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L’importanza della scala locale per l’azione diretta degli abitanti.

Ci sono dunque spazi di azione per individui e comunità interessati al miglioramento del loro ambiente di vita, ad esercitare il loro ‘diritto alla città’? La domanda assume ancor più rilievo a fronte di una crisi del modello di sviluppo attuale, fondato sull’espansione urbana illimitata, e alla luce della lenta maturazione di nuove logiche centrate sulle aree urbane esistenti. Harvey (2013) mette in evidenza come questi spazi di intervento siano condizionati dagli interessi e dai poteri in gioco, ed in particolare dalle dinamiche economico-finanziarie, di carattere globale, relazionate alle trasformazioni urbane. Di conseguenza, le possibilità di azione sono fortemente relazionate al nodo del conflitto che si genera tra i diversi modi di intendere le trasformazioni stesse.

93 Traduzione mia, dall’originale inglese: “[…] an exigent demand by those deprived of basic material and legal rights, and an aspiration for the future by those discontented with life as they see it around them and perceived as limiting their potentials for growth and creativity”(Marcuse, 2011).

94 Anche Lefebvre (1973) affermava similmente, all’interno della sua critica radicale della disciplina urbanistica, che “[…] L’’immobiliare, come si suol dire, recita la parte di un secondo settore, di un circuito parallelo a quello della produzione industriale […]. Questo secondo settore assorbe gli urti. In caso di depressione, i capitali affluiscono verso di esso. […] In questo settore gli effetti ‘moltiplicatori’ sono deboli […]. Il capitale si immobilizza nell’immobiliare. L’economia generale (detta nazionale) presto ne soffre. […] Può persino accadere che la speculazione fondiaria diventi la fonte principale, il luogo quasi esclusivo di ‘formazione del capitale’, cioè di realizzazione del plusvalore. […] Or dunque l’urbanistica come ideologia e come istituzione (come rappresentazione e come volontà) maschera questi problemi. […] Poiché l’urbanistica si situa alla cerniera fra i due settori (produzione dei beni ‘mobili’ e dei beni ‘immobili’), essa la nasconde […] Così l’urbanistica è un’urbanistica di classe, senza saperlo”.

Lefebvre (2012) evidenziava come le dinamiche correlate di industrializzazione ed urbanizzazione avessero portato alla crisi della città tradizionale e della sua ricchezza, e dunque delle caratteristiche proprie della vita urbana (valore d'uso, abitare). Harvey (2013), tornando al tema più ampio oggetto della presente trattazione, mette in luce gli analoghi processi odierni che, sotto la spinta degli investimenti transnazionali nell'urbanizzazione, hanno determinato l'enorme espansione globale della stessa e la contemporanea distruzione di realtà sociali esistenti.

La sua analisi si concentra, come accennato, sul legame tra crisi economiche ed investimenti nell'urbanizzazione, sulle dinamiche di distruzione creatrice e di espropriazione del diritto alla città nei confronti delle masse, attraverso l'urban renewal o semplicemente la rendita immobiliare monopolistica e lo sfruttamento turistico, e sulle risposte messe in campo dai movimenti sociali urbani. Egli rileva nella realtà odierna una molteplicità di movimenti diffusi sul pianeta ma mancanti di punti di convergenza, offrendone uno proprio nella rivendicazione del diritto alla città quale possibilità degli abitanti di dar forma al processo di urbanizzazione.

Figura 1.11 – Lo sciopero generale lanciato da Occupy Oakland, novembre 2011 (foto © Luke Hauser).

“[…] mi sembra abbia un certo valore simbolico il fatto che i primi due atti della Comune di Parigi siano stati l’abolizione del lavoro notturno nei forni (una questione lavorativa)

e l’imposizione di una moratoria sulle rendite (una questione urbana)” (Harvey, 2013)

In un'ottica marxista, l'autore assume in ogni caso la centralità della questione lavorativa, proponendo però di affiancarvi le questioni urbane, ed aggiungendo come il riconoscimento

delle catene produttive che alimentano la costruzione ed il funzionamento della città, porti a legare la questione dei diritti di cittadinanza nello spazio urbano a quella del lavoro. La possibilità di intervento della popolazione nelle scelte è dunque correlata, secondo il geografo statunitense, alle dinamiche di resistenza e di costruzione portate avanti dai movimenti sociali urbani che, nel loro contemporaneo opporsi allo sfruttamento del lavoro ed alla rendita, mettano in pratica rapporti sociali differenti da quelli capitalisti dominanti. Nel conflitto inevitabile tra queste due visioni, si aprono spazi di intervento da parte delle comunità locali per riconfigurare i propri ambienti di vita.

La prospettiva aperta da Harvey di rompere la scissione tra questioni lavorative e questioni urbane, comporta un accrescimento dei margini di azione di individui e comunità, tanto più ampi quanto riescono ad elaborare modelli di sviluppo alternativi per i territori interessati. Questo passa necessariamente da un ripensamento da un lato degli spazi di vita e dell'aggregazione sociale, dall'altro del lavoro come mezzo per soddisfare bisogni ed esigenze individuali e collettive.

Il limite principale nella sua teorizzazione sembra essere quello di affrontare, differentemente da quanto fatto da Lefebvre, la realtà urbana principalmente in termini economicisti, mutuati dall’analisi con la quale punta a costruire connessioni, quella marxista della contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro. Con un criterio che mira a evidenziare la distinzione tra le questioni ‘strutturali’ da quelle ‘sovrastrutturali’, egli rinnova una tradizione che storicamente ha dimostrato la sua grande utilità per le lotte politiche e sociali. Osservare la realtà con queste lenti comporta, però, il perdere per strada alcuni aspetti importanti, riguardanti la vita che quotidianamente popola i luoghi, cioè proprio le relazioni reali che, con il loro sviluppo nel tempo, materializzano le connessioni analitiche individuate.

D’altro canto, è anche grazie a questo approccio che Harvey individua e analizza criticamente alcune problematiche, quali ad esempio l’esistenza di questioni strategiche di livello maggiore (l'uso delle risorse naturali, l'organizzazione generale del territorio), che necessitano di un ‘salto’ verso scale più ampie, fino a quella globale. Queste questioni rendono decisivo affrontare il nodo dell'integrazione tra modelli organizzativi orizzontali e verticali, andando oltre le ipotesi di azione diretta e riproponendo la tematica delle istituzioni. Lefebvre aveva evidenziato la necessità di attuare un rovesciamento rispetto alle logiche globali, applicate dall’alto al basso, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione: ripartire dando priorità e riconoscimento al livello più basso, quello dell’abitare. Harvey, fondamentalmente, riporta l’attenzione sui passi successivi, ritenendo insufficiente ogni approccio che concentri l'attenzione unicamente sulla scala locale.

La scala locale, secondo il geografo americano, è in ogni caso dirimente: concepita come luogo decisionale di tipo orizzontale radicato nei territori, rende possibile affrontarne determinate problematiche e gestirne determinate risorse, anche attraverso il ricorso

all'azione diretta da parte degli interessati. Choay (1994) riteneva decisiva proprio l’interazione fra scale e, come detto, per delineare una prospettiva a valle della sua analisi, si chiedeva principalmente se la scala della pianificazione reticolare (infrastrutture tecnologiche) fosse compatibile con la scala locale, nella quale si materializza l’urbanità. Qui si svolge la vita urbana, giorno dopo giorno, attraverso le pratiche portate avanti direttamente dalla popolazione.

L’accresciuta consapevolezza dell’importanza delle pratiche di abitanti e comunità, oltre a mettere al centro la scala locale, spinge ad approfondire altre questioni. È il caso, ad esempio, delle cosiddette pratiche informali attraverso le quali spesso il tema della casa esce dalla dimensione dell'habitat e riguadagna la complessità dell'abitare, fondendosi con quello della costruzione della città e delle sue parti. Il riconoscimento recente dell’importanza di tale tematica, come fulcro di riflessione nella ricerca95 in campo architettonico ed urbanistico,

è testimoniato anche dalla sua presenza nel dibattito mainstream96. Un’altra questione che si

può sollevare è quella dell'impatto di queste pratiche, e di quanto il loro svilupparsi possa costituire di per sé un'alternativa. In generale, si può dire che le pratiche in questione rimettano in discussione il concetto di pubblico, anche se non è scontato che l'esito sia l'ampliamento dello stesso97. Ancora, in relazione alla scala locale e alle pratiche degli

abitanti, meritano approfondimento tanti altri argomenti tra cui: il ruolo fondamentale dell’autogestione98; la necessità di una ‘cultura delle differenze’99; il significato di

‘comunità’100; le rivendicazioni dal basso e il loro esito istituzionale101.

95 Portando ad esempio il caso romano, è significativa la ricerca portata avanti dal gruppo interdisciplinare Self Made Urbanism Rome (SMUR, 2014), in cui vengono offerti degli scorci su quella che viene definita l'urbanistica autoprodotta della capitale, esponendo esperienze molto diversificate: dalle lotte dei migranti ai cambiamenti sociale profondi con l'insediamento di nuove popolazioni in quartieri storici, dal protagonismo dei comitati di quartiere alla costruzione della città informale su larga scala, fino alle pratiche portate avanti dalle popolazioni rom all’interno dei campi e all'evoluzione nel tempo della segregazione nei loro confronti. 96 Ad esempio, la Biennale di Architettura di Venezia, evento di portata internazionale, nel 2012 ha premiato con il Leone d'oro lo studio svizzero Urban Think Tank, per una ricerca riguardante la Torre David, slum verticale cresciuto all'interno di un grattacielo incompleto ed abbandonato a Caracas. Quattro anni dopo, in occasione della 15a edizione della stessa Biennale, è stato incaricato come curatore l'architetto cileno Alejandro Aravena, famoso per aver unito nel progetto Elemental un intervento pubblico di housing con la tematica dell'autocostruzione (e della conseguente personalizzazione) da parte degli abitanti.

97 Riprendendo ad esempio il contesto romano, l'esperienza di maggior impatto, che travalica la scala locale, appare quella della proliferazione urbana spontanea/abusiva. Gli autori ne evidenziano la derivazione da semplici dinamiche di lottizzazione le quali, seppur innervate dalle esperienze di solidarietà tra gli abitanti e dalla gestione comune delle risorse attraverso le associazioni consortili, hanno dato forma ad un'agglomerazione centrata sulla dimensione privata della casa in cui “il pubblico, inteso semplicemente come ciò che appartiene a tutti, non esiste” (Lanzetta, Perin A. & Perin S., 2014).

98 Lefebvre (2012) ne parla a proposito di quella che definisce ossessione della ‘partecipazione’: “Un altro tema che emerge continuamente è quello della partecipazione […]. Nella pratica, l’ideologia della partecipazione consente di ottenere a minor prezzo possibile l’acquiescenza delle persone interessate. […] “Non è forse chiaro che la partecipazione reale e attiva ha già un nome? Si chiama autogestione”.

99 Significativo, in tal senso, è il contributo di Leonie Sandercock (1998) che evidenzia, riflettendo sulla pianificazione, come le odierne aree urbane non siano concepibili come abitate da una massa omogenea di

Individuato il fatto che alla scala locale vi possano essere spazi di azione diretta, al di fuori di meccanismi istituzionali, e preso atto non solo delle loro virtù ma anche dei loro limiti, la problematica si articola nella lettura critica delle singole esperienze e nella capacità di riconoscere e alimentare quell'insieme di rapporti e scambi, reti e relazioni, meccanismi di autogoverno ed autogestione, che continuano a riprodursi nonostante le avversità ambientali. Per esserne in grado, è necessario nuovamente richiamarsi a ciò che è proprio della vita urbana, la creazione e restituzione di valore d'uso ai luoghi, mettendolo in relazione alle differenze ed alla complessità sociale che vi si manifesta, in opposizione alle dinamiche di esclusione e segregazione.

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