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La ‘centralità’ dell’ex Snia: un angolo di mondo.

L’area dell’ex Snia si è dunque costituita nel tempo come una ‘centralità’ all’interno del contesto che sin qui ho descritto, attraverso un processo dalle caratteristiche molteplici: la progettualità di lungo periodo a partire dalla quale è stato possibile coinvolgere un largo numero di persone; il ruolo dell’azione diretta, con la pratica di riappropriazione dei luoghi e la loro restituzione all’uso pubblico; l’importanza della memoria storica per la costruzione di una ‘comunità’ multiforme; le dinamiche di autogestione alla base della gestione partecipata di beni pubblici; l’apertura alle pratiche ‘informali’ e l’autonomia diffusa come strumenti per la moltiplicazione e diversificazione delle attività e delle iniziative; il contrasto esplicito a qualsiasi iniziativa di sfruttamento economico dei luoghi; il conflitto con le politiche istituzionali in tal senso e il raggiungimento di mediazioni e convergenze355.

Il successo, finora, è avvenuto in relazione a diverse ragioni e alla loro combinazione. Si tratta di motivazioni ‘esterne’, aventi a che fare con il luogo in sé – il suo essere uno spazio libero in un contesto di urbanizzazione densa, il valore della fabbrica abbandonata, l’eccezionale evento della formazione del lago – e ‘interne’, relative alle caratteristiche sociali della battaglia, che le hanno permesso di essere di lungo periodo. Su quest’ultimo aspetto, provo a trarre alcune conclusioni.

Il processo fin qui illustrato ha avuto principalmente un valore ‘locale’: il protagonismo degli abitanti dei quartieri circostanti ha costituito le fondamenta stabili da cui portare avanti, attraverso diverse azioni, una ‘ricostruzione’ del territorio intesa come ridefinizione di un rapporto tra l’insediamento umano e la natura dei luoghi356, come tessitura di una trama di

relazioni finalizzate alla costruzione e/o riproduzione di una società locale complessa, presupposti per un’iniziativa diretta di autogoverno da parte degli abitanti (Magnaghi, 2010).

355 D’altro canto, in un’altra occasione (Gissara et al., 2015) ho avuto modo di argomentare come “la storia di questa lotta mostri una lezione semplice, spesso dimenticata nelle discussioni teoriche ma validata dall’esperienza: l’azione dei governi locali, in alcune occasioni, è stata aiutata dal rinforzarsi delle lotte sociali, e le spinte decisive sono venute proprio dai movimenti dal basso.In poche parole: i processi reali sono spesso dotati di una complessità maggiore delle teorie”.

356Questo rapporto, per essere generalizzato, ha le sue precondizioni nei ‘grandi passi’ illustrati – l’apertura all’uso pubblico dei luoghi – e la sua concretizzazione nell’esito delle pratiche quotidiane delle persone, che vanno perciò prese in considerazione. I motivi di interesse che vi si possono trovare sono diversi: il contributo materiale alla costruzione dei luoghi; il continuo adattamento, attrezzamento e appropriazione degli spazi; la connessione tra dimensioni materiali e immateriali dell’abitare i luoghi stessi (Cellamare, 2011). “[…] Le pratiche urbane svolgono un ruolo determinante nella costruzione della città. In primo luogo perché, in alcuni casi, la costruiscono effettivamente […]. In secondo luogo, perché la città non è data dal solo processo costruttivo degli spazi fisici, ma è data dal continuo adattamento, attrezzamento e appropriazione di tali spazi per renderli “luogo abitabile” […] infine, è il nostro stesso abitare che costruisce e disegna la città […] l’interesse verso le “pratiche urbane” sta proprio nella capacità di mettere in connessione le dimensioni fisiche e materiali e quelle culturali, simboliche e più genericamente immateriali insite nei modi con cui viene concretamente vissuta e abitata la città” (Cellamare, 2011). Nel fare riferimento a queste parole, in particolare per quanto riguarda la ‘costruzione’, il campo è chiaramente ridotto rispetto a quello menzionato (la ‘città’).

Ritengo necessario evidenziare, come contrappunto, che queste dinamiche hanno, allo stesso tempo, a che fare con quella che viene definita la ‘pluralizzazione’ del territorio (Crosta, 2010), osservabile con un’ottica fondata sulla mobilità urbana, attenta alla compresenza di diverse persone le cui vite quotidiane seguono traiettorie che coinvolgono più luoghi, ognuno dei quali è interessato dunque da ‘comunità’ diverse e, in buona parte, effimere. Una concezione molto diversa da quella ‘classica’, basata su di un paradigma ‘stanziale’, per la quale c’è una corrispondenza diretta e univoca tra luoghi e comunità.

L’adozione di una chiave di lettura complessa, che tenga insieme entrambe le logiche di mobilità e stanzialità, è forse lo strumento migliore per cogliere le dinamiche sociali avvenute in questi luoghi, restituendo la realtà di una ‘comunità’ sedimentatasi mediante la sua apertura ai cambiamenti che l’hanno coinvolta nel corso degli anni, e non per via di una sua definizione univoca come gruppo sociale.

Nel tempo, aprendo le porte alle pratiche più varie, è stato rinnovato il patrimonio genetico del quartiere: le lotte sul lavoro e per il ‘diritto alla città’ si sono intrecciate con la dinamica di mutazione continua dei suoi abitanti, cioè quel flusso ininterrotto di persone che, a seguito di diversi percorsi di vita, sono venuti a stabilirsi nel territorio in cui è localizzata l’ex fabbrica della Viscosa357.

La continua compresenza tra persone provenienti da luoghi diversi ha permesso, a mio parere, che le vicende avvenute nell’area dell’ex Snia si siano sempre riconnesse con dinamiche più ampie, in tante modalità: lo sforzo di “riconoscere nel locale tutte le mutazioni delle altre scale” (Semi, 2015); l’individuazione di connessioni con altre situazioni simili; la conseguente concretizzazione dello slogan ‘agire locale e pensare globale’.

357Queste caratteristiche, insieme agli elementi di continuità con la tradizione del movimento operaio, hanno fatto sì chequesto ‘locale’ fosse attraversato da questioni più generali, relative ai bisogni e alle necessità di molti, in particolare con le prioritarie rivendicazioni degli ‘ultimi’. In tal senso, è senza dubbio emblematica la vicenda successiva alla rivolta di Rosarno del 2010, quando oltre un centinaio di lavoratori migranti, attori fondamentali quanto misconosciuti e sfruttati nella filiera agroalimentare, sono stati ospitati nel centro sociale ex Snia. Nei giorni successivi alla rivolta, il ministro leghista Roberto Maroni aveva provveduto al trasferimento forzato dei lavoratori e alla loro reclusione in Centri di identificazione ed espulsione (Cie). L’ospitalità romana ha invece permesso di mantenere viva la questione politica, riguardante l’uscita dal ricatto attraverso la regolarizzazione, portandola proprio a Roma dove ha sede il Ministero dell’Interno. Inoltre, a partire da qui, un piccolo gruppo persone ha avviato la costruzione di un’esperienza di lavoro cooperativo e autogestito che ha ribaltato i termini della loro precedente condizione: la cooperativa sociale Barikamà, definita come “progetto di micro reddito gestito da ragazzi Africani: dallo sfruttamento nelle campagne, all'autogestione del lavoro e l'inserimento sociale” (dal sito ufficiale: http://barikama.altervista.org/).L’attività antirazzista, portata avanti negli anni attraverso la scuola di italiano, racconta qualcosa di simile: il reciproco adattamento tra le diverse popolazioni presenti in un quartiere caratterizzato da un melting-pot di nazionalità, culture, lingue e religioni, mediante processi dal basso che, nel tempo, costituiscono relazioni di fiducia e solidarietà.

Figura 3.15 – Via Prenestina, scritta sul muro del Csoa exSnia (immagine dal web)

La ‘storia’ narrata fin qui è, ovviamente, frutto di una lettura odierna, compiuta a posteriori: tutte le considerazioni sono nate da quanto ho potuto conoscere negli ultimi anni, in

particolare attraverso la mia partecipazione alla fase più recente di questa battaglia. Sono stato implicato e partecipe, prima e durante la mia esperienza di ricerca, nella lotta per la restituzione all’uso pubblico dell’area del lago, che ricostruirò nel prossimo capitolo, frutto della mia esperienza diretta e dalle riflessioni che, giorno dopo giorno, da essa sono

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