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Criticità degli strumenti e avallo del CSM.

IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.

6. La dimensione applicativa dell’art 112 Cost.

6.2. Criticità degli strumenti e avallo del CSM.

Al di là del contenuto specifico delle circolari e degli interventi legislativi citati, secondo certa dottrina l’utilizzo di tali strumenti susciterebbe forti dubbi di compatibilità con l’art. 112 Cost. e quindi con gli artt. 3 e 25 Cost., di cui il principio di obbligatorietà dell’azione penale è attuazione106. La loro

tempi della custodia cautelare – notoriamente basata su un giudizio di carattere sommario – giungendo il prima possibile alla decisione finale caratterizzata da una cognizione piena».

104 Nello specifico, mediante l’art. 2 bis l. 125/08, di modifica delle priorità stabilite nell’art. 132 bis disp. att. c.p.p., il legislatore si è posto l’ambizioso obiettivo di contrastare il diffuso senso di

insicurezza generato dall’inefficienza del sistema giustizia stabilendo la trattazione prioritaria di alcune categorie di processi. In particolare, abbandonando l’unico precedente criterio legato al rischio di scadenza dei termini di custodia cautelare e adottando un parametro legato pure al tipo di reato per cui si procede, si è previsto che nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione delle pratiche venga data priorità assoluta:

a. Ai processi relativi ai delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. e ai delitti di criminalità organizzata, anche terroristica;

b. Ai delitti previsti dagli artt. 572 e da 609 bis a 609 octies e 612 bis c.p.;

c. Ai delitti commessi in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e sull’igiene sul lavoro; ai delitti previsti dal t.u. immigrazione; ai delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni;

d. Ai processi a carico di imputati detenuti;

e. Ai processi in cui l’imputato è stato sottoposto ad arresto, fermo ovvero a misura cautelare personale;

f. Ai processi nei quali è contestata la recidiva;

g. Ai processi da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato.

105 M. Fabri, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, cit., p. 557.

106 G. Monaco, op. cit., pp. 260-261: «Non pare, dunque, corretto effettuare delle scelte di

carattere generale che conducano ad una preventiva rinuncia ad indagare in ordine a determinati reati o classi di reati. Laddove si ritenga di poter anche accettare il rischio – con elevatissime probabilità di realizzazione – che certi fatti non siano perseguiti, pare preferibile eliminare in modo chiaro e valido per tutti la corrispondente fattispecie penale. In altre parole, è meglio depenalizzare piuttosto che elaborare dei criteri di priorità i quali condurrebbero ad un risultato

applicazione, infatti, mentre assicurerebbe una trattazione prioritaria ai fatti più rilevanti, accetterebbe il rischio di prescrizione di quelli ai quali non è riservata alcuna corsia preferenziale. Si è parlato, in tal senso, di un sistema di giustizia a

due velocità in cui, accanto ai fatti che ogni Procura ritiene più urgenti, vi sono

quelli probabilmente destinati a non ricevere mai giustizia. Tale selezione, anche ufficiosa e variabile, si tradurrebbe, di fatto, in una personalizzazione delle funzioni del p.m. e, quindi, in un esercizio discrezionale dell’azione penale. Il tutto a discapito del principio di eguaglianza; per di più, in assenza di qualsiasi controllo esterno.

La forza di tali argomentazioni (piuttosto allarmanti) è, tuttavia, destinata a svilirsi se, adottando la prospettiva del CSM e delle Procure, si guardi ai criteri di priorità come a strumenti organizzativi del carico giudiziario. In tale ottica, infatti, questi congegni non rappresenterebbero l’esercizio di una scelta di opportunità ma una necessità di razionalizzazione del carico pendente dettata dal limite oggettivo che presentano le nostre strutture giudiziarie. D’altra parte, gli artt. 3 e 97 Cost., da un lato, escludono che la capacità di smaltimento del lavoro possa essere determinata in modo causale o differenziato in base ai diversi uffici, dall’altro, impongono il canone del buon andamento e dell’imparzialità anche nell’amministrazione della giustizia107. I criteri di priorità, dunque, potrebbero trovare il loro fondamento costituzionale nell’art. 97 Cost.

analogo, attraverso, però, una lesione del principio di uguaglianza e, di fatto, anche del principio di obbligatorietà dell’azione penale». Si esprime in questo senso pure G. D’Elia, I principi

costituzionali di stretta legalità, obbligatorietà dell’azione penale ed eguaglianza a proposito dei «criteri di priorità» nell’esercizio dell’azione penale, in Giurisprudenza costituzionale, 1998, pp.

1884 ss. In particolare, afferma l’Autore: «Se, invece, tra la previsione legale di un fatto-reato e la punizione dello stesso si inserisce una valutazione di priorità o secondarietà della repressione del reato, così facendo, si viene ad interrompere quel nesso di necessaria consequenzialità tra legame sostanziale e legalità nel procedere, che conduce all’eguaglianza di tutti (i cittadini) di fronte alla legge penale. […] Estremizzare ulteriormente le conseguenze tra due fatti-reato di diversa gravità significa operare, non più una ragionevole diversità di trattamento, ma una vera e propria discriminazione. Discriminazione, che diverrebbe palesemente “odiosa”, qualora due reati identici […] venissero l’uno represso, perché commesso nel territorio di competenza della Procura “x”, e l’atro volutamente abbandonato nel limbo della prescrizione, perché commesso nel territorio di competenza della Procura “y”».

107 V. Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, cit., pp.

In tal senso, peraltro, pur traendone ispirazione, i nostri criteri di priorità sarebbero ben diversi dalle guidelines vigenti nei sistemi anglosassoni. In quel caso, infatti, la discrezionalità affidata al prosecutor si traduce in valutazioni di opportunità in ordine alla singola notizia di reato; diversamente, la discrezionalità che implichi solo scelte di priorità di carattere generale per la trattazione delle notizie di reato presenterebbe un carattere organizzativo che non le renderebbe contrastanti con il principio di obbligatorietà. Si tratterebbe semplicemente di adottare scelte organizzative idonee ad assicurare una trattazione razionale e coerente con la gerarchia dei beni e degli interessi costituzionalmente tutelati: l’obbligatorietà dell’azione penale verrebbe così resa flessibile pur restando l’obiettivo finale a cui tendere108.

Sfruttando la prospettiva appena delineata, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura ha ampiamente avallato l’utilizzo di tali criteri organizzativi di cui, in un’ottica di buona amministrazione e uniformità di esercizio dell’azione penale, sembra aver tratteggiato addirittura una sostanziale doverosità109.

Di seguito si riportano taluni dei provvedimenti in tal senso più significativi alle cui parole, nonostante l’appesantimento della lettura, pare più efficace affidarne la spiegazione. Si rammentano, in particolare:

- la decisione del 20.06.1997, con cui la sezione disciplinare del CSM ha legittimato il compimento di scelte di priorità da parte dei singoli procuratori pure in assenza di indicazioni da parte del dirigente dell’ufficio. Si legge nella citata decisione: «costituisce convincimento diffuso che, specie nelle Procure circondariali, la domanda di giustizia è notevolmente superiore alla capacità non solo delle Procure ma anche del complesso degli uffici giudiziari di esaminare i relativi procedimenti. In tale situazione, l’impossibilità di tempestivamente esaurire la trattazione di tutte le notizie di reato[…] implica che non ci si può sottrarre al compito

108 L. Pepino, Obbligatorietà dell’azione penale e organizzazione delle Procure, in Antigone,

2011, p. 222.

109 L. Russo, I criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, in Diritto penale contemporaneo, 2016, il cui testo è reperibile al sito

di elaborare criteri di priorità: criteri che, una volta scontato come irragionevole il criterio che facesse mero riferimento al caso e alla successione cronologica della sopravvenienza, non possono non essere derivati, in ossequio alla soggezione anche dei pubblici ministeri alla legge, dalla gravità e/o offensività sociale delle singole specie di reati. In assenza di indicazioni di priorità provenienti dal Procuratore della Repubblica, è inevitabile che tali criteri di priorità siano individuati dai singoli sostituti. Ciò non suona offesa all’obbligatorietà dell’azione penale nei limiti in cui tale soluzione non deriva da considerazioni di opportunità ma trova causa nel limite oggettivo alla capacità di smaltimento del lavoro dell’organismo giudiziario nel suo complesso e della Procura della Repubblica in particolare»110;

- la risoluzione del 9 novembre 2006, con cui il CSM risponde a una nota del Ministro della giustizia che invitava il Consiglio, in seguito alla legge di indulto 241/06, ad assumere «le eventuali iniziative di competenza» per concorrere «a realizzare, nell’esercizio della giurisdizione, metodologie funzionali ed efficaci per l’effettività della resa»111

. Ivi si legge: «[…] i dirigenti degli uffici (inquirenti e giudicanti) possono e devono, nell’ambito delle loro competenze in tema di amministrazione della giurisdizione, adottare iniziative e provvedimenti idonei a razionalizzare la trattazione degli affari e l’impiego delle risorse disponibili. Addivenire a scelte organizzative razionali, nel rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e di soggezione di ogni magistrato esclusivamente alla legge (art. 101, 2° comma, Cost.), risponde ai principi consacrati dall’art. 97, 1° comma, Cost. – riferibile anche all’amministrazione della giustizia – che richiama i valori del buon andamento e della imparzialità dell’amministrazione con riferimento alle scelte che gli uffici adottano nelle loro unità. Tali scelte sono correttamente collocabili nell’ambito del sistema tabellare, assicurando in

110 Il testo della decisione è riportato in Giurisprudenza costituzionale, pp. 1880 ss. 111 Il testo della risoluzione è consultabile in Foro italiano, 2007, 130, 1, pp. 47 ss.

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