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Il nodo delle centralità: dalla retorica della riqualificazione all’impatto distruttivo sull’esistente.

L’importanza di un assetto metropolitano basato sul policentrismo, secondo le linee direttrici del nuovo piano, è stata già evidenziata in precedenza. Allo stesso modo, si è detto del legame tra questa costruzione ed il tema del recupero della ‘città esistente’, e della degenerazione di tale intenzione verso più semplici dinamiche speculative, legate all’incameramento della rendita fondiaria e immobiliare. Quest’ultima conclusione è frutto di una analisi sulle centralità urbane e metropolitane216, che ha messo in luce le evidenti

215 Al contrario, la recensione di Federico Oliva (2017) al libro stesso, pur affrontando i nodi e vedendo le contraddizioni dell’esperienza del piano regolatore, riporta il tema su un piano ‘tecnico’, tanto in materia urbanistica quanto politico-amministrativa. Nel primo caso, in particolare, con la difesa delle compensazioni, quali strumento migliore per affrontare la questione del ‘residuo’ del precedente piano. Nel secondo, affrontando argomenti quali ad esempio: la questione dei ‘diritti edificatori’ e gli orientamenti giurisprudenziali; i conflitti con gli altri livelli istituzionali, nazionale e regionale, e le loro responsabilità; l’iter successivo all’approvazione del piano, contraddistinto dai rimaneggiamenti conseguenti alle contraddizioni interne alla maggioranza.Anche se avesse ragione nel merito, si potrebbe dire che l’eventuale valenza tecnica e politica del piano non è stata affatto socializzata e presa in carico dalla popolazione.

216 Vedi l’allegato A (“Appunti sulle centralità urbane e metropolitane del nuovo piano”) e, in precedenza, “Il principio del nuovo modello di assetto policentrico e del recupero della ‘città esistente’: gli interessi degli operatori ed il naufragio delle centralità”, all’interno del paragrafo iniziale (“Quel che si dice ‘le migliori intenzioni’: la narrazione ufficiale del nuovo piano e della sua gestione”).

contraddizioni tra l’attuazione del piano e la strategia dichiarata, basata sul decentramento funzionale e l’alleggerimento del centro storico al fine di un ‘arricchimento’ dei contesti periferici.

Riassumendo le conclusioni dell’analisi: la strategia si è arrestata con l’approvazione definitiva del piano, probabilmente a causa della crisi degli investimenti più che per il cambio di governo; le funzioni previste in origine sono mutate, orientandosi su destinazioni beneficiarie di finanziamenti pubblici o ‘appetibili’ sul mercato; le quantità complessive sono aumentate, spostandosi tendenzialmente verso le localizzazioni più prossime al centro storico.

Volendo trarre conclusioni di carattere più generale, ci si può soffermare su alcuni aspetti riguardanti la scelta delle aree per le centralità urbane e metropolitane. Paolo Berdini mostra la strategia complessiva e fa un quadro delle singole centralità, con un occhio di riguardo alla generazione di rendita, al nodo problematico del rapporto pubblico-privato affrontato in precedenza, e ad altre questioni che evidenzierò nel seguito:

“[…] Con il nuovo piano regolatore lo Sdo è stato cancellato. Vengono confermati i due comprensori terminali (Pietralata a nord e Torre Spaccata a est) ma l’idea strutturante viene sostituita con 18 ambiti destinati alla funzione di ‘centralità’. Il nuovo piano affida così le speranze di definizione della struttura urbana del terzo millennio a due decine di poli sparsi a raggiera nel territorio romano senza alcun legame urbanistico tra di essi. Un primo gruppo delle centralità preesisteva alla data di redazione del nuovo piano: si tratta del secondo polo universitario di Tor Vergata ad est di Roma e quello della terza università di Ostiense a sud, già realizzati e funzionanti da molti anni prima della stessa elaborazione. Ad esse si aggiungono i due citati comprensori terminali dello Sdo. Le tre principali centralità, Eur Castellaccio (sud), Acilia Madonnetta (ovest) e Anagnina Romanina (est) sono invece vecchie destinazioni a servizi pubblici del precedente piano: si passa dal regime pubblico a quello privato, confermando le cubature precedentemente destinate alla realizzazione di attrezzature pubbliche. In questa stessa categoria si colloca anche la centralità di Saxa Rubra (nord) nata a ridosso del centro di produzione Rai. Due altre centralità sono state individuate su aree pubbliche, Ponte Mammolo (est) e Santa Maria della Pietà (nord), ma mentre la prima è caratterizzata da una serie di vincoli morfologici e infrastrutturali tali da caratterizzarla come nodo di scambio della mobilità, la seconda è caratterizzata da un quadro storico-ambientale straordinario che, per grande merito del comitato locale che si è opposto all’ipotesi, non consente alcuna trasformazione. La Storta e Cesano (nord) e Massimina (ovest) sono soltanto valorizzazioni di aree agricole.

Cinque ulteriori centralità individuate sono infine eredità del ‘pianificar facendo’, aree la cui trasformazione è stata decisa attraverso l’uso dell’accordo di programma: Alitalia- Magliana e Fiera di Roma (ovest); Bufalotta a nord; Polo tecnologico e Ponte di Nona-

Lunghezza a est. Tre di esse sono caratterizzate dalla realizzazione dei numerosi centri dell’iperconsumo nati a Roma in poco tempo. […]” (Berdini&Nalbone, 2011, p.110-111)

Sempre per legarsi al paragrafo precedente, si può sottolineare ancor di più un aspetto non secondario, cioè la proprietà dei suoli da cui dipende l’innesco delle dinamiche legate alla rendita fondiaria217: la gran parte delle centralità ricade su terreni di proprietà privata, e solo

una piccola parte su aree di proprietà pubblica218.

Trovo poi significativa la riflessione di Franco Archibugi (2002) sul sistema delle centralità, contenuta nella sua critica complessiva del nuovo strumento urbanistico, frutto di un’analisi dal punto di vista della pianificazione strategica, all’interno della quale propone alcune ipotesi alternative219. Partendo dal presupposto ribadito in precedenza, cioè l’obiettivo del

decentramento, ritiene che l’assetto proposto implichi una dispersione di mezzi, essendo le nuove centralità troppo numerose220 e senza sufficiente massa critica per depolarizzare un

centro esistente. Egli ritiene insufficienti i riferimenti allo scenario economico e sociale, e afferma che “una centralità che non offre tutte le funzioni urbane nessuna esclusa non è una centralità; ne usurpa solo il nome. E certamente non è competitiva con la centralità dalla quale deve dirottare il sovraccarico”. Prevede infine che l’effetto delle centralità previste sarà opposto a quanto dichiarato: il rafforzamento della polarità esistente, o addirittura una ‘annessione’ alla stessa221. Penso che il testo citato, nonostante la sua natura ‘specialistica’

escluda grandi riflessioni sulle relazioni tra assetto fisico, sociale e politico222, sia utile a

217 D’altra parte, non è certo una dinamica nuova. Secondo la lettura classica dell’evoluzione urbanistica di Roma, a tali spinte si deve attribuire lo spostamento del centro verso Nord-Est dopo la designazione come capitale nel 1871, con la costruzione della stazione Termini e dei ministeri. Analogamente, il mancato spostamento del centro verso Est, ipotizzato durante tutto il ventesimo secolo, viene messo in relazione con il ruolo trainante della rendita nello sviluppo urbano verso altre direzioni.

218 Si tratta di quattro casi: la centralità metropolitana di Tor Vergata, a pianificazione definita, e quelle urbane ancora oggi da pianificare di Cesano, Ponte Mammolo e Santa Maria della Pietà.

219 Riprendendo una sua precedente ipotesi del 1985, Archibugi (2002) propone, in aggiunta al centro storico, la costituzione di un ‘sistema urbano autonomo quale ’centralità alternativa’ corrispondente all’insieme dei comuni della fascia est-sud (da Tivoli a Velletri), e cinque forti centralità a cavallo del Grande Raccordo Anulare: una ad Ovest, lungo l’Aurelia; una a Nord, alla Bufalotta, in prossimità del raccordo con l’autostrada A1; due a est, in corrispondenza anch’esse dei raccordi autostradali (A1 e A24); uno a sud, comprendente la centralità esistente Eur. Si tratta di un’ipotesi che ha delle analogie con quella del Sistema Direzionale Orientale, spostando però il baricentro all’esterno, e proponendo una cintura del verde che impedisca la compattazione tra il centro storico, la città consolidata e la città da trasformare.

220 Nel testo, fa riferimento a 18 centralità urbane e metropolitane, 52 centralità locali e 14 centralità esterne. 221 È curioso il legame con quanto scritto a suo tempo da Walter Tocci (1993), sul possibile esito nefasto dello Sdo (intero o ‘a pezzetti’): “se nei terreni dello Sdo si localizzassero nuove attività terziarie senza alleggerire il centro storico, il risultato finale sarebbe di ulteriore concentrazione urbanistica, con tutte le prevedibili conseguenze sull’ingorgo quotidiano. Se queste dovessero essere le intenzioni, sarebbe meglio per la città archiviare il progetto Sdo e utilizzare quei terreni (680 ettari) per fare un grande parco dell’Est; almeno così si salderebbe il credito storico di verde pubblico (530 ettari) che gli abitanti di quei quartieri hanno accumulato in quarant’anni”. Quest’ultima proposta, peraltro, rimanda alla cintura verde di Archibugi (vd. nota 229).

222 Il testo ha sicuramente poco a che fare con ipotesi di decentramento delle decisioni, andando anzi in direzione opposta, verso una centralizzazione, e può inoltre essere definito come ‘funzionalista’, per la sua

decostruire la retorica delle centralità, evidenziando le contraddizioni sul livello strategico e di fattibilità, cioè su quello del piano stesso.

Ci sono poi altri aspetti da evidenziare riguardo le centralità urbane e metropolitane, oltre a quello della scelta delle aree e della proprietà dei suoli. Si tratta di requisiti che sono condivisi tanto dai fautori quanto dai critici del nuovo piano regolatore. Il primo è quello della mobilità, cioè la connessione delle centralità mediante una rete di trasporto pubblico degna di questo nome, che ne permetta un’accessibilità di livello appunto urbano o metropolitano. Il secondo è quello funzionale: le centralità devono comprendere una varietà di usi, fra cui servizi pubblici e privati di rango urbano o metropolitano, così da far superare alle aree in cui sorgono il ruolo di ‘quartieri dormitorio’, attraverso la realizzazione di quella che viene definita come mixité funzionale. A tal proposito, nel seguito analizzerò diverse questioni: l’impatto sui contesti locali esistenti; le connessioni con il trasporto pubblico; le specifiche funzioni insediate, con particolare attenzione alle nuove residenze e alle attrezzature commerciali.

Il tema principale che voglio sollevare, infatti, è quello della relazione tra il ruolo delle centralità per un’organizzazione multipolare a scala urbana e metropolitana, e il valore delle stesse per i singoli contesti locali. A tal proposito, va detto che il piano individua anche un certo numero di centralità locali, selezionate in collaborazione con le cosiddette istituzioni di prossimità223, e la cui attuazione è competenza di queste ultime. Certamente, però, non si

possono separare nettamente le questioni, come se le centralità urbane e metropolitane fossero astratte dai luoghi in cui si inseriscono e, al rovescio, quelle locali fossero relative ognuna ad una piccola porzione di città, non generando dinamiche più ampie. Proseguirò perciò l’analisi delle prime e delle loro implicazioni sugli specifici contesti, limitandomi ad affermare che, a mio parere, la moltiplicazione delle seconde è relazionata allo sviluppo di un tessuto sociale attivo e ad un miglioramento della qualità della vita degli abitanti.

L’impatto delle singole centralità sui contesti locali meriterebbe un approfondimento interdisciplinare. Si può dire che, nella migliore delle ipotesi, i progetti e le realizzazioni vadano a creare un rapporto tra due entità distinte: le centralità urbane e metropolitane, salvo eccezioni224, costituiscono nuovi brani di città più che un intervento sull’esistente. A

volte, la relazione è resa difficile dalle caratteristiche morfologiche esistenti o di progetto: il mancato o insufficiente intervento sul contesto circostante, per dare vita a una struttura

attenzione a garantire un’efficienza complessiva del sistema, attraverso un’ottica ‘chirurgica’ e di problem

solving. Quanto questo approccio sia appropriato all’insediamento umano, e quali risvolti politici abbia, sono

questioni importanti ma da rimandare, in quanto meriterebbero di essere trattate in maniera estesa.

223 Mi riferisco alle istituzioni municipali, suddivisioni amministrative diminuite recentemente (2013) da 19 a 15, che insistono su territori e popolazioni diversificate, talvolta comparabili a quelle di grandi comuni italiani. 224 Faccio qui riferimento alla centralità urbana Santa Maria della Pietà, che approfondirò nel paragrafo successivo, da attuarsi attraverso il recupero dell’ex manicomio, e in maniera minore alla centralità metropolitana Ostiense, riguardane un’area industriale dismessa, in cui il ‘nuovo’ è realizzato nel ‘costruito’.

urbana complessiva225; la separazione da esso, dovuta all’esistenza di margini di diverso

tipo226 o alle enormi dimensioni dell’area227; l’autoreferenzialità della struttura degli spazi

pubblici del nuovo insediamento. Come vedremo, le centralità urbane e metropolitane sono quasi sempre accompagnate dalla previsione di nuovi abitanti, e spesso prevedono grandi quantità riservate al commercio, con i prevedibili effetti sulle attività esistenti.

Una condizione necessaria per la realizzazione della strategia policentrica, definita già all’avvio della stessa e arrivata fino alla versione definitiva della normativa di piano228, era

quella del loro collegamento ad una rete di mobilità efficiente, basata sul trasporto pubblico collettivo e sulle infrastrutture ferroviarie e metropolitane. Questa condizione si poneva allo stesso tempo sul piano dell’organizzazione urbana e metropolitana complessiva, e su quello della riconnessione di singoli frammenti urbani all’interno di tale sistema, così da restituire qualità della vita alla gran parte della popolazione. Purtroppo, la scelta delle aree è in contraddizione con tale intenzione: solo alcune di esse possiedono un’accessibilità sufficiente229 o richiedono ‘minimi’ interventi per essere per lo meno inserite nella rete230,

mentre troppe sono localizzate in luoghi che necessitano ingenti interventi per ottenere un’accessibilità adeguata231. Va da sé che la soluzione migliore per le persone sia quella del

trasporto su gomma, potenzialmente pubblico e collettivo ma nei fatti privato e individuale, e così, anche in presenza di collegamenti viari in apparenza sufficienti come nella gran parte dei casi, il sistema complessivamente non regga.

Le funzioni previste per le centralità urbane e metropolitane sono molteplici: residenziale, commercio, direzionale pubblico e privato, università e ricerca, cultura e servizi congressuali, sport e tempo libero, turismo e ricettività, polo tecnologico (relativo all’omonima centralità), produttivo-artigianale, ‘non residenziale’ (espressione generica). A

225 Si pensi alla localizzazione della centralità metropolitana di Tor Vergata, circondata dalla città spontanea/abusiva degli insediamenti di Torre Angela, Tor Bella Monaca, Giardinetti, Torre Gaia, ecc.

226 Ad esempio: l’esistenza di un fosso tra la centralità urbana Lunghezza-Ponte di Nona e alcuni insediamenti esistenti, o l’infrastruttura di via Cristoforo Colombo, nel caso della centralità urbana Eur-Sud Castellaccio. 227 Anche qui, è il caso della centralità metropolitana di Tor Vergata.

228 “[…] l’attuazione delle Centralità metropolitane e urbane è subordinata alla preventiva o contestuale realizzazione delle infrastrutture ferroviarie (linee metropolitane, altri sistemi in sede propria) previste dal PRG” (Norme Tecniche di Attuazione del Prg, art.65, “Centralità urbane e metropolitane”).

229 Il caso migliore è senza dubbio quello della centralità metropolitana Ostiense. Altre tre centralità, di cui una sola a pianificazione definita (Pietralata) e due ancora da pianificare (Torre Spaccata e Ponte Mammolo) sono in corrispondenza di stazioni della metropolitana. Sono sette quelle connesse alla rete ferroviaria, con frequenze di passaggio dei treni molto minori, e di queste solo tre a pianificazione definita (Alitalia Magliana, Fiera di Roma e Lunghezza-Ponte di Nona) contro le restanti quattro da pianificare (Cesano, La Storta, Saxa Rubra, Santa Maria della Pietà).

230 Si tratta delle centralità urbane Massimina (a pianificazione definita) e Acilia-Madonnetta (da pianificare). 231 Il riferimento è a ben cinque centralità: Bufalotta (a 3,5 km dal nodo più vicino della rete su ferro), Polo Tecnologico (a 2,5 km), Eur-Sud Castellaccio (a 2 km), Tor Vergata (a 1,5 km) e, ancora da pianificare, Anagnina Romanina (a 3 km). Nel tempo, per esse sono state fatte diverse ipotesi di prolungamento di linee metropolitane o realizzazione di tramvie, tutti rimasti sulla carta.

seguire, analizzerò le destinazioni d’uso, con particolare riguardo a quelle residenziali e commerciali.

Il direzionale pubblico, presente in molte centralità, e le funzioni legate all’università e alla ricerca, corrispondono all’insediamento di grandi attrezzature pubbliche, che talvolta costituiscono la vocazione principale per l’area interessata232. Il direzionale privato è presente

in un buon numero di centralità, e si traduce nella realizzazione delle sedi di grandi imprese. Le altre destinazioni compaiono maniera minore, concentrate in alcuni luoghi, mentre in alcuni casi vi sono tutte (o quasi) le funzioni, il che presuppone la realizzazione di un nuovo brano di città dotato di un forte mix funzionale233.

La gran parte delle centralità urbane e metropolitane prevede la realizzazione di nuove abitazioni234, ovviamente con proporzioni diverse di volta in volta, in un contesto

complessivo caratterizzato, come detto, da un incremento fuori misura della dotazione residenziale. Lo stesso si può dire del commercio, al quale sono dedicate grandi superfici nella maggioranza dei casi235. Anche qui, le quantità variano molto da un caso all’altro,

inserendosi però in una politica che incentiva, o almeno asseconda, la realizzazione di centri commerciali sempre più grandi236. Queste strutture di vendita, manifestazione tangibile delle

trasformazioni imposte dalla globalizzazione neoliberale, ‘precipitano’ sui luoghi sconvolgendone le caratteristiche fisiche e sociali. L’importanza che assumono all’interno delle centralità e, più in generale, nello sviluppo urbano recente237, ha come esito la

costruzione di una rete di distribuzione funzionale alle grandi imprese multinazionali, con il corollario dei flussi economico-finanziari che si attivano per la loro realizzazione concreta, più che la riqualificazione dei singoli contesti periferici. Similmente, si può affermare che le previsioni di edifici a carattere residenziale nelle centralità urbane e metropolitane siano da mettere in relazione con questioni esogene, appartenenti ad un piano differente da quello

232 Questo è il caso della centralità metropolitana di Tor Vergata, di quella di Santa Maria della Pietà (ancora da pianificare) e, in maniera minore, di quelle di Ostiense e Pietralata.

233 Ad esempio, nello Schema di assetto preliminare (SAP) della centralità urbana di Acilia-Madonnetta.

234 Le centralità urbane e metropolitane che prevedono nuove edificazioni residenziali sono tredici su diciotto. Fanno eccezione Santa Maria della Pietà, Tor Vergata, Ponte Mammolo, Ponte di Nona, Fiumicino-Magliana. 235 In questo caso, sono dodici su diciotto le centralità dotate di grandi quantità a destinazione commerciale. 236 I centri commerciali Porta di Roma (144.000 mq di superficie utile lorda, SUL), Roma Est (140.000 mq di SUL) e Euroma2 (55.000 mq di SUL), sono stati previsti proprio all’interno dei progetti delle centralità.

237 Nel seguito del brano riportato in questo paragrafo, Berdini afferma che “[…] in poco più di dieci anni, infatti, grazie alla disinvoltura dell’urbanistica romana indotta anche nei Comuni limitrofi sono stati costruiti 36 giganteschi centri commerciali diffusi in ogni quadrante urbano che si vanno ad aggiungere ai 4 di più modeste dimensioni preesistenti” (Berdini & Nalbone, 2011, p.111). Cellamare (2017), dopo aver rilevato che “sicuramente si può parlare di una rilevante politica implicita”, afferma che i centri commerciali e dell’intrattenimento “rappresentano, in maniera emblematica, il ‘precipitato’ sui contesti locali delle economie globali, la mediazione tra i grandi fenomeni sovralocali e l’’attrito’ dovuto ai territori locali”, all’interno di un articolo nel quale analizza le implicazioni sociali del New Metropolitan Mainstream, un fenomeno complesso alla cui affermazione, a Roma, hanno contribuito le polarità commerciali e le cosiddette ‘centralità’.

della pianificazione urbanistica, a limite ad esso correlate solo dalla motivazione di garantire la ‘fattibilità’ degli interventi dal punto di vista economico-finanziario.

C’è un esempio che compare sempre, in negativo, tanto nella letteratura scientifica quanto nell’approfondimento giornalistico: la centralità metropolitana di Bufalotta, localizzata nel settore nord della capitale, sulla sponda sinistra del fiume Tevere, in prossimità della riserva della Marcigliana ma all’interno del Grande raccordo anulare. Questo caso contiene in sé tutte le caratteristiche elencate finora: irrilevanza per le strategie di decentramento dal centro storico e per il recupero della città esistente; degenerazione in fase attuativa; proprietà privata dei suoli; accessibilità problematica; peso eccessivo delle destinazioni residenziali e commerciali; forte impatto sul contesto circostante.

Figura 2.11 – Bufalotta, la ‘centralità’ in costruzione.

Il nuovo quartiere residenziale e il centro commerciale Porta di Roma, al centro, ‘saldano’ l’esistente (i piani di zona sulla destra) al Grande raccordo anulare (Fonte: Bing Maps, 2017)

La centralità Bufalotta non si inserisce affatto nel cuore della periferia esistente per affrontarne i problemi, ma finisce per creare ulteriore periferia, essendo infatti prevista ex novo su una enorme area ‘vuota’, precedentemente a vocazione agricola, di proprietà privata238. Con la sua realizzazione, si costruisce una maggiore continuità (qualcuno

l’avrebbe definito un ‘saldamento’) tra le aree urbanizzate entro e fuori il Grande raccordo anulare, un’ulteriore saturazione, con la promessa di un grande parco nelle aree residue, come elemento di connessione fra i tanti frammenti esistenti. Le quantità edificatorie

previste sono enormi239, e le modifiche intervenute nella fase attuativa non fanno che

intervenire sulla destinazione funzionale, orientandola sempre più verso il residenziale240.

Fondamentalmente, anche a valle dei cambiamenti di destinazione d’uso intercorsi, una delle più grandi centralità di Roma si è tradotta in un enorme centro commerciale al centro di un enorme quartiere residenziale, con case a prezzi di mercato per circa 10.000 abitanti, e poco altro241. Oltre a queste destinazioni, infatti, vi sono alcuni edifici per uffici e, come detto,

vi dovrebbe essere il Parco delle Sabine ad assicurare il legame con i quartieri circostanti. Il nesso con l’intorno è poco percepibile, ed anzi l’intera operazione sembra essere una

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