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I frutti inattesi di un conflitto tra ambiente urbano e naturale.

Un lago nel cuore di Roma è nato da un tentativo di speculazione da parte di un grande ‘palazzinaro’, impedendolo. Sono stato colpito, come immagino anche tante altre persone, dall’immediatezza della storia del ‘lago che combatte’. Essa porta un messaggio semplice, che aveva ed ha un’enorme ridondanza comunicativa, riducendo a precisazioni e dettagli tutte le ulteriori informazioni che si possono dare.

La volontà di formalizzare la tutela dell’intero complesso risponde a un duplice obiettivo: da un lato, consolidare il risultato della battaglia, dall’altro porre le basi per spingerla più avanti. Le due questioni sono profondamente legate tra loro: l’area del lago, per la sua tutela, ha bisogno del ‘cuscinetto’ costituito dalla fabbrica, che la separa dalla zona più urbanizzata. Il riconoscimento di questa necessità apre le porte a considerazioni più ampie.

Innanzitutto negli ultimi decenni, in questi luoghi, il ruolo della natura e del suo sviluppo è stato incredibile. L’emergere del lago, con tutte le conseguenze che la disponibilità di una tale quantità d’acqua ha avuto sulla diffusione e diversificazione della flora e della fauna, ha reso questo ambiente uno straordinario rifugio per la biodiversità. L’obiettivo di preservare un ecosistema così importante, che oggi è un punto di sosta all’interno delle rotte migratorie degli uccelli e un luogo di riproduzione di molte specie, è stato molto importante all’interno della discussione riguardo l’uso futuro del parco.

Naturalmente, questo proposito è stato promosso da persone più sensibili al tema, che hanno dovuto convincerne altre attraverso l’argomentazione. Il riconoscimento collettivo è un passo importante, che sancisce la necessità di immaginare un futuro di convivenza tra usi antropici e preservazione dell’ecosistema creatosi nel tempo. È una posizione che, per

392 In particolare, la preesistente cassa delle iniziative del 25 aprile, la vendita dei ‘calendari del lago’ e una grande giornata di festa al lago nell’estate 2017.

393 Vedi, in particolare: http://lagoexsnia.wordpress.org.

394 Ad esempio: Forum Territoriale Permanente 2013; Rossini 2014; Maggioli&Tabusi 2014.

395 Le canzoni in questione sono due, realizzate a distanza di un anno l’una dall’altra: Assalti Frontali & Muro del Canto, Il lago che combatte, 2014 (https://www.youtube.com/watch?v=Dcb_Thrq2P8); Assalti Frontali feat. Sista Awa, In fondo al lago (il lago che combatte pt.2), 2015 (https://www.youtube.com/watch?v=FnTIuDTM6lY).

diversi motivi, non è stata e non sarà in futuro al riparo da conflitti con altre possibilità. Innanzitutto, perché rompe con un pensiero e un’abitudine sociale consolidata, che assegna una supremazia alle logiche ‘urbane’ rispetto a quelle naturali. Inoltre, perché il processo in questione è fortemente connotato dalla spinta alla ‘riconquista’ di spazi per un uso sociale.

Figura 4.4 – Il germano reale, simbolo della lotta.

Questo ragionamento porta poi all’estremo le considerazioni, fatte in precedenza396, sulla

‘città contesa’ tra spinte economico-finanziarie e volontà dei suoi abitanti. Le questioni che vengono alla luce hanno a che fare con lo ‘sviluppo’ capitalista e le sue potenzialità estremamente distruttive nei confronti dell’ambiente, i cui danni riguardano in primo luogo la specie umana. Sarebbe però limitante fermarsi a questa opposizione: l’analisi della questione ecologica e la sua connessione con le tematiche sociali, infatti, conduce a un cortocircuito, una situazione che mette in dubbio acquisizioni stabili da secoli e secoli.

Si apre, infatti, la possibilità di rovesciare i termini di un discorso classico, che sostiene che il dominio dell’uomo sull’uomo sia stato e sia necessario a liberarsi dal dominio della natura. È la strada percorsa dall’’ecologia sociale’, di cui parla Murray Bookchin: “[…] Sostenendo invece che il dominio sulla natura scaturisce dal dominio sugli esseri umani, l’ecologia sociale capovolge radicalmente l’equazione dell’oppressione umana e amplia enormemente il proprio orizzonte, rivolgendo la sua indagine sui sistemi istituzionali di coercizione e di

396 Vd. capitolo 3, in particolare i due paragrafi “La natura ‘contesa’ dei luoghi…” e “…da un punto di osservazione privilegiato”.

comando/obbedienza, che sono venuti prima dell’emergere delle classi economiche, ovvero non hanno unicamente motivazioni economiche […]” (Bookchin, 2006, p.42).

Questo stesso pensiero porta a riflettere sulla natura stessa, che “[…] non è un bel panorama da ammirare attraverso la finestra o immobilizzare su una cartolina […] la natura non è una rappresentazione statica del mondo naturale, ma la storia dell’evoluzione, lunga e comprensiva di tutti gli avvenimenti che l’hanno caratterizzata. […] la storia naturale è un’evoluzione cumulativa verso forme e relazioni sempre diverse, sempre più differenziate e complesse […]. La varietà, la differenziazione e la complessità aprono alla natura, man mano che questa si espande, nuove direzioni per un ulteriore sviluppo e linee alternative di evoluzione” (ivi, p.33).

Il rapporto tra natura e cultura – l’adattamento reciproco, ‘coevoluzione’, che genera il territorio (Magnaghi, 2010) – diventa oggetto di indagine, nella sua realtà odierna, in quella passata e in quella auspicabile nel futuro. Su questo tema, nella sua teorizzazione della ‘rivoluzione urbana’, Lefebvre (1973) aveva focalizzato un passaggio critico, individuandone l’origine nell’ascesa della ‘città industriale’: nel tempo, la città si era affermata come ‘seconda natura’, interamente opera dell’uomo, e due forze, l’urbanizzazione e l’industrializzazione, hanno contribuito a devastare la natura ‘reale’, riproponendola poi come feticcio397. L’autore

aveva messo in evidenza, inoltre, la valenza utopica che questa riproposizione può avere, rinviando al ‘puro artificio’ e alla ‘natura assoluta’398.

Il nostro caso è analogo, con una capacità ancor maggiore: l’ecosistema presente nell’area, gli elementi da cui è formato, quasi non evocano neanche il ‘puro artificio’, rinviando principalmente alla forza e alla bellezza della natura ‘selvaggia’, che cresce in spazi non controllati né organizzati dall’uomo.

397 Dopo aver illustrato con un asse spazio-temporale le diverse fasi della storia, tendenti all’urbanizzazione completa dunque alla ‘società’ urbana, Lefebvre (1973) affronta la questione sotto diversi aspetti, a partire dal passaggio alla ‘città industriale’: “[…] Da questo momento in poi la città appare come una seconda natura […]. Non si dà città, non si dà spazio urbano senza giardino, senza parco, senza simulazione della natura […]. Nella fase critica, in primo piano dei problemi appare la natura. Alleate e concorrenti, l’industrializzazione e l’urbanizzazione devastano la natura”; “Teoricamente, la natura si allontana, ma i segni della natura e del naturale si moltiplicano, rimpiazzando e soppiantando la ‘natura’ reale. […] In tutta la pubblicità […] il riferimento alla natura è perpetuo. […] Ciò che non ha più senso cerca di ritrovare un senso attraverso la mediazione del feticcio ‘natura’”; “[…]tutte le logiche e tutte le tautologie finiscono per incontrarsi. Da una parte esse hanno un punto in comune: la logica del plusvalore. La città, o quel che ne resta, o quel che diventa, serve meglio che mai alla formazione del capitale, cioè alla formazione, la realizzazione e la ripartizione del plusvalore. D’altra parte queste logiche e tautologie negano la natura. […] Respingendo le peculiarità, la razionalità industriale devasta puramente e semplicemente la natura”.

398 “[…]. L’u-topia è altrettanto necessaria che l’isotopia e l’eterotopia. Essa è ovunque e in nessun posto. […] Parchi e giardini rendono sensibili, visibili, leggibili, intercalati nel tempo urbano come nel sito, degli ‘altrove’. Essi rinviano ad una duplice utopia: la natura assoluta, il puro artificio. Quando il parco e il giardino (pubblici) non sono sottoposti a una razionalità di origine produttivistica e industriale, quando non sono neutralizzati e non si riducono allo ‘spazio verde’, geometria avara e parodistica, essi suggeriscono la natura assoluta e inaccessibile […]. Il giardino, il parco sono questo e quello, contrasti assoluti fortemente riuniti, ma in una maniera che evoca la libertà, la separazione u-topiche” (Lefebvre, 1973).

Gilles Clément, poliedrico studioso francese, dà un nome agli “spazi indecisi, privi di funzione” scrivendo il suo Manifesto del terzo paesaggio, definizione con la quale racchiude i ‘residui’ dell’organizzazione del territorio399, aree abbandonate o marginali la cui natura

sfugge alla divisione tra territorio antropizzato e non. “Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un terreno di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata” (Clément, 2005,p.10).

Ponendosi su un piano ecologico, dunque al di là delle possibili analogie e delle metafore riguardanti la condizione umana, l’autore fa una dichiarazione che sembra essere stata appositamente scritta per il processo osservato: “[…] Lo statuto (non scritto ma accertato) del Terzo paesaggio è di ordine planetario. Il mantenimento della sua esistenza non dipende da esperti ma da una coscienza collettiva” (ivi, p.26). Clément, per arrivare a scrivere un vero e proprio manifesto, delinea alcuni caratteri di insieme di questi spazi, evidenziando in particolare alcune tematiche, questioni più ampie facilmente relazionabili a quelle che emergono dal caso-studio del lago e dell’ex fabbrica Snia: l’impatto delle attività umane400, la

pericolosità dell’attuale sistema economico e la differenza radicale rispetto alle sue logiche401;

il rapporto con la società umana e le sue istituzioni, prediligendo un ‘uso non istituzionale’402; il suo significato culturale, relazionato all’invenzione e

all’indeterminatezza403.

399 “Gli spazi della diversità provengono da tre diverse origini: gli insiemi primari, i residui, le riserve. Gli

insiemi primari sono spazi che non sono mai stati sottoposti a sfruttamento. Evolvono lentamente, o per nulla

[…]. I residui derivano dall’abbandono di un’attività. Evolvono naturalmente verso un paesaggio secondario […]. Le riserve sono insiemi protetti dall’attività umana, in seguito a una decisione. Insiemi giudicati fragili o rari, ricchi di una diversità in pericolo. O ancora insiemi sacri (proibiti) […]” (Clément, 2005, p.17-19).

400 “La copertura del pianeta da parte del genere umano induce una diminuzione delle superfici offerte al Terzo paesaggio, dunque alla diversità. […] Le pratiche di sfruttamento del pianeta hanno un impatto sui substrati – acqua, aria, terra. Modificano le capacità biologiche, alterandole. Riducono le prestazioni del “motore” biologico in misura proporzionale all’energia contraria dispiegata per lo sfruttamento. […] Le attuali pratiche di sfruttamento del pianeta obbediscono in buona parte alle logiche di un’economia di mercato sviluppata secondo il modello liberale, con obiettivi di profitto immediato. […] L’economia di mercato così sviluppata tende a far crescere la quantità di prodotti di consumo, presuppone un aumento sempre maggiore del numero di consumatori, dunque di abitanti. La durata del Terzo paesaggio – della diversità, del futuro biologico – è legata al numero umano e soprattutto alle pratiche messe in opera da questo numero” (Clément, 2005, p.30). 401 “Un principio di evoluzione anima il Terzo paesaggio. […] I principi di evoluzione biologica e di evoluzione economica non sono sovrapponibili. […] Crescita, sviluppo esprimono la dinamica di un sistema economico, in quanto accumulazione. […] Crescita, sviluppo esprimono la dinamica di un sistema biologico, in quanto trasformazione. […] Il Terzo paesaggio, territorio d’elezione della diversità, dunque dell’evoluzione, favorisce l’invenzione, si oppone all’accumulazione” (Clément, 2005, p.55-56).

402 “[…] Il disinteresse per il Terzo paesaggio da parte dell’istituzione non modifica il suo divenire, lo rende possibile […] garantisce il mantenimento e il dispiegamento della diversità. […] non significa disinteresse in senso assoluto. […] L’uso non istituzionale del Terzo paesaggio è da annoverare tra gli usi più antichi dello spazio. […] L’utente non istituzionale del Terzo paesaggio acquista uno statuto condiviso da tutti gli esseri che compongono questo territorio. Diventa parte integrante del sistema evolutivo” (Clément, 2005, p.54-55).

403 “Il Terzo paesaggio può essere visto come la parte del nostro spazio di vita affidata all’inconscio. Profondità dove gli eventi si accumulano e si manifestano in modo, all’apparenza, indeciso” (Clément, 2005, p.57).

È la metafora delle macerie successive al crollo di un sistema, ben rappresentata dalla similitudine tra l’archeologia industriale presente nell’area, ricolonizzata dalla natura, e i resti di Roma antica delle incisioni di Piranesi o di altri artisti.

Figura 4.5 – Rovine romane in un’incisione di Giovanni Battista Piranesi (1720-1788).

L’ambiente raffigurato è quello delle Grandi Terme di Villa Adriana a Tivoli.

Non va dimenticato che, mentre la natura ‘non umana’ veniva messa ai margini e resa feticcio, la stessa fabbrica era concepita come vettore di progresso e nucleo aggregativo dell'abitato. Possiamo ancora associare i ruderi della fabbrica alla celebre frase “la bella architettura fa belle rovine”404, mentre, per un motivo o per l’altro, l’ultimo atto concreto di

questa storia – il tentativo di costruzione del centro commerciale che ha generato il lago – non è certo all’altezza del suo precedente storico. Nel suo piccolo, continuando a ragionare di metafore e significati simbolici, il ‘mostro’ – lo scheletro strutturale posato sul fianco del bacino naturale – illustra una vicenda più recente: la parabola che ha interessato un

materiale, il cemento, fino a farlo divenire un ‘male assoluto’ nel sentire comune, dopo essere stato per lungo tempo un emblema del progresso405.

Il lago, con la sua localizzazione a ridosso del centro storico di Roma, è perciò emblematico di un cambiamento necessario: il passaggio culturale da una logica urbana autoreferenziale, incurante di tutto ciò che non le appartiene, a una logica ambientale integrata, ecosistemica. Al di là della sua definizione normativa, la proposta di costituzione di un ‘monumento naturale’, completamente circondato dall’urbanizzazione, aveva questo valore implicito. Questa consapevolezza è entrata pienamente nella lotta per la riappropriazione del lago: la tematica della rete ecologica, ad esempio, è stata al centro di una delle giornate di progettazione partecipata, nella quale ha avuto luogo un confronto assembleare con organizzazioni attive nella tutela e salvaguardia del verde in altri territori della capitale406. I

temi delle ‘nocività’ conseguenti a grandi e piccole opere ha sempre avuto un’attenzione particolare nel confronto con altre lotte territoriali407, e inoltre la questione è entrata, facendo

un notevole salto di scala, nella vertenza contro il supermercato Lidl.

Approfondirò più avanti i rapporti, la complicità, i reciproci rimandi e le sinergie con le altre esperienze ‘in movimento’. In questa sede mi interessa una caratteristica comune: la difesa dei territori da opere percepite come inutili, con il diffondersi di un senso comune che fatica a credere alle promesse del progresso, dunque ai benefici sociali relazionati – automaticamente – alla realizzazione di infrastrutture, nuove edificazioni, ‘paesaggi funzionali’ (Brenner, 2016a).

405 L’elenco dei ‘segni dei tempi’ potrebbe continuare, con analogie più deboli ma comunque dense di significato: ad esempio con il progetto dei grattacieli che, quale novello Plan Voisin in sedicesimi, minaccia di abbattersi sul contesto esistente annullandone completamente i connotati.

406 Vedi gli accenni all’iniziativa “Il lago che vogliamo” – in particolare, la seconda giornata, il 18 aprile 2015 – diffusi all’interno del capitolo, in particolare nelle note 408-410.

407 Per rappresentare questo aspetto, credo sia utile portare come esempio due momenti già menzionati nella ‘cronologia’: da un lato, la giornata del febbraio 2014, nella quale la (neonata) battaglia per il lago si confrontata ed ha appoggiato le istanze dello movimento Notav, attraverso un’assemblea sulle sponde del lago stesso a cui hanno partecipato esponenti delle lotte sul tema dei rifiuti; dall’altro, l’inclusione della lotta per il lago ex Snia nell’Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali, parte di una grande mappatura partecipata globale.

Da una logica urbana autoreferenziale, a una logica ambientale integrata.

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