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In mezzo ai mostri de cemento st’acqua mò riflette er cielo. È la natura che combatte, e sto quartiere è meno nero. In mezzo ai mostri de cemento il lago è ‘n sogno che s’avvera.

È la natura che resiste, stanotte Roma è meno nera.

Assalti Frontali & Il Muro del Canto

Il lago che combatte, 2014

Negli anni recenti, la riappropriazione dell’area della fabbrica è tornata al centro della vita quotidiana del territorio del Pigneto-Prenestino e del quadrante di Roma Est. Tale questione ha avuto nuovamente lo spazio che merita, nell’agenda dei movimenti sociali del territorio e in quella delle istituzioni locali, in relazione all’ennesimo tentativo speculativo della proprietà. L’emergere di questo nuovo ciclo di lotta coincide con l’inizio della mia partecipazione358 e, dunque, anche dell’osservazione.

358 Nello specifico, dal 2013 ad oggi, a livello individuale e tramite il collettivo Dauhaus di cui faccio parte, ho seguito attivamente tale processo in molte delle sue articolazioni. Un elenco di tali attività è il seguente, frutto della traduzione di un articolo scritto a più mani e presentato alla conferenza internazionale “From CONTESTED_CITIES to Global Urban Justice”, svoltasi a Madrid nel giugno 2016: “[…] abbiamo partecipato ad assemblee, manifestazioni, gruppi di studio e molte altre attività, con il nostro tempo e le nostre competenze, facendo del nostro meglio. Abbiamo anche promosso attivamente, in cooperazione con altri, alcune di queste attività, ed in particolare: laboratori con le scuole nell’area (2013, 2014, 2015); una open call internazionale per la progettazione degli arredi del parco (2014); un workshop di autocostruzione di alcuni arredi per il parco (2014). Nelle assemblee generali, in gruppi di studio specifici ed in due incontri nella primavera del 2015, abbiamo contribuito alla ‘scrittura collettiva’ delle linee-guida per il parco, finalizzata a conservare e proteggere tutti gli elementi di valore emersi studiando l’area da differenti prospettive disciplinari (urbanistica, naturalistica, geologica, idrologica, architettonica e così via). Oggi, da quando il parco è stato

Il mio coinvolgimento personale, cioè le ragioni che mi hanno spinto a partecipare e la stessa esperienza vissuta in questi anni, ha certamente influenzato, oltre alla mia interpretazione dei fatti direttamente osservati, anche la lettura ‘storica’ riportata nel capitolo precedente. In questo contesto, come ho provato a mettere in luce nel precedente capitolo, ritengo che i processi cresciuti ‘dal basso’ nel tempo siano stati importantissimi, agendo in diverse maniere: lottando contro le logiche speculative, discutendo le differenti visioni del territorio, esplicitando i bisogni e le necessità dei suoi abitanti, creando le occasioni di partecipazione pubblica, e così via. Negli ultimi anni penso che sia successo lo stesso: queste attività hanno giocato un ruolo molto importante nella costruzione del futuro dell’area, tanto seguendo percorsi autonomi quanto spingendo le istituzioni a ‘fare la cosa giusta’.

Questo capitolo, come quello precedente, risponde alla volontà di rendere percepibile la ricchezza che attraversa l’ambito o, meglio, gli ambiti descritti. È utile, a mio parere, provare a spiegare come un aggregato di persone differenti sia riuscito nel tempo a determinare alcune scelte riguardati il proprio territorio, nonostante i cambiamenti avvenuti nella società abbiano reso sempre più difficile mettere in relazione gli interessi della maggior parte della popolazione e le decisioni prese dalle persone investite delle responsabilità di governo.

I contenuti e le interpretazioni che propongo hanno, alla loro base, un problema enorme: se è difficile (impossibile?) descrivere una persona, figuriamoci descriverne tante, e ciò che possono generare mettendosi insieme e coltivando relazioni che si fanno pratiche, progetti, esperienze sporadiche o di vita quotidiana. Perciò, nonostante le intenzioni, a confronto con la realtà questa narrazione rischia di essere ‘povera’.

Credo che questo aspetto vada riconosciuto, ponendosi una domanda fondamentale: come si può, in ogni caso, descrivere il crearsi di un contesto che affonda le radici nella storia dei luoghi, delle persone che lo hanno attraversato, nella memoria che si manifesta ad ogni angolo? Probabilmente è impossibile farlo: l’unico modo è quello di dar vita ad un’opera collettiva.

Quest’opera collettiva esiste: è il contesto stesso, che rifugge ad ogni tentativo di afferrarlo, schiudendosi poi in modi imprevedibili e rivelando sfaccettature sempre nuove. Una situazione in cui esistono, come visto nel capitolo precedente, numerosi ‘vasi comunicanti’: luoghi di (auto)organizzazione ‘generali’ e ambiti più specifici, relativi ai diversi progetti attivi. Si tratta di ‘strutture’ che, come detto, sarebbero contenitori vuoti senza la pratica quotidiana del confronto tra le persone. Sono dunque spazi in cui prende forma e si organizza qualcosa che, in qualche modo, già esiste, e che diventano luoghi in virtù delle relazioni che vi ‘abitano’: le persone li vivono e vi praticano una democrazia diretta e radicale, anche grazie alla fiducia che può derivare da abitudine, conoscenza e condivisione

aperto autonomamente nell’aprile del 2016, abbiamo aiutato a formalizzare un progetto aperto per l’area, includendo tanto le precedenti linee-guida quanto le nuove azioni realizzate e le idee espresse nel frattempo” (Gissara et al., 2016a).

reciproca. Lo sviluppo di queste relazioni, non certo esente da conflitti, contraddizioni, punti di arresto, ha dato e continua a dare vita a qualcosa di unico che, nell’impossibilità di essere rappresentato fedelmente, per essere colto a pieno deve essere ascoltato, visto, vissuto.

Per queste ragioni, il testo che segue vuole essere solo un affresco, un resoconto parziale utile a evidenziare alcune tematiche, a fornire degli esempi di come queste relazioni si concretizzano, per provare a dare una minima idea della ricchezza incontrata, o solo sfiorata e rievocata dai resoconti, durante questi anni.

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