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L’ indipendenza esterna del p.m.

IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.

3. L’avvento della Costituzione repubblicana.

3.1. L’ indipendenza esterna del p.m.

In sede di Assemblea costituente, il problema dei rapporti fra il pubblico ministero e gli altri poteri dello Stato fu oggetto di un dibattito animato. In particolare, il tema della posizione istituzionale del p.m., di dipendenza o indipendenza dal potere esecutivo, e quello della conciliabilità di tale scelta con il principio di obbligatorietà furono oggetto di parecchie indecisioni29. Allo stesso modo, fu fonte di opinioni divergenti la questione, correlata alle precedenti, relativa alla estensione al p.m. delle garanzie previste per gli altri magistrati. Chiamata a scegliere fra il testo della Commissione dei Settantacinque, che proponeva di stabilire che «il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati»30 e l’emendamento proposto dall’on. Leone31, l’Assemblea finì per votare il testo dell’art. 107, quarto comma, che, a conclusione dei precedenti enunciati volti chiaramente a garantire l’indipendenza dei magistrati ordinari, si limita a disporre che «Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dall’ordinamento giudiziario».

29 G. Neppi Modona, Commento all’art. 112 Cost., in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, 1987, p. 43.

30 La posizione orientata a riconoscere l’indipendenza del p.m. fu sostenuta in particolare da Piero

Calamandrei, secondo il quale l’indipendenza esterna del pubblico ministero sarebbe stata corollario ineludibile del principio di obbligatorietà dell’azione penale, a sua volta considerato, un precetto irrinunciabile. A tal fine si giustificava pure l’estensione all’organo requirente delle garanzie predisposte a favore della magistratura.

31 In particolare, nell'intervento di presentazione del proprio progetto, l’onorevole democristiano

Giovanni Leone dichiarò che il pubblico ministero «rappresenta, per quanto attiene alla sua funzione di promuovere l'azione penale e di vigilanza nel processo, lo Stato nel suo diritto soggettivo di punire, con poteri che sono talvolta superiori a quelli dello stesso giudice. [...] Il Pubblico Ministero può servire proprio da tramite o organo di collegamento fra potere esecutivo e potere giudiziario: in quanto promotore dell'azione penale (e, nei limiti di tale funzione, partecipe allo sviluppo del processo) e in quanto promotore del procedimento disciplinare a carico di magistrati, il Pubblico Ministero – che, com’è chiarito nella relazione scritta, tornerebbe ad essere espressione del potere esecutivo – rappresenta presso il potere giudiziario l'organo di iniziativa e di controllo dello Stato». Si noti, peraltro, che pur essendo sostenitore dell’opzione favorevole alla dipendenza del p.m. dal potere esecutivo, lo stesso Leone notava come «lo strumento più idoneo per garantire la legalità dell’azione penale è l’aver sganciato il pubblico ministero, dal punto di vista gerarchico, dal potere esecutivo e l’avergli concesso la garanzia dell’inamovibilità, così come è stato fatto con il decreto Togliatti. Tanto è vero che, ove dovesse prevalere la tesi della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo, si dovrebbe da un lato verificare se la Costituzione in altre parti offra al cittadino la possibilità concrete e precise per impedire l’arbitrio del funzionario, dall’altro rendere possibile in caso di negligenza del pubblico ministero, al giudice di iniziare ex officio il processo penale».

Si trattò, per vero, di una formula non troppo chiara, di una soluzione di compromesso equivoca32, cui inevitabilmente seguirono opposte interpretazioni33.

Secondo certa dottrina, infatti, tale disposizione, tanto più se confrontata con l’art. 101, comma secondo, Cost., avrebbe rimesso la disciplina del pubblico ministero alla discrezionalità del legislatore ordinario, il quale sarebbe stato libero sia «di assicurare al pubblico ministero la stessa indipendenza che per imperativo costituzionale esso deve garantire ai magistrati giudicanti, sia di assoggettarlo a una qualche forma di ingerenza degli altri poteri dello Stato»34. Secondo tale lettura, dunque, il legislatore, in astratto, avrebbe potuto sottoporre il p.m. alla vigilanza del Ministro di giustizia o di qualche commissione parlamentare, senza per questo violare alcun precetto costituzionale.

La condivisibilità di un simile percorso argomentativo perde, tuttavia, la forza delle sue potenzialità se – adottando la prospettiva oggi univocamente condivisa da dottrina e giurisprudenza – si sottopone l’equivocità del disposto di cui all’art. 107, quarto comma, Cost. a una lettura coordinata con le altre disposizioni

32 Si ritiene che la formulazione dell’attuale art. 107 Cost. risenta dei dibattiti e delle incertezze

verificatisi in seno alla Costituente. Scrive G. Neppi Modona, op. cit., p. 69: «La formulazione dell’art. 107 4° comma Cost. va piuttosto interpretata, alla luce del dibattito svoltosi alla Costituente, come formula di mediazione per uscire dalla situazione di stallo provocata dalla contrapposizione tra chi voleva sancire a livello costituzionale il ritorno del pubblico ministero alle dipendenze dell’esecutivo e chi voleva invece sanzionare espressamente l’equiparazione tra le garanzie dei giudici e quelle del pubblico ministero. Fu così trovata la via d’uscita del rinvio alle garanzie stabilite dalle norme sull’ordinamento giudiziario, ma in un contesto in cui da un lato il r.d.l. 31 magio 1946, n. 511 aveva già equiparato il pubblico ministero ai giudici, recidendo il rapporto di dipendenza con l’esecutivo, dall’altro i principi costituzionali approvati in precedenza prevedevano un sistema di totale equiparazione tra le garanzie dei magistrati giudicanti e requirenti».

33 O. Dominioni, Per un collegamento fra ministro della giustizia e P.M., in G. Conso (a cura di), Pubblico ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, Zanichelli, Bologna,

1979, pp. 67 ss. ricorda come il tema del collegamento fra pubblico ministero ed esecutivo non fu per niente pacifico sin dai lavori della Costituente, in cui vennero espressi così profondi contrasti che nessuno degli schieramenti che vi si contrapposero ebbe modo di far prevalere la propria concezione: «anche il compromesso che alla fine venne raggiunto non si può dire che abbia fornito, sia pure in termini ibridi e “inconsapevolmente”, una soluzione globale ed esauriente del problema; in realtà ci si limitò a registrare […] quei singoli aspetti che si era riusciti a portare a maturazione. È importante che l’interprete tenga presente questo dato: diversamente, finisce per sovrapporre agli effettivi contenuti delle norme costituzionali indicazioni che vi sono rimaste estranee».

costituzionali che l’Assemblea costituente ha ritenuto di estendere al p.m. Così, dal combinato disposto dell’art. 107, comma 4, con l’art. 101 Cost., secondo cui i giudici sono soggetti soltnto alla legge35; con l’art. 104, comma 1, Cost., per cui «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», estensibile anche alla magistratura requirente; con l’art. 108, comma 2, Cost., che sancisce l’indipendenza dei p.m. presso le giurisdizioni speciali; con l’art. 109 Cost., che pone la polizia giudiziaria nella disponibilità dell’autorità giudiziaria e, soprattutto, con l’art. 112 Cost., che sancisce il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sembra ragionevole dedurre che sia la stessa Costituzione a esigere e ad assicurare che il pubblico ministero goda, in specie nell’esercizio dell’azione penale, dell’indipendenza esterna dal potere esecutivo. D’altra parte, è questa l’interpretazione avvalorata dalla stessa Corte costituzionale secondo la quale il riconoscimento di tale garanzia sarebbe ineludibile corollario del principio di obbligatorietà dell’azione penale, di cui costituirebbe, per certi versi, il contrappeso.

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