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IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.

1. Il “caso deviante”.

Taluna dottrina, guardando alle caratteristiche istituzionali del pubblico ministero italiano e ad alcune peculiarità del nostro sistema processuale penale, qualifica l’Italia come il “caso deviante” rispetto al restante panorama europeo1. Ciò non solo per il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sancito a livello costituzionale, ma anche, e soprattutto, per la posizione degli organi requirenti rispetto al sistema politico. Infatti, mentre in tutti i principali regimi a tradizione liberal democratica esistono dei legami istituzionali, anche blandi, fra pubblico ministero e sistema politico, il p.m. italiano è l’unico rispetto al quale l’ambiente politico risulta privo di strumenti idonei a orientare l’esercizio dell’azione penale. In particolare, egli non dipende dall’esecutivo e gli è anzi garantita, già a livello costituzionale, l’indipendenza esterna; il suo ufficio è organizzato in base a una gerarchia attenuata; egli, inoltre, non è esposto ad alcuna forma istituzionalizzata di responsabilità politica per le decisioni, di politica criminale, adottate nello svolgimento delle sue funzioni: «si tratta di una differenza di grande rilievo perché concerne la stessa distribuzione dei compiti tra le varie branche dello Stato, e quindi anche quei meccanismi di controllo reciproco e dinamico tra i vari poteri (checks and balances) che sono a presidio dei reggimenti democratici»2.

1 G. Di Federico, Obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza del pubblico ministero, 2009,

consultabile anche al sito http://www.difederico-giustizia.it/2009/02/01/obbligatorieta- dell’azione-penale-e-indipendenza-del-pubblico-ministero/ .

2 G. Di Federico, Obbligatorietà dell’azione penale, coordinamento delle attività del pubblico ministero e loro rispondenza alle aspettative della comunità, in Conso G. (a cura di),Pubblico ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, Zanichelli, Bologna, 1979, p. 171,

il quale prosegue: «Si tratta di una differenza molto significativa perché questa diversa distribuzione riguarda (tra gli altri) compiti tanto delicati quali quello dell’iniziativa penale, dell’attività istruttoria, dell’attività requirente in udienza, della formulazione degli appelli. Si tratta, in altre parole, di una consistente parte della politica penale che – a differenza i quanto

Tale peculiarità, d’altra parte, assume connotati tanto più forti se si tiene conto del fatto che il p.m. italiano appartiene allo stesso corpo della magistratura giudicante e gode delle stesse garanzie riconosciute a quest’ultima.

Ulteriore unicità del nostro sistema penale consiste, come detto, nella fissazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, per di più a livello costituzionale3. Scelta, secondo taluna dottrina, disfunzionale in quanto empiricamente irrealizzabile4. Se, infatti, nel 1948, l’introduzione dell’art. 112 Cost. costituì la soluzione ideale per arginare l’uso strumentale che del potere requirente venne fatto durante i regimi totalitari, il suo mantenimento rappresenta, oggi, insieme con il principio di indipendenza del p.m., una storia controcorrente “tutta italiana”5.

avviene da noi – negli altri paesi a tradizione democratica e costituzionale si è ritenuto di dover collocare e mantenere – seppur con varie modalità - nell’ambito della responsabilità politica dell’esecutivo o di un controllo diretto dell’elettorato, o sotto la supervisione degli organi appositamente creati».

3 Scrive M. Chiavario, L’azione penale tra diritto e politica, CEDAM, Padova, 1995, p. 98:

«Nella sua letterale drasticità l’art. 112 è certo una rara avis nel panorama delle Costituzioni contemporanee. Per come suona testualmente, esso sembra infatti portare all’estremo quanto ad assolutezza espressiva – nel momento stesso in cui lo cristallizza al livello più alto nell’ordinamento – un principio che altrove è normativamente tradotto in termini assai più morbidi e con una valenza assai più “relativa”». Continua: «Ora, è un dato di fatto che in nessuna delle Costituzioni straniere con cui potrebbe essere utile un confronto si trova una clausola che suoni allo stesso modo del nostro art. 112. E mi riferisco non soltanto agli ordinamenti dei Paesi che più francamente si ispirano all’opposto principio “di opportunità” dell’azione penale […], ma anche a quelli che fanno bensì, della “legalità” dell’azione penale, una regola generale per i comportamenti degli organi chiamati ad esercitarla e a controllarne l’esercizio, e che purtuttavia evitano di trasportarla in termini di “obbligatorietà” a livello costituzionale: penso specialmente alla Germania […]; ma penso altresì a quei Paesi – Grecia, Spagna, Portogallo, Brasile, Stati dell’Est europeo… – le cui più recenti vicende costituzionali hanno voluto segnare […]il rifiuto di esperienze totalitarie o autoritarie del passato» (ivi p. 99).

4 Ivi, p. 172. L’Autore precisa che il principio di obbligatorietà dell’azione penale, per quanto

possa essere desiderabile a livello astratto, di fatto sembrerebbe non essere un obiettivo empiricamente possibile e praticabile: «Di conseguenza si ritiene disfunzionale, oltre che inutile, prescrivere per legge ciò che si sa essere di fatto impossibile. Disfunzionale perché pretendendo che sia obbligatorio ciò che di fatto non può esserlo impedisce anche di porre apertamente in discussione quali debbano essere le linee di politica penale da seguire, le priorità da osservare rispetto alle esigenze di repressione de fenomeni criminali, a volte anche contingenti e locali.

Disfunzionali perché non vengono ad essere evidenziate e valutate – con le responsabilità che ciò

comporta in un sistema democratico – scelte di grande rilievo politico che, al di là dell’affermazione di principio, vengono comunque fatte».

5 C. Guarnieri, Pubblico ministero e sistema politico, CEDAM, Padova, 1984, p. 139, nota,

infatti, che, intorno agli anni ’70 del XX secolo, molti dei paesi che nel dopoguerra avevano accolto il sistema obbligatorio di azione penale (fra cui la Germania, in cui ancora forte era il ricordo dell’esperienza nazista), riacquisirono fiducia nell’attività degli organi requirenti

2. Pubblico ministero ed esercizio dell’azione penale nell’Italia post-

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