• Non ci sono risultati.

IL SISTEMA ITALIANO: PUBBLICO MINISTERO ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE.

3. L’avvento della Costituzione repubblicana.

4.3. I procedimenti speciali.

L’adozione di un sistema processuale accusatorio – sofisticato, costoso e garantistico – necessiterebbe, per il suo efficace funzionamento, della previsione di forme di processo più rapide per la definizione del maggior numero dei casi66: «è esperienza consolidata in tutti i paesi di più antica tradizione accusatoria, infatti, che il 90% dei processi si risolve con procedure semplificate»67. Tale esigenza era ben nota ai redattori del nuovo codice di rito i quali condividevano l’idea che la maggior parte dei processi non avrebbe dovuto seguire il più complesso e dispendioso iter ordinario. D’altra parte, con riferimento alle

66 Si oppone alla tesi secondo cui i riti alternativi sarebbero un portato necessario del modello

accusatorio L. Ferrajoli, Patteggiamenti e crisi della giurisdizione, in Questione giustizia, 1989, p. 376: «una simile tesi, confortata dal richiamo all’esperienza del processo accusatorio americano e particolarmente del plea bargaining, è frutto di una confusione tra il modello teorico accusatorio – che consiste unicamente nella separazione tra giudice e accusa, nella parità tra accusa e difesa, nell’oralità e nella pubblicità del giudizio – e i concreti caratteri empirici del processo accusatorio statunitense alcuni dei quali, come la discrezionalità dell’azione penale e il patteggiamento, non hanno con il modello teorico nessun nesso logico. La confusione, ingiustificabile sul piano teorico, è spiegabile sul piano storico: discrezionalità dell’azione penale e patteggiamento sono infatti un relitto moderno del carattere originariamente privato e/o popolare dell’accusa […]. Ma l’una e l’altro sono oggi del tutto ingiustificati in sistemi nei quali – come in Italia, ma anche negli Stai Uniti – l’organo dell’accusa è pubblico e pubbliche sono sia le potestà che l’attività accusatoria».

peculiarità del sistema processuale penale italiano, la previsione di tali riti rappresenterebbe pure uno strumento concreto per dare attuazione alla obbligatorietà dell’azione penale: «il ricorso indiscriminato al procedimento ordinario si porrebbe, infatti, come un insormontabile ostacolo, frapposto dallo stesso pubblico ministero, al principio di legalità: come a dire che da un lato il pubblico ministero promuove l’azione penale, dall’altro assume atteggiamenti processuali in contrasto con l’obbligatorietà di tale esercizio. Sotto questo punto di vista, i riti alternativi non solo non si pongono in contrasto con l’art. 112 Cost., ma costituiscono un presupposto della sua pratica attuazione»68.

A tal fine, nel libro VI del codice di procedura penale, intitolato «Procedimenti speciali», il legislatore del 1989 ha disciplinato una serie di procedimenti alternativi allo svolgimento del rito ordinario cui il p.m. o l’imputato possono ricorrere allorquando sussistano le condizioni specifiche indicate nei relativi articoli.

Di fatto, tuttavia, sembra che la struttura e il funzionamento concreto di tali riti tradiscano l’intento di partenza, inficiando, a valle, il funzionamento dello stesso meccanismo accusatorio. E ciò non solo per la indisponibilità della pretesa punitiva in capo alle parti (elemento essenziale delle trattative nel modello

adversary) ma pure – e soprattutto – per l’avvenuta formalizzazione di procedure

che, invece, nascono e si giustificano alla luce della libertà delle parti di muoversi entro schemi che non siano rigidamente predefiniti.

Si tenga conto che, secondo taluna dottrina, lo scarso successo dei riti alternativi in Italia si giustifica anche alla luce del sistema di reclutamento e della carriera

burocratica della pubblica accusa, elementi che permettono al p.m. di ottenere

avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio indipendentemente dal numero di assoluzioni o condanne ottenute o dalla utilità o meno dell’esercizio dell’azione penale. In tal senso, la mancanza di qualsiasi incentivo per l’accusa a collaborare

68 G. Neppi Modona, Principio di legalità e nuovo processo penale, in AA.VV., Il pubblico ministero oggi, Giuffrè, Milano, 1994, p. 128.

all’efficienza del sistema sembrerebbe contribuire a menomare le grosse potenzialità di tali strumenti deflativi69.

Negli artt. 438 – 443 è previsto il giudizio abbreviato, la cui disciplina è stata completamente rivisitata con la l. 479/9970. La sua attivazione è subordinata a una richiesta dell’imputato, formulabile fino che non siano state espletate le formalità di cui agli artt. 421 e 422 c.p.p., e implica che il processo venga definito nell’udienza preliminare, allo stato degli atti. Si fa salva comunque la possibilità: dell’imputato, di subordinare la richiesta a una integrazione probatoria; del giudice, di assumere, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione; del p.m., di procedere alle contestazioni di cui all’art. 423, comma 1, c.p.p. Il giudizio si svolge in camera di consiglio osservando le disposizioni previste per l’udienza preliminare. Al termine della discussione, il giudice provvede a norma degli artt. 529 e ss. c.p.p. In caso di condanna, la pena è diminuita di un terzo; alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta; alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo. L’accesso al giudizio abbreviato, quindi, comporta la non celebrazione del dibattimento e dà diritto, in caso di condanna, a una diminuzione della pena.

Negli artt. 444 – 452 è disciplinato l’istituto dell’«Applicazione della pena su richiesta delle parti», impropriamente appellato “patteggiamento”. L’imputato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva, quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria. La richiesta prevista dall’art. 444 c.p.p. può essere

69 E. Grande, op. cit., p. 78.

70 In particolare – si legge in C. Bressanelli, Il rito accusatorio a vent’anni dalla grande riforma. Continuità, fratture, nuovi orizzonti, in Cassazione penale, 2010, p. 1702 – la riforma citata

avrebbe introdotto il c.d. rito abbreviato condizionato, come una sorta di anticipazione al dibattimento idonea a consentire al giudice, in alcuni casi, una cognizione più ampia di quella garantita dalla conoscenza dei soli atti d’indagine. Si rammenta in tal senso pure la sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 2009.

avanzata nel corso delle indagini preliminari, fino alla formulazione delle conclusioni di cui agli artt. 421 e 422 c.p.p. e, comunque, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo e nelle forme di cui all’art. 458, comma 1, c.p.p. in caso di giudizio immediato. L’accesso a tale procedura non può essere richiesto per i delitti indicati nell’art. 444, comma 1 bis, c.p.p. In tutti gli altri casi, allorquando vi sia il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta, non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento e si ritenga corretta la qualificazione giuridica del fatto e congrua la pena indicata, il giudice ne dispone in sentenza l’applicazione. A norma dell’art. 448 c.p.p., la richiesta di patteggiamento respinta in fase di indagini preliminari può essere rinnovata dinanzi al giudice del dibattimento; quest’ultimo, se la ritiene

fondata, può pronunciare immediatamente sentenza. «Nello stesso modo il

giudice provvede dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione quando ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero o il rigetto della richiesta». Tale istituto, che più degli altri pare rievocare le forme negoziali di derivazione anglosassone, per vero sembra contraddirne la stessa sostanza: si tratta, infatti, di un patteggiamento sulla pena (e non sull’imputazione), che può avvenire a processo già iniziato e che permette l’intervento del giudice.

Negli artt. 449 – 452 c.p.p. è previsto il «Giudizio direttissimo», quale rito alternativo con cui si consente una celebrazione immediata del dibattimento. In particolare, allorquando un soggetto sia stato arrestato in flagranza di reato o abbia reso confessione nel corso dell’interrogatorio, il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare l’imputato direttamente dinanzi al giudice del dibattimento affinché proceda al giudizio (e alla contestuale convalida dell’arresto; la convalida può essere sostituita dal consenso del p.m. e dell’imputato a procedere comunque a giudizio direttissimo). Si osservano le disposizioni di cui agli artt. 470 e ss. c.p.p.

Negli artt. 453 – 458 c.p.p. è disciplinato il «Giudizio immediato». La sua attivazione è subordinata alla richiesta del pubblico ministero e alla ricorrenza di specifiche circostanze. In particolare, è possibile accedere a tale rito allorquando la prova appaia evidente e la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata

sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova (ovvero, a seguito di invito a presentarsi, la stessa abbia omesso di comparire). La richiesta, trasmessa alla cancelleria del g.i.p., può essere avanzata entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. o nel diverso termine di cui all’art. 453, comma 1bis, nel caso in cui l’indagato si trovi in stato di custodia cautelare. Entro cinque giorni dalla ricezione della richiesta, il g.i.p. emette decreto con cui dispone il giudizio immediato ovvero rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al p.m. Nella prima ipotesi, il decreto è trasmesso, insieme al fascicolo formato ex art. 431 c.p.p., al giudice competente per il giudizio.

Il «procedimento per decreto», previsto negli artt. 459 – 464 c.p.p., permette al p.m. in specifici casi di presentare al g.i.p. richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna chiedendo l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale. È possibile ricorrere a tale procedura nei procedimenti per reati perseguibili d’ufficio e in quelli perseguibili a querela, quando questa sia stata validamente presentata, allorquando il p.m. ritenga che per gli stessi si debba applicare solo una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva. Tale richiesta può essere avanzata entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato. Ove il giudice ritenga di non dover pronunciare sentenza di proscioglimento o di non dover restituire gli atti al p.m., pronuncia decreto di condanna con cui applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero. L’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria hanno facoltà di opporsi al predetto decreto (artt. 461 – 464 c.p.p.). Infine, con la legge n. 67 del 28 aprile 2014 è stato aggiunto al libro sui procedimenti speciali il titolo V bis, rubricato «Sospensione del procedimento con messa alla prova», e gli artt. dal 464 bis al 464 octies71. Ivi si prevede che nei

71 Per un approfondimento mirato sul tema v. E. Lanza, La messa alla prova processuale. Da strumento di recupero per i minorenni a rimedio generale deflativo, Giuffrè, Milano, 2017; P.

Troncone, La sospensione del procedimento con messa alla prova: nuove esperienze di scenari

casi enunciati nell’art. 168 bis c.p.72 l’imputato possa formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. La richiesta può essere avanzata durante le indagini, fino a quando non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. e comunque fino all’apertura del dibattimento, qualora la richiesta sia stata precedentemente rigettata. Sulla richiesta decide il g.i.p. ma è previsto il parere obbligatorio del pubblico ministero. La concessione della misura è subordinata alla predisposizione di un programma di trattamento volto, tra l’altro, alla eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, al risarcimento delle stesse, alla mediazione con la persona offesa e al reinserimento sociale dell’imputato, anche attraverso lavori di pubblica utilità ovvero attività di volontariato di rilievo sociale. Una volta concessa la misura, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie devono essere adempiuti. Decorso il periodo di sospensione, il giudice, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ove ritenga che la prova abbia avuto esito positivo pronuncia sentenza con cui dichiara estinto il reato. Diversamente, egli dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso.

72 Il comma 1 dell’art. 168 bis c.p. dispone che: «Nei procedimenti per reati puniti con la sola

pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova».

Documenti correlati