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Il superamento della dimensione nazionale e la crisi della statualità Una forte spinta alla ridefinizione degli equilibri istituzionali del vecchio Stato d

4. Lo Stato costi tuzionale di diritto e l’espansionismo giudiziario: premessa Le grandi trasformazioni avviate all’inizio del XX secolo giunsero a completa

4.3. Il superamento della dimensione nazionale e la crisi della statualità Una forte spinta alla ridefinizione degli equilibri istituzionali del vecchio Stato d

diritto e della dimensione prettamente nazionale che ne caratterizzava l’attività proviene dalla dimensione europea e dal processo di globalizzazione.

4.3.1. La dimensione europea.

Le riflessioni in merito all’erosione di un’accezione formale del principio di legalità e all’ampliamento dello spazio di intervento concesso al giudice non possono prescindere dai contributi provenienti dalla dimensione europea, in specie dall’Unione Europea e dal sistema Cedu, impegnate a ridefinire confini e portata applicativa di istituti di diritto interno e, per il tramite di questi, a ridisegnare la sovranità statale. L’influenza di tali sistemi su quelli nazionali, anche nel settore penale, sembra rimarcare la caratteristica degli ordinamenti attuali, espressione, oltre che di un pluralismo politico-sociale, di un pluralismo degli ordinamenti che destabilizza la statualità del diritto e, mettendo in crisi il monismo parlamentare del secolo scorso, costruisce un sistema di fonti multilivello.

Alla configurazione di tale quadro contribuiscono pure gli organi giurisdizionali previsti all’interno di tali sistemi, che allentano la configurazione statale dei corpi giudiziari nazionali rimescolandone l’ordine gerarchico. Così, i giudici nazionali sono adesso chiamati ad applicare la legge dello Stato tenendo conto della normativa sovranazionale, dei diritti e dei beni giuridici ivi tutelati nonché degli orientamenti espressi dalle Corti che operano all’interno di ognuno dei sistemi considerati, restando pur sempre titolari del potere di sollevare questione di legittimità costituzionale o, se del caso, di sbarrare l’ingresso a interpretazioni

65 A. Gargani, Verso una democrazia giudiziaria? I poteri normativi del giudice tra principio di legalità e diritto europeo, in Criminalia, 2011, pp. 99 ss.

eccessivamente erosive della sovranità statale. È il giudice, ordinario e costituzionale, che dialoga con le corti europee, che allarga o restringe le fattispecie, le adatta al diritto vivente e alle evoluzioni sostanziali che, specie in tema di diritti, si registrano nella giurisprudenza europea66.

Siamo ben lontani, dunque, dalla presenza di leggi poche e chiare dinanzi alle quali il giudice è solo bouche de la loi. Questo incrocio fra diversi sistemi obbliga i giuristi e i giudici a utilizzare paradigmi profondamente diversi da quelli a cui siamo abituati: non è più possibile ragionare secondo una dimensione normativa meramente interna; occorre muoversi in una logica di interazioni con le fonti europee e in una prospettiva di rilettura del nostro sistema secondo criteri di conformità convenzionale67.

A) L’Unione Europea.

Le istituzioni dell’Unione Europea sono dotate di strumenti normativi idonei a incidere sulla legislazione degli Stati membri. Così, attraverso i regolamenti, le direttive, le decisioni, le raccomandazioni e i pareri, l’Unione è in grado di orientare la politica dei paesi aderenti rispetto a specifiche materie. Tali strumenti normalmente necessitano di un atto di formale trasposizione interna che le renda concretamente applicabili; tanto i regolamenti quanto le direttive c.d. self

executing, tuttavia, risultano in concreto direttamente applicabili da parte del

giudice che, pur in assenza di una formale trasposizione, in una controversia in cui venga in rilievo una situazione disciplinata dallo strumento europeo, potrà dare applicazione a quest’ultimo eventualmente disapplicando per il caso di specie la normativa nazionale.

66 Scrive M. R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, il

Mulino, Bologna, 2002, p. 228, con specifico riferimento all’attività della Corte di giustizia dell’UE: «Ciò che appare evidente dopo venti anni di giurisprudenza di questa Corte è che il quadro dei valori costituzionali non termina più con le costituzioni nazionali: se nel passato i documenti costituzionali “chiudevano” autorevolmente e definitivamente la scala dei riferimenti giuridici, oggi questi coperchi appaiono ripetutamente bucherellati da principi e regole ad essi superiori e persino estranei, se non del tutto conflittuali».

67 R. Kostoris, Modello accusatorio, cultura inquisitoria, scenari europei, tra presente e futuro del processo penale, in Rivista di diritto processuale, 2011, p. 534.

Quanto appena detto vale solo in parte per il diritto penale, che indubbiamente rappresenta la branca del diritto pubblico in cui si esplica maggiormente la sovranità statale. Con la firma del Trattato di Lisbona e l’abolizione del sistema dei tre pilastri è stato introdotto l’art. 83 TFUE secondo cui l’Unione Europea, nelle specifiche materie affidate alle sue cure, disporrebbe di una competenza penale indiretta. Il Parlamento e il Consiglio europei possono, cioè, stabilire norme minime – relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentino il carattere della trans nazionalità – la cui attuazione è, tuttavia, rimessa all’intervento del legislatore ordinario. Gli Stati contraenti, e quindi anche l’Italia, hanno così l’obbligo di adeguarsi alle indicazioni provenienti dalla dimensione europea prevedendo fattispecie che tutelino adeguatamente gli interessi considerati attraverso sanzioni proporzionali e dissuasive che assicurino al bene giuridico di matrice europea una tutela almeno pari a quella garantita in Italia per gli interessi nazionali. Per vero, con riferimento all’ordinamento italiano, in cui il principio di legalità del reato e delle pene impedisce, o comunque limita, la possibilità che la normativa comunitaria contribuisca alla formulazione della fattispecie penalmente sanzionata o alla determinazione o all’aggravamento del trattamento sanzionatorio previsto a livello nazionale68, l’art. 83 TUE sembrerebbe consentire un rispetto della sola dimensione formale di tale principio. Secondo taluna dottrina, ne altererebbe, invece, la dimensione sostanziale, poiché la scelta dei beni meritevoli di protezione e la natura della tutela (penale o no) a questi accordata viene di fatto trasferita nell’ordinamento sovranazionale69. Verrebbe così vanificata la garanzia democratica del processo genetico delle norme penali, poiché al Parlamento nazionale verrebbe di fatto sottratto il potere di valutare

68 G. Grasso, Diritto penale e integrazione europea, in G. Grasso-R. Sicurella, Lezioni di diritto penale europeo, Giuffrè, Milano, 2007, p. 9.

69 G. Grasso, Il trattato di Lisbona e le nuove competenze penali, in Studi in onore di Mario Romano, Jovene, Napoli, 2011, pp. 2332 ss., il quale, pur non concordando con tale ricostruzione,

prosegue condividendo l’opinione di coloro che correttamente hanno rilevato come, in tal modo, «l’opzione fondamentale di politica criminale relativa al livello di tutela e, quindi alla scelta tra sanzione penale e strumenti alternativi di tutela, viene demandata alle istituzioni comunitarie».

autonomamente i presupposti politico-criminali che rendono necessario il ricorso alla tutela penale70.

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