centro-roma-

4bf1f086-d2d1-11e6-af42-cccac9ae7941.shtml

134 Una buona traccia, da cui ricavare dati utili, può essere lo studio realizzato pochi anni orsono dalla Provincia di Roma (2013), all’interno del quale sono presenti (Camagni, 2013) alcuni casi-studio di centralità romane.

Figura 2.2 – “Nel nome del progresso”.

Quartiere Talenti-Rinascimento, via Dario Niccodemi (foto: Marco Gissara, 2011).

In ogni caso, l’indicazione di tale principio fra quelli principali sottesi al piano è senza dubbio positiva, in quanto stimola il dibattito sul tema. In una recente intervista, il principale consulente alla redazione del nuovo piano regolatore di Roma, Giuseppe Campos Venuti, afferma che

“Le cause di tutto quanto allontana le città e i territori dal corrispondere alla condizione ideale di bene comune sono indiscutibilmente quelle descritte [cioè] il modello capitalistico legato alla speculazione immobiliare provocata dalla rendita fondiaria urbana.

[…] Per questo ho lavorato per tutta la vita come consulente delle amministrazioni pubbliche, che per legge hanno il dovere di perseguire il bene comune e quindi di combattere la rendita urbana”135.

Su questo aspetto c’è una concordanza tra sostenitori e critici del piano. A livello sociale questo tema sembra però essere sempre più ignorato, pur essendo uno degli aspetti principali che l’urbanistica si trova ad affrontare nel contesto del sistema economico capitalista. Lo è stato in passato e lo è ancora oggi, in forme mutate ma simili, dal momento che l’attività urbanistica – pianificazione, programmazione, progettazione – influisce fortemente sulla generazione della rendita immobiliare.

Qualche decennio fa, quando la questione della rendita era di forte attualità, l’attenzione a tale dinamica produsse uno dei tentativi legislativi più significativi della storia urbanistica dell’Italia repubblicana: la proposta di riforma presentata dal ministro democristiano Fiorentino Sullo nel 1962, citata da Campos Venuti nella medesima intervista, che prevedeva la demanializzazione delle aree fabbricabili136 e che fu affossata da quello che fu definito il

‘blocco edilizio’137, una coalizione di interessi comprendente grandi e piccoli proprietari

fondiari. Negli stessi anni, vedeva la luce Roma moderna, il libro di Italo Insolera che racconta come la proprietà fondiaria, supporto materiale delle imprese di costruzione, abbia determinato le traiettorie dello sviluppo della città, dall’opera di monsignor De Merode, nel periodo a cavallo tra la Roma papalina e la capitale d’Italia138, fino alla grande espansione

nella seconda metà del Novecento e, in particolare, all’attività della Società Generale Immobiliare139. L’ultima versione del libro (Insolera, 2011) riportava poche parole di Giulio

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