LA DISCREZIONALITA’: DEFINIZIONI E CRITERI DI ANALIS
4. Gli Stati Uniti d’America.
4.6. Le alternative al processo: il plea bargaining.
La giustizia penale nordamericana riesce a portare a dibattimento solo il 5-10% dei processi85. Tale particolare sollecitudine non sembra da ricondurre a specifiche previsioni costituzionali o legislative ma ai meccanismi della
prosecutorial discretion, del bench trial e, in particolar modo, del plea bargaining86.
In America, infatti, la vera alternativa al dibattimento consiste nel non celebrare affatto il processo: 9 imputati su 10 decidono di rinunciare al dibattimento spesso
83 Il dato, che risale a uno studio del 2008, è riportato da W.T. Pizzi, op. cit., p. 559. 84 Ivi, p. 560.
85 Il dato è riportato da A. Gasparini, op. cit., pp. 53 ss., il quale spiega la repentina ascesa del plea bargaining alla luce delle profonde trasformazioni che hanno attraversato la struttura
socioeconomica, le istituzioni giudiziarie e processuali del Paese: «Ipertrofia della produzione normativa in campo penale, trasformazione della polizia da organismo di “amateurs” a corpo stabile di personale full-time, incremento nel livello di preparazione professionale di giudici e avvocati, burocratizzazione degli stessi uffici dell’accusa e imporsi di logiche di “maximation of
production and minimization of work”, irrobustimento delle garanzie difensive e progressiva
formalizzazione del processo con sviluppo smisurato di articolate ed esasperanti regole probatorie e di selezione delle giurie: sono tutti fattori che concorrono ad intasare la macchina giudiziaria, predisponendola ad un massiccio ricorso a meccanismi di tipo transattivo che consentano di decongestionare la fase dibattimentale».
86 C. Marinelli, Ragionevole durata e prescrizione del processo penale, Giappichelli, Torino,
senza nemmeno sapere quanto tale condotta gli gioverà in termini di riduzione di pena87. Così, nella stragrande maggioranza dei casi avviene che l’imputato si dichiari colpevole (guilty plea) già in fase pre-trial.
La disciplina del guilty plea è stata formalizzata solo nel 1974, con l’introduzione dell’undicesima Regola federale. Ivi si prescrive che nel corso dell’udienza predibattimentale sia domandato all’accusato di prendere posizione in merito alla sua colpevolezza: nel caso in cui questo si professi not guilty, il giudizio procede secondo le modalità ordinarie; diversamente, effettuati una serie di controlli preliminari, il giudice fissa la data del sentencing, ossia dell’udienza in cui si procede direttamente alla quantificazione e alla conseguente applicazione della pena. Alla base della eventuale dichiarazione di colpevolezza dell’accusato vi è spesso una plea negotiation, cioè un accordo fra questo e il prosecutor avente a oggetto la negoziazione dell’ammissione di colpevolezza con una concessione o una promessa di clemenza da parte del giudice o dell’accusa pubblica88. È diffusa l’affermazione secondo cui il plea bargaining sarebbe una conseguenza pratica ed inevitabile del principio della discrezionalità dell’azione penale89.
Si distinguono, in particolare, il sentence bargaining, che è l’accordo mediante cui l’imputato e la pubblica accusa scambiano la dichiarazione di colpevolezza con la promessa di “raccomandare” al giudice l’applicazione di una pena specificamente indicata e comunque sensibilmente contenuta; e il charge
bargaining, con cui, invece, l’imputato “scambia” la propria dichiarazione di
colpevolezza con la rinuncia da parte del prosecutor alla contestazione di taluni reati o con la promessa di una loro derubricazione.
L’accordo concluso fra accusa e difesa viene sottoposto al giudice il quale, in base alle Federal Rules of Criminal Procedure, può approvare l’agreement e infliggere la pena prestabilita oppure chiedere un probation report e l’eventuale acquisizione di dichiarazioni testimoniali per stabilire la fondatezza delle
87 A. Mura-A. Patrono, op. cit., p. 62.
88 Approfondisce il tema del plea bargaining negli Stati Uniti d’America J. Brown, Meriti e limiti del patteggiamento, in E. Amodio-C. Bassiouni, op. cit., pp. 131 ss.
89 F. Giunta, Qualche appunto sul plea bargaining, funzioni della pena e categorie penalistiche,
dichiarazioni di colpevolezza, oppure ancora rifiutare l’accordo stesso quando ritenga, per esempio, che la pena prospettata sia troppo mite per le esigenze di difesa sociale da attivare per quel fatto90. Nella prassi, il controllo della Corte è più che altro volto a verificare che il plea of guilty sia frutto di una scelta
voluntarily and intelligently made. Egli, di fatto, non entra nel vivo delle
negoziazioni: così, in caso di sentence bargaining il potere della Corte si riduce all’accertamento che la pena prestabilita ricada nel margine edittale (guideline
range) o che un’eventuale deroga sia motivata da justifiable reasons; in caso di charge bargaining, il giudice detiene il potere di verificare quale peso sia dato
nella pena stabilita al reato non contestato91.
Nonostante la sua utilizzazione più che ampia, il bargaining non riceve comunque una totale approvazione nell’opinione pubblica. Non manca la preoccupazione, talvolta fondata, che la prospettiva di determinati vantaggi venga scelta come strada più conveniente anche da chi non sia colpevole92. In tal senso, tale forma di negoziazione rischierebbe di provocare una degradazione delle finalità cui dovrebbe tendere il sistema penale realizzando obiettivi di
90 Nota W. T. Pizzi, op. cit., p. 560: «In teoria, si ritiene che i giudici approvino i plea bargainings ove siano sicuri che essi servono l’interesse pubblico. In questo modo, se un bargain
è troppo indulgente, un giudice dovrebbe, in astratto, rigettare quell’accordo. Ma qui emerge lo stesso difetto strutturale descritto sopra: in un sistema fortemente adversarial, se le parti sono soddisfatte e ritengono che un certo accordo sia appropriato, da dove “l’arbitro imparziale e neutrale” riceve l’autorità per rigettare l’intesa raggiunta dalle parti? È inopportuno per un componente del potere giudiziario rigettare un accordo proposto da un prosecutor, membro del potere esecutivo (e di solito un pubblico ufficiale eletto), poiché considerato non in linea con l’interesse pubblico. Inoltre, vi sono dei problemi pratici per i giudici nel rigettare un plea
bargain. In mancanza di un fascicolo d’ufficio pari a quello che si trova nei sistemi continentali,
un giudice negli U.S.A. non conosce i fatti del caso concreto così bene come li conoscono l’accusa e la difesa. Potrebbero esistere in ogni vicenda dei punti deboli che un giudice non è in grado di conoscere e ciò rende assai improbabile che in qualsiasi causa importante vi sia il rigetto del plea bargain da parte dell’organo giurisdizionale».
91 A. Gasparini, op. cit., pp. 59 ss.
92 A. Gasparini, op. cit., p. 56, riferisce il rischio di dichiarazioni auto-accusatorie infondate
specie a pratiche come quella del package o contingent plea bargaining, utilizzate nei procedimenti con più imputati per offrire o negare la concessione di benefici alla totalità dei soggetti coinvolti. Secondo l’Autore, un’offerta all or nothing infatti, specie se diretta verso familiari o congiunti dell’imputato compartecipi del reato, può rivelarsi una potente arma nelle mani del prosecutor idonea a sopraffare la parte avversa inducendola alla scelta della procedura pattizia sulla base di elementi assolutamente estranei alla sua colpevolezza e alla solidità dell’ipotesi accusatoria.
efficienza più che di giustizia del sistema: ne uscirebbero stravolti, di
conseguenza, i ruoli delle parti e le garanzie processuali fondamentali di cui ogni imputato dovrebbe godere. «Il patteggiamento espropria le parti dai loro specifici ruoli e le riduce, nel migliore dei casi, al livello di “mercanti”, nel peggiore, a quello di persone dedite agli intrighi e ai cavilli. Giudici e avvocati dimenticherebbero il loro dovere di contribuire all’accertamento della verità, mentre i rappresentanti dell’accusa e i difensori non si dedicherebbero alla preparazione del processo con il necessario impegno»93.
A prescindere dalle perplessità che ne accompagnano la realizzazione, ad oggi, come anticipato, quasi il 90% dei casi pendenti sono risolti tramite il ricorso a tali procedure. Sembra ne sia complice anche la prospettiva degli scarsi vantaggi derivanti all’imputato dal regime prescrizionale, dai mezzi di impugnazione e dal ventaglio ristretto di misure alternative alla detenzione.
A differenza di quanto accade in Italia, l’operatività della prescrizione si limita alla fase anteriore all’inizio del processo: se il processo viene iniziato, la prescrizione non può più verificarsi, a prescindere dal tempo necessario per la conclusione del rito. In tale ottica, l’imputato americano non è minimamente influenzato, al momento di dichiarare o meno la propria colpevolezza, dai possibili vantaggi derivanti dal decorso del tempo prescrizionale. Diversamente, nella stessa ottica utilitaristica, egli, ove colpevole, godrà senz’altro di vantaggi superiori attraverso gli accordi con la polizia o il p.m.94
Altrettanto ristrette paiono le prospettive americane in tema di benefici penitenziari. A differenza di quanto accade in Italia, infatti, in cui un imputato sa
93 J. Brown, Meriti e limiti del patteggiamento, cit. p. 143.
94 Si soffermano su tale distinzione A. Mura-A. Patrono, op. cit., pp. 96-97, i quali in merito alla
scelta del rito ordinario, e quindi del dibattimento, da parte dell’imputato italiano affermano che: «l’imputato che abbia fatto questa scelta normalmente persevera con coerenza sulla via intrapresa, quella del guadagnare tempo: e, quindi, in caso di condanna in primo grado, proporrà appello e, in caso gli andasse male anche l’appello, cercherà di proporre il ricorso per cassazione, il tutto sempre con l’obiettivo di far passare più tempo possibile. Come minimo, così facendo, egli avrà ottenuto un primo risultato, ovverosia quello di sospendere l’esecuzione della pena a cui era stato condannato e ritardare il momento in cui dovrà iniziare a scontarla. Se poi sarà stato fortunato, potrà raggiungere il traguardo del superamento dei termini di prescrizione e ottenere così l’estinzione del reato: obiettivo che le statistiche mostrano essere assai realistico, e dunque attraente per gli interessati, a dispetto delle norme e della giurisprudenza che escludono la rilevabilità della prescrizione in cassazione quando il ricorso proposto risulti inammissibile».
già che per molte condanne a pene detentive potrà accedere a misure alternative alla reclusione in carcere, o comunque potrà ottenere sconti o riduzioni di pena, in America non è così poiché tendenzialmente la pena inflitta deve essere scontata: negli Stati Uniti, dunque, la prospettiva di una pena certa e più lunga potrebbe essere individuata tra i fattori che costituiscono un incentivo per l’imputato – consapevole della propria responsabilità nonché della sussistenza di prove adeguate a sostenerne la colpevolezza in giudizio – a cercare di ottenere già sin dall’inizio la condanna alla pena più bassa possibile, ricorrendo quindi a forme di trattative anteriori al trial95.
Con riferimento, infine, alle impugnazioni, si nota come il sistema americano soffra l’assenza di un tribunale del fatto nei gradi successivi al primo: «Ciò sta a dimostrare l’impossibilità di rinnovare il dibattimento al fine di sindacare le risultanze del fatto storico: espresso in altri termini, il gravame potrà concernere soltanto punti di diritto oggetto di erronea o controversa interpretazione, quali l’assunzione illegale di mezzi probatori ovvero l’inadeguata assistenza difensiva, e non la fondatezza del giudizio emesso dai peers, i quali, non per nulla, decidono ma non motivano: di conseguenza, verrà effettuato un riesame eminentemente cartaceo, retto sui briefs (motivi) addotti dalle parti e, soprattutto, sul verbale delle udienze (transcript) del grado inferiore, a scapito di una ponderata e approfondita motivazione del convincimento raggiunto»96. Altra caratteristica del sistema di impugnazioni americano è, poi, l’asimmetria dei ricorsi: così, a differenza dell’imputato, il public prosecutor non potrà contrastare l’esito assolutorio pronunciato dalla giuria né unire il proprio ricorso a quello proposto dall’imputato al fine di ottenere un aggravio della pena. D’altra parte, anche tali limitazioni sembrano avallare e giustificare il peso rilevante ricoperto dal potere discrezionale del prosecutor.
95 Analizzano talune di tali differenze fra sistema italiano e americano in tema di benefici
penitenziari A. Mura-A. Patrono, op. cit., pp. 97-98: «l’imputato americano è consapevole che, se alla fine del dibattimento sarà condannato a tre anni di reclusione in più rispetto alla condanna che avrebbe avuto se si fosse dichiarato subito colpevole, è molto probabile che quei tre anni in più li debba scontare interamente. In Italia, invece, nella stessa situazione l’imputato sa che gli stessi tre anni in più di pena non dovrà scontarli interamente perché anche su di essi potrà godere di consistenti benefici penitenziari».