IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.
3. L’avvento della Costituzione repubblicana.
4.1. Le indagini preliminari, l’esercizio dell’azione penale e i controlli endoprocessuali nel nuovo c.p.p.
Il nuovo impianto codicistico prevede la suddivisione del processo penale in tre fasi.
La prima, la fase delle indagini preliminari, prende avvio dalla denuncia di una
notitia criminis e si caratterizza per gli ampi poteri investigativi riconosciuti al
pubblico ministero e alla polizia giudiziaria per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (artt. 326 e ss. c.p.p.)53. In particolare, certa dottrina ritiene che dal disposto dell’art. 330 c.p.p., secondo cui «Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti», sia deducibile un potere indiscriminato del pubblico ministero di iniziare le indagini, in qualsiasi momento, su qualsiasi persona: «A differenza del
52 Scrive a tal proposito M. Nobili, Scenari e trasformazioni del processo penale, CEDAM,
Padova, 1998, pp. 158-159: «Ecco, l’atavica stortura, l’incrostazione di fondo, l’ipoteca che quasi fa passare in secondo piano la struttura e l’importanza altrimenti decisiva dei modelli procedurali via via adottati o riformati, consiste nel concepire che – in ambito penale – a fronte dell’accusato stia una entità unica: l’autorità giudiziaria, sia essa impersonata da uno o da due magistrati, da un pretore “bifronte”, da un “pubblico ministero – giudice” o da un “giudice – pubblico ministero”. Ricorrono nella matrice, e nelle concrete propensioni, e negli atteggiamenti operativi, strutture mentali, procedurali, istituzionali, organizzative, bipolari: insomma, l’idea di uno scontro a due, inquirenti-inquisito. Carrara fotografava assetti del genere, presentando la vicenda giudiziaria penale, per l’appunto come una battaglia fra “individuo e autorità”. […] qui da noi, giudice e pubblico ministero stanno entrambi dentro quella stessa parola (autorità), che influisce profondamente non solo su assetti organizzativi, ma anche e soprattutto sulla maniera di concepire le funzioni interne al processo».
53 M. Fabri, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2002, p. 544, che, con riferimento alla
formula utilizzata nell’art. 326 c.p.p., ritiene che, nella fase delle acquisizioni conoscitive il pubblico ministero sia l’interprete delle necessità, «le quali verranno vagliate e misurate dal loro
dominus, secondo la sua soggettiva valutazione». In tale fase, secondo l’autore, la discrezionalità
giudice che ha una ben circoscritta competenza territoriale, il PM può invece promuovere e svolgere di sua iniziativa e nella pienezza dei suoi poteri indagini su qualsiasi persona e su qualsiasi ipotesi di reato, ovunque commesso e che lui stesso ipotizza. Ha cioè una competenza territoriale illimitata»54.
Tale fase è presidiata dal giudice per le indagini preliminari (g.i.p.), chiamato a garantire il controllo giurisdizionale sulle attività del pubblico ministero che implichino compromissioni alle situazioni giuridiche dell’indagato55; egli tendenzialmente non dispone di poteri investigativi, non conosce gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero e giudica solo sulle richieste eventualmente avanzate dalle parti su temi specifici fissati per legge; eccezionalmente, assicura già nella fase delle indagini preliminari un’attività di raccolta delle prove mediante la procedura dell’incidente probatorio (artt. 392 e ss. c.p.p.). La durata delle indagini preliminari, di norma, non può eccedere i sei mesi dalla data in cui il nome dell’indagato è iscritto nel registro delle notizie di reato; eccezionalmente, il termine può essere prorogato per giusta causa, e per un periodo predeterminato dal legislatore, nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine assegnato56. Sulla richiesta dispone il g.i.p.57.
54 G. Di Federico, Diritti umani e amministrazione della giustizia, in Archivio penale, 2012, 1,
p. 4.
55 E. Amodio, Relazione al convegno “L’azione per la repressione dell’illecito tra obbligatorietà e discrezionalità”, Atti del XV Convegno di Senigallia, 2-3 febbraio 1990, in Giustizia e Costituzione, 1991, p. 37, ritiene che l’attribuzione al giudice per le indagini preliminari di un
sindacato sulle scelte del p.m. rappresenti «l’anello di congiunzione fra la cultura angloamericana, che in qualche parte abbiamo orecchiato da lontano, e la nostra tradizione europea. Se non si vede questo non s’intende il nuovo codice. Quando si dice che il P.M. è il
dominus dell’azione penale, si dimentica che c’è un giudice delle indagini preliminari il quale può
addirittura sindacare le scelte del P.M., non condividendo, per esempio, la richiesta di archiviazione, imponendo le indagini suppletive oppure la formulazione coatta dell’accusa. Se andassimo a raccontare queste cose agli inglesi o agli americani li faremmo sorridere perché la discrezionalità dell’azione penale pura sta proprio in questo: il P.M. è un privato, un prosecutor e, nonostante sia un organo politico, secondo la tradizione della common law, è un privato che può decidere di non esercitare l’azione penale e non c’è nessuno, neanche n giudice, che possa intervenire».
56 Si tenga conto che l’art. 407 c.p.p. è da ultimo stato modificato con la legge n. 103 del 2017. 57 U. Nannucci, Relazione al convegno “L’azione per la repressione dell’illecito tra obbligatorietà e discrezionalità”, Atti del XV Convegno di Senigallia, 2-3 febbraio 1990, in Giustizia e Costituzione, 1991, p. 21, ritiene che il termine per le indagini preliminari entri in
Come anticipato, tale fase è deputata alle determinazioni relative all’esercizio del potere di accusa. L’art. 50 c.p.p. prevede che l’obbligo di esercitare l’azione penale sorga soltanto se il p.m. abbia verificato la mancanza dei presupposti che rendono doverosa l’archiviazione58. A norma dell’art. 408 c.p.p., il pubblico ministero, se reputa infondata la notizia di reato, presenta al giudice per le indagini preliminari richiesta di archiviazione, trasmettendogli il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti dinanzi al g.i.p. stesso. La notizia di reato si considera infondata quando, ex art. 125 disp. att. c.p.p., gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non siano idonei a sostenere l’accusa in giudizio59.
perversi: discrimina i reati complessi da quelli semplici e ferisce direttamente il principio della obbligatorietà. Il quale implica, necessariamente, la potestà di ricercare gli elementi conoscitivi indispensabili per chiarire se l’accusa vada sostenuta o no: questa potestà e libertà d ricerca costituiscono lo spazio di autonomia e di indipendenza costituzionalmente riservato al pubblico ministero-uomo e al pubblico ministero-magistrato». Secondo l’Autore, inoltre, sarebbe confliggente con il canone dell’art. 112 Cost. anche la presenza di un giudice per le indagini preliminari: «Siamo in presenza di forme di dispotismo giurisdizionale irragionevoli ed opposte alla logica di un processo accusatorio, che è incompatibile per natura con qualsiasi forma di coinvolgimento del giudice nel programma investigativo dell’accusa. Qui è invece il giudice che decide, sostituendosi all’accusatore, se assumere prove, e impiegare certi mezzi di ricerca della prova, se autorizzare la riapertura delle indagini. Lui può ordinare all’accusa di accusare e può, altresì, decidere sull’accusa da lui stesso voluta». Alla luce di tali considerazioni «la funzione accusatoria non è più dunque onere e responsabilità esclusiva dell’accusa, ma frutto dell’azione combinata di pubblico ministero e giudice, in un connubio nel quale è quest’ultimo ad avere la posizione dominante». Altrettanto critico con la fissazione di un termine per le indagini preliminari si mostra M. Fabri, Discrezionalità e modalità di azione del pubblico ministero nel
procedimento penale, in POLISπoli∫, 1997, XI, pp. 179-182.
58 Sull’istituto dell’archiviazione così come delineato nel nuovo codice di rito, v., fra i numerosi
contributi: G. Fiorelli, L’imputazione latente, Giappichelli, Torino, 2016; M. Marafioti,
L’archiviazione tra crisi del dogma di obbligatorietà dell’azione penale e opportunità del fatto,
in Cassazione penale, 1992, pp. 207 ss.; N. Stabile, L’archiviazione nel nuovo codice tra legge
delega e norme di attuazione. Riflessi della riforma in tema di obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza del pubblico ministero, in Cassazione penale, 1990, pp. 981 ss; V. Grevi, Archiviazione per “inidoneità probatoria” ed obbligatorietà dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1990, pp. 1285 ss.; G. Giostra, voce Archiviazione, in Enciclopedia giuridica Treccani, I, 1988, pp. 6 ss.
59 Con riferimento alla possibile vaghezza delle espressioni utilizzate in tale articolo V. Grevi, op. cit., pp. 1297-1298 scrive: «[…] la circostanza che il criterio espresso nell’art. 125 disp. att. lasci
un certo margine di discrezionalità agli apprezzamenti del pubblico ministero (in particolare, circa il grado di attitudine degli elementi acquisiti a costituire una adeguata piattaforma dell’accusa in iudicio) appare scarsamente rilevante, una volta che si riconosca trattarsi di valutazioni riconducibili ad una discrezionalità di natura tecnica, come sono tipicamente quelle rappresentate da un giudizio prognostico circa il futuro sviluppo del processo. Una discrezionalità che […] non sfugge alla possibilità di un sindacato esterno, da parte di un organo chiamato a controllare la corretta applicazione dei canoni fissati dalla legge, diversamente da quel che
Una volta verificata la documentazione allegata, il g.i.p. potrebbe accogliere la richiesta del p.m. e pronunciare decreto di archiviazione (fatta salva la possibilità che maturino i presupposti per una riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p.) o respingerla. In quest’ultimo caso, fissa un’udienza camerale in seguito alla quale può disporre che il p.m. svolga ulteriori indagini oppure ordinare la c.d. imputazione coatta, cioè la formulazione dell’imputazione (art. 409 c.p.p.)60. Lo stesso meccanismo opera anche quando la persona offesa dal reato si opponga alla richiesta di archiviazione formulata dal p.m., sempre che l’opposizione sia ammissibile e la notizia di reato risulti fondata (art. 410 c.p.p.).
La Corte costituzionale ritiene che entrambi gli strumenti citati siano espressione e garanzia del principio di completezza che, in base a quanto previsto dall’art. 112 Cost., informa lo svolgimento delle indagini61. Si orienterebbero in tale direzione anche il potere di avocazione riconosciuto al procuratore generale presso la corte d’appello nell’art. 412 c.p.p. e, in fase di udienza preliminare (v. avanti), il potere del g.u.p. di disporre ulteriori indagini ex art. 421bis c.p.p. Nonostante, infatti, il nuovo codice di rito abbia collocato l’azione penale al temine della fase investigativa, così conferendogli una veste concreta62, secondo
accadrebbe ove al pubblico ministero fosse consentito di determinarsi circa l’an dell’azione penale in base a ragioni di opportunità o di convenienza latu sensu politica».
60 Con riferimento alla imputazione coatta, scrive M. Fabri, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, cit., p. 561: «Poiché presupposto
dell’imputazione coatta è la non necessità di nuove indagini, ne deriva che pur di fronte alla sufficienza ed esaustività dell’attività d’indagine, e mancando ogni omissione da parte del pubblico ministero, il processo si instaura sulla base di una valutazione contraria a quella del soggetto cui è istituzionalmente rimesso il suo innesto. […] Ne deriva che l’art. 409, comma 5, dietro la maschera del controllo sull’effettivo dispiegamento dell’obbligo costituzionale di agire, nasconde un trasferimento della funzione d’accusa dal pubblico ministero al giudice».
61 La Corte costituzionale ha enunciato il principio di completezza delle indagini preliminari
dapprima, incidentalmente, con la sentenza n. 445 del 1990, con la pronuncia n. 88 del 1991 e, con riferimento specifico al giudizio abbreviato, con la sentenza n. 115 del 2001.
62 V. Grevi, op. cit., pp. 1284-1285. In particolare, nel tracciare la differenza rispetto al codice di
rito abrogato, l’Autore scrive: «Da un canto, il codice abrogato richiedeva una valutazione di infondatezza ex ante (quindi, per quanto si è detto, necessariamente “manifesta), sicché il giudice istruttore, a seguito della richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, era tenuto ad accertare, sulla base dei pochi elementi risultanti dagli atti preliminari all’istruzione, se esistesse, o meno, un sia pur minimo fumus di non infondatezza delle notizie di reato, tale da far ritenere “non superflua” la fase istruttoria. Per converso, il codice del 1988 richiede agli stessi fini una valutazione di infondatezza ex post, cioè da condursi sulla base dell’intero complesso degli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari […]».
l’orientamento maggioritario, il principio di obbligatorietà dell’azione penale estenderebbe i suoi effetti anche alla fase antecedente il suo effettivo esercizio risolvendosi essenzialmente nella necessità di verificare la fondatezza dell’accusa attraverso lo svolgimento di indagini complete63.