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IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.

6. La dimensione applicativa dell’art 112 Cost.

6.1. I criteri di priorità.

I c.d. criteri di priorità rappresentano, appunto, la risposta elaborata dalle Procure al fine di rendere gestibile il flusso delle notizie di reato. Trattasi di strumenti di gestione e programmazione del lavoro giudiziario mediante cui, tenuto conto

procedendo, cui non sono talora estranee precise (e dichiarate) istanze generali di politica

criminale. Senonché non sembra che l’esercizio di una simile discrezionalità incidente, nella sostanza, sui criteri operativi e sulle strategie giudiziarie di svolgimento dell’azione penale – ovviamente in rapporto ai mezzi ed alle risorse disponibili – venga a porsi in contrasto con il principio sancito nell’art. 112 Cost., nemmeno quando possa obiettivamente derivarne un rallentamento di determinati procedimenti rispetto ad altri. Purché, beninteso, le relative scelte risultino sempre correlate a motivazioni di tipo funzionale, ovvero a necessità organizzative dell’ufficio, e non nascondano, invece, opzioni surrettizie sul piano di una inammissibile discrezionalità politica, magari tendente a “insabbiare” alcune richieste già avviate».

94 Lamentava tale situazione, già nel 1990, Giovanni Falcone, Relazione al convegno “L’azione per la repressione dell’illecito tra obbligatorietà e discrezionalità”, Atti del XV Convegno di

Senigallia, 2-3 febbraio 1990, in Giustizia e Costituzione, 1991, pp. 53-56: «La disorganicità degli interventi repressivi da parte del pubblico ministero continua a manifestarsi malgrado l’obbligatorietà dell’azione penale. Gli esempi al riguardo sono tanti e sono sotto gli occhi di tutti: basterebbe ricordare l’accentuazione della repressione dei reati contro la morale pubblica in alcune zone dell’Italia e in determinati periodi, o l’accentuarsi della tutela ambientale in alcuni uffici e non in altri. Ed allora, ci si domanda come in un regime liberal democratico, quale è indubbiamente quello del nostro paese, non vi sia ancora una politica giudiziaria, e tutto sia riservato alle decisioni, assolutamente irresponsabili, dei vari uffici di procura e spesso dei singoli sostituti… Mi sento di condividere l’analisi secondo cui, in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del pubblico ministero, saranno sempre più gravi i pericoli che influenze informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività. Mi sembra giunto, quindi, il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del pubblico ministero finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività».

95 G. Di Chiara, Esiguità penale e trattamento processuale della «particolare tenuità del fatto»: frontiere e limiti di un laboratorio di deprocessualizzazione, in AA. VV., Il giudice di pace. Un nuovo modello di giustizia penale, CEDAM, Padova, 2001, p. 329.

degli affari penali pendenti, della gravità degli stessi e delle capacità strutturali degli uffici, il Procuratore capo può organizzare l’ordine di trattazione dei procedimenti96.

Tale prassi, già sperimentata in forma embrionale nel periodo del terrorismo97, ha trovato piena applicazione con riferimento alla criminalità non emergenziale a partire dalla fine degli anni ’80. Fra i numerosi provvedimenti adottati dalle varie procure, si rammentano (in specie per il dibattito innescato):

- la circolare Pieri-Conti (8 marzo 1989), con cui il Presidente e il Procuratore generale della Corte di appello di Torino, constatato che la capacità di smaltimento di tale corte non superava il 50% delle sopravvenienze, sottolineavano la necessità di adottare strumenti organizzativi che consentissero di razionalizzare il carico giudiziario dando priorità ai processi importanti98;

- la circolare Zagrebelsky (16 novembre 1990)99, in cui l’allora Procuratore capo di Torino, prendendo atto dell’impossibilità di smaltire tutte le

96 Pare opportuna la precisazione di M. Ceresa Gastaldo, Dall’obbligatorietà dell’azione penale alla selezione dei processi, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2011, pp. 1415 ss.,

che distingue i “criteri” per l’esercizio dell’azione penale dai presupposti dell’accusa (il cui riscontro è già sottinteso dall’art. 112 Cost.): gli uni, infatti, sono preordinati a operare a valle (o comunque a prescindere) della verifica di sussistenza degli altri. In mancanza dei presupposti (notitia criminis improcedibile o accusa insostenibile), il dovere di agire non sorge e si giustifica la richiesta archiviativa; viceversa, i “criteri” sono finalizzati a regolare l’esercizio dell’azione quando questa è, astrattamente o in concreto, promovibile. Del resto, prosegue l’Autore, intento del legislatore è quello di consentire in via legislativa il condizionamento dell’accusa, non già quello di chiarire che la giurisdizione penale va attivata solo quando se ne ravvisino le premesse.

97 V. Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, in AA.VV., Il pubblico ministero oggi, cit., pp. 106 e ss. ricorda come in quegli anni il CSM avesse ritenuto

opportuno sollecitare la formazione di gruppi specializzati di magistrati spingendo pure verso una programmazione dei lavori tale da consentire una trattazione prioritaria dei processi più gravi.

98 Si legge nella circolare, in Cassazione penale, 1989, pp. 1373 e ss.: «occorre, a questo fine,

evitare di sprecare tempo, fatica e denaro dello Stato in attività praticamente inutili – quale la minuziosa e scrupolosa celebrazione di processi destinati ineluttabilmente alla prescrizione. Ciò richiede un filtro scrupoloso delle priorità da assegnare ai singoli processi, in modo da far procedere rapidamente, e senza timori di prescrizioni, i processi importanti e non ingolfare, al tempo, uffici già strutturalmente troppo deboli con masse ingenti di lavoro inutile, perché destinato ineluttabilmente ad essere del tutto vanificato».

99 Il testo della nota circolare è rinvenibile in Giustizia e Costituzione, 1991, pp. 103 ss. Ivi in

particolare, venivano fissate per la procura di Torino le seguenti priorità di trattazione: 1) Procedimenti con un indagato soggetto a misure cautelari personali – coercitive o interdittive – o nel corso dei quali siano state adottate misure cautelari reali; 2) Procedimenti relativi a fatti di reato da considerare gravi in considerazione della personalità dell’indagato, della lesione subita,

notizie di reato, caldeggiava l’utilizzo dei criteri di priorità, strumento organizzativo indispensabile e compatibile con l’art. 112 Cost. Si legge nella circolare: «È chiaro che l’indicazione di criteri di priorità suscita problemi non facili, anche sul piano dei principi costituzionali e fondamentali della organizzazione giudiziaria e della funzione del pubblico ministero. […] Tuttavia l’individuazione di criteri di priorità non contrasta con l’obbligo di cui all’art. 112 Cost., dal momento che il possibile mancato esercizio di un’azione penale tempestiva e adeguatamente preparata per tutte le notizie di reato non infondate, non deriva da considerazioni di opportunità relative alla singola notizia di reato, ma trova una ragione nel limite oggettivo alla capacità di smaltimento del lavoro dell’organismo giudiziario e di questo ufficio in particolare». Dunque, si avanzava già la tesi che il fondamento costituzionale di tali criteri risiedesse nell’art. 97 Cost., senz’altro riferibile anche all’amministrazione della giustizia;

- la circolare Maddalena, adottata il 10 gennaio 2007 dal Procuratore della Repubblica di Torino in seguito alla legge di indulto 241/06100. Per vero, tale documento sembrò spingersi oltre i confini disegnati dai precedenti provvedimenti: sulla base di criteri legati all’oggettività del fatto, alla gravità della lesione degli interessi protetti, alla soggettività del reo, all’interesse all’azione ecc., il Procuratore capo suggeriva ai sostituti l’accantonamento dei fascicoli e l’archiviazione generosa di taluni reati

dell’interesse penale tutelato, della reiterazione, del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato e non risarcito o altrimenti rimosso; 3) i procedimenti residui.

100 Si tratta dello stesso Marcello Maddalena, Azione penale, funzioni e struttura del Pubblico Ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in Gaito A. (a cura di), Accusa penale e ruolo del pubblico ministero, Jovene, Napoli, 1991, pp. 160 e ss., che nel 1991 sosteneva che: «Il cittadino

può accettare che un imputato possa venir condannato e un altro assolto (anche in situazioni eguali o simili); che vi possa essere una sentenza giusta ed una sbagliata (dipende dalla fallibilità del giudizio umano), così come, nel campo scolastico, si può accettare che, in sede di esame, un componimento sia valutato di più o di meno, che uno sia promosso o sia bocciato. Ma non è accettabile che qualcuno l’esame non lo possa sostenere. Così, nel campo penale, una volta che ci sia la notitia criminis, non è accettabile che qualcuno possa essere esonerato dal giudizio. É uno dei principi cardine del nostro ordinamento: l’eguaglianza del cittadino, almeno di fronte alla legge penale. Almeno come principio di fondo, come utopia, come norma scritta: non può essere che di fronte ad una notizia di reato si possa decidere di procedere contro Tizio e non contro Caio».

commessi in un dato arco temporale. In particolare, si legge nella circolare: «insistere allora nel trattare tutti e comunque i procedimenti pendenti è non solo poco realistico ma, soprattutto, contrario a ogni logica e a ogni seria previsione e considerazione in ordine ai fatti di reato che si sono consumati prima del 2 maggio 2006. Perché, a tutte le considerazioni che si sono sin qui sviluppate occorre aggiungere che, quand’anche si riuscisse, sul filo di lana, a giungere a una condanna definitiva, essa sarebbe resa vana dall’effetto dell’indulto e dal travolgimento di molti altri effetti penali o no della sentenza di condanna»101. In particolare il suddetto dirigente evidenziava che la rigida applicazione, senza correttivi, del principio cronologico nella trattazione dei fascicoli avrebbe comportato non solo la sicura prescrizione dei fatti consumati in epoca antecedente alla legge applicativa dell’indulto, ma altresì la prescrizione dei reati consumati in epoca successiva.

L’idea dei criteri di priorità ha trovato accoglimento anche in sede normativa. Dapprima con la disciplina transitoria dettata con il d.lgs. n. 51 del 1998, istitutivo del giudice unico di primo grado102; successivamente, con il d.l. 341/2000 (conv. in l. 4/2001), introduttivo dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p.103; da

101 Il testo della circolare è pubblicato in Questione Giustizia, 2007, pp. 617 ss.

102 In particolare, nell’art. 227 del citato decreto si prevede che: «1. Al fine di assicurare la rapida

definizione dei processi pendenti alla data di efficacia del presente decreto, nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza, anche indipendentemente dalla data del commesso reato o da quella delle iscrizioni del procedimento, si tiene conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti, nonché dell’interesse della persona offesa. 2. Gli uffici comunicano tempestivamente al Consiglio superiore della magistratura i criteri di priorità ai quali si atterranno per la trattazione dei procedimenti e per la fissazione delle udienze».

103 Ivi si prevede che, nella formulazione dei ruoli di udienza, debba essere data priorità assoluta

ai procedimenti che presentano ragioni di urgenza con riferimento allo scadere dei termini di custodia cautelare. Con riferimento a tale disposizione, S. Morisco-C. Papagno,

Dall’obbligatorietà alla discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale. “Pacchetto sicurezza”,

Giuffrè, Milano, 2008, p. 17, ricordano come l’introduzione di tale disposizione non creò particolari dubbi di costituzionalità «perché la riduzione della discrezionalità del giudice in ordine alla fissazione del ruolo di udienza e il trattamento differenziato per i processi penali ivi contemplati appare “ragionevole”, in considerazione delle prerogative richieste per il trattamento prioritario. Fissare una corsia privilegiata per i processi in cui vi è il rischio di scadenza dei termini di custodia cautelare è apparsa, ictu oculi, in linea con le esigenze di contenimento dei

ultimo, con il decreto sicurezza 2009 (d.l. 92/2008, convertito in l. 125/2008, «Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza»)104.

In tal senso, taluna dottrina precisa come la trasposizione in sede normativa di tali criteri abbia accreditato in modo formale l’idea che la preselezione delle notizie di reato possa rappresentare la soluzione all’ingestibilità del carico giudiziario e, insieme, una forma di disciplina dei fenomeni di discrezionalità di fatto esercitata dai magistrati requirenti105.

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