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L A CRITICA DI G IULIANI NEI CONFRONTI DEI COPISTI MEDIEVAL

LA FILOLOGIA DANTESCA TRA OTTOCENTO E INIZIO NOVECENTO

L A CRITICA DI G IULIANI NEI CONFRONTI DEI COPISTI MEDIEVAL

Particolarmente complessa è la posizione di Giuliani circa l’uso dei testimoni manoscritti. L’avversione nutrita dallo studioso nei confronti dei codici delle opere dantesche dipende principalmente dalla scarsa fiducia nell’opera di trascrizione dei copisti: la stessa incertezza si ritrova anche in un altro dantista dell’Ottocento, Alessandro Torri, in cui si legge un giudizio pressoché identico a quello di Giuliani:324

Ben è vero, che il merito degli scritti prosaici di Dante è a gran pezza lontano da quello, cui debbe la maggior sua celebrità, e che lo colloca nella ristretta schiera degli eminenti genii poetici, la cui gloria sfolgoreggia su le antiche e le moderne età; ma un motivo per avventura, pel quale non occuparon essi bastantemente l’attenzione altrui, si fu la misera condizione a cui li ridusse l’ignoranza de copiatori, che non arrivando a intenderne le contenutevi dottrine, talvolta per sè medesime difficili, e coperte talvolta dal velo dell’allegoria o d’altro mistico senso, vi seminarono a larga mano i loro errori

323 G. Giuliani, Dante spiegato con Dante: il V canto dell’Inferno commentato da G. B. Giuliani, in “Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti”, vol. III, Firenze, 1866, p. 505.

324 Alessandro Torri (Verona, 13 ottobre 1780 – Pisa, 13 giugno 1861) inizialmente si dedicò alla carriera legale, ma l’abbandonò nel 1814 a favore dell’editoria. A partire dal 1822, lo studioso si trasferì in Toscana collaborando, fino al 1826, con l’editore Molini di Firenze; si trasferì quindi a Pisa dove pubblicò vari studi tra cui L'Ottimo commento della Divina commedia, testo inedito di un contemporaneo di Dante. La pubblicazione delle opere dantesche iniziò tuttavia solo negli anni Quaranta con le edizioni delle opere minori: la Vita nuova nel 1843, l’Epistolario nel 1844, la Monarchia nel 1845 e il Volgare eloquio del 1850. Cfr. A. D’Ancona, Necrologio di Alessandro Torri, in “La Nazione”, 19 giugno 1861.

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colla pretensione di correggere i supposti difetti, e ne accrebbero quindi l’oscurità, rendendone in questo modo malgradita e men desiderata la lettura.325

L’opera che più di tutte, secondo Giuliani, ha risentito dell’ignoranza o dell’essere maldestri degli amanuensi medievali è il Convivio, sulla cui ricostruzione del testo critico lo studioso concentra in special modo le sue attenzioni nell’edizione da lui cui curata tra 1874 e 1875. Tutti i codici del Quattrocento, denuncia il padre somasco, sono pieni di errori e in ognuno di essi «si vien riformando e trasformando quella sola Scrittura dall’Autore più abbozzata che finita, e già forse scomparsa per non soprastare a palese condanno della negligenza e inettitudine de’ trascrittori, volti all’altrui mercede.»326 Anche gli esemplari a stampa non si presentano

comunque in condizioni migliori: la stessa vulgata (stampa Biscioni, 1723) presenta errori grossolani e lezioni falsate. Nonostante le gravi lacune e scorrettezze, tuttavia, Giuliani afferma di ritenere i codici del Convivio «tanto più autorevoli, quanto più appariscono scorretti e malamente trascritti, perchè, sebben vi si ravvisa l’ignoranza e il povero intelletto del copista, vi mancano almeno gl’improvvidi rifacimenti e le incaute e capricciose supposizioni dell’Arte.»327 Un errore attribuito dallo studioso ai copisti riguarda, per esempio, il trattato IV,

capitolo VI, linea 132 «Beata la Terra, lo cui Re è nobile, e li Principi cibano in suo tempo a bisogno e non a lussuria»: l’emendamento di Giuliani riguarda il verbo «cibare» adottato al posto di «usare» presente nell’archetipo. Secondo lo studioso l’errore era nato dalla mal comprensione del testo biblico da parte degli amanuensi, pertanto, sulla base del testo dell’Ecclesiaste, aveva provveduto a correggere la citazione:

la Volgata lasciò correre “usano il suo tempo a bisogno,” che, oltre al non corrispondere al Testo sacro, non s’adatta punto alla sentenza qui voluta esprimere. Sarebbe poi sufficiente la scorrezione di que’ due versetti Scritturali per renderci convinti che que’ primi trascrittori non intesero ciò che scrivevano, né per fermo aveano dottrina a ciò sufficiente.328

325 A. Torri, Vita Nuova di Dante Allighieri, Livorno, Vannini, 1863, p. IX.

326 G. Giuliani, Il “Convito” di Dante Alighieri, in “La nuova antologia di scienze, lettere ed arti”, vol. XXV, fasc. IV, Firenze, 1874, p. 822.

327 Ivi, p. 824.

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Gli stessi inconvenienti sono riscontrabili anche nelle altre opere di Dante andate incontro, nel corso dei secoli, a innumerevoli rimaneggiamenti: si veda ancora, a titolo di esempio, un caso tratto dalla Vita Nuova. Nel commento al sonetto Io mi sentii svegliar dentro allo core, Giuliani si sofferma a riflettere su come la frase «questo sonetto ha molte parti» o «questo sonetto ha in sé tre parti»329 abbia subito numerose modifiche: nell’edizione Sermantelli, per

esempio, si legge «della quiete», mentre Witte, sulla base di un codice da lui posseduto, aveva prediletto la lezione «delle salute». Una tale quantità di variazioni ha portato Giuliani a convincersi che queste siano dovute a un’errata lettura da parte dei copisti: in particolare, lo studioso avanza l’ipotesi, forse eccessivamente fantasiosa, che l’errore sia dovuto a un’«imperfetta cancellatura, fatta dall’Autore sulla frase stessa, avendovi sostituito poi le parole che susseguono sino al compimento del periodo, e che in sostanza vengono ad esprimere più particolareggiato il medesimo concetto».330

Anche per quanto riguarda la Commedia, per la quale il padre somasco propose la propria ricostruzione del testo del poema nel 1880, ricondurre il poema «all’originalità primitiva, sarebbe impresa oggimai disperata.»331 Radicalizzando la formulazione di Giorgio Pasquali

«recensiores non sunt deteriores», e andando in parte contro a quanto da lui stesso affermato una quarantina di anni prima, Giuliani precisa infatti che i codici del poema «quanto sono più antichi e scritti con più diligenza e regolarità di carattere, tanto meno appariscono autorevoli, atteso l’ignoranza o la sbadataggine degli amanuensi»332. Per tale ragione il padre somasco

preferisce appoggiarsi quasi esclusivamente a Dante e a quanto è possibile apprendere dal continuo confronto tra le sue opere.

IL DIFFICILE RAPPORTO CON LA TRADIZIONE MANOSCRITTA

Nonostante la netta avversione nei confronti dei testimoni manoscritti, che verrà sempre evidenziata da Giuliani anche nelle sue lettere a Witte (strenuo difensore, al contrario, dell’autorità dei codici), fin dal 1844 il padre somasco si mostrava comunque disponibile al confronto con la tradizione dei testi a penna:

329 Lo studioso propone la prima lezione nelle edizioni del 1863 e del 1868, la seconda in quella del 1883. 330 G. Giuliani, La Vita Nuova di Dante Allighieri come principio e fondamento del poema sacro, p. 12

331 G. Giuliani, La Commedia di Dante Allighieri raffermata nel testo giusta la ragione e l’arte dell’autore, Firenze, Le Monnier, 1880, p. VII.

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facciasi per ogni parte del nostro paese, dove si conservano i codici e le prime e più riputate stampe di quel gran tesoro di lingua e di poesia, quello che pur fecero alcuni illustri e veramente degni fiorentini. Si notino, si confrontino le diverse varianti, si rapportino le ragioni onde pare che l’una meglio dell’altra si debba adottare; ma sieno solide e specialmente ricavate, per così dire, dalle viscere della commedia e dalle altre opere del sovrano cantore.333

Non solo, in alcuni casi è lo stesso studioso a dare la caccia ai manoscritti, collazionando le diverse lezioni, e optando per l’una piuttosto che per le altre senza ricorrere a scelte congetturali. È quanto accade nel saggio Dante spiegato con Dante. Commenti alla Divina Commedia del 1854 a proposito del verso 44 del I canto del Paradiso: «Fatto avea di là mane e di qua sera / tal foce, e quasi tutto era là bianco / quello emisperio, e l’altra parte nera». Secondo Giuliani, al posto di «là bianco» (v. 44) si dovrebbe leggere già bianco334: esaminando il Codice

Casanatense (probabilmente il Vol. Inc. 730) e il Codice Vaticano Ottob. 2864 il padre somasco aveva notato che la lezione del primo «Fatto avea di là mane e di qua sera / Tal foce quasi tutto era già bianco / Quell’emisperio l’altra parte nera» è uguale a quella del secondo «Fatto avea di là mane e di qua sera / Tal foce quasi tutto era già bianco / Quell’emisperio e l’altra parte nera.» Da qui la convinzione, accettata da Giuliani, che la lezione corretta del verso, sia «già bianco» e non, come riportato solitamente, «là bianco».

Come si avrà modo di notare anche nelle schede del capitolo successivo, la tradizione manoscritta delle opere dantesche è ben presente a Giuliani che nelle edizioni da lui curate prima dell’analisi critica pone, quasi sempre, l’elenco dei principali testimoni, a penna e a stampa, del testo preso in esame. Tre, ad esempio, sono i codici presi in considerazione dal padre somasco per la ricostruzione della lezione originaria dell’Epistola a Cangrande: il Codice di Monaco di Baviera, ritrovato da Witte, il Codice Mediceo e il Codice Magliabechiano.

Più complessa è invece la ricostruzione del testo critico della Vita Nuova, per la quale Giuliani si rifà a numerosi codici che, ad esclusione del Marciano 191 cl. IX, erano quelli a lui accessibili a Firenze: il Riccardiano 1050, il Riccardiano 1054, il Laurenziano 40, 42 e il Magliabechiano VI. 143; vengono citati inoltre il Riccardiano 1340, il Riccardiano 1034 e il Riccardiano 1140. Stupisce il fatto che lo studioso si riferisca ripetutamente a un «codice

333 G. Giuliani, Dei pregi e di alcune nuove applicazioni dello Orologio di Dante, p. 205.

334 G. Giuliani, Dante Spiegato con Dante. Commenti alla Divina Commedia. Nuovo saggio del P. Giambattista

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Pogliani» che in realtà non esiste: come sottolineato infatti da Alessandro D’Ancona, Giuliani cadde in errore «chè non esiste un codice Pogliani, ma sì un’edizione Pogliani, che è quella fatta dal Trivulzio».335 L’attenzione di Giuliani si rivolge, ovviamente, anche alle edizioni

antiche e in particolar modo alla Vita Nuova di Dante Alighieri con XV canzoni del medesimo

e la vita di esso Dante scritta da Giovanni Boccaccio, curata da Nicolò Carducci per Sermartelli

del 1576 e le Prose di Dante Alighieri e di Messer Giovanni Boccaccio, a cura di Anton Maria Biscioni, stampata a Firenze, da Tartini e Franchi, nel 1723. La stampa con la quale Giuliani concorda maggiormente è però la Pogliani, ovvero La Vita Nuova di Dante Alighieri ridotta

miglior lezione del 1827.

Anche per quanto riguarda il Convivio, il primo capitolo del primo volume curato da Giuliani viene destinato a un Catalogo dei codici del Convito in cui i testimoni manoscritti vengono distinti tra quelli adoperati per l’edizione milanese del 1826 e quella fiorentina del 1856 – 1857.336 Un’ulteriore suddivisione viene operata a livello di luogo di conservazione per cui

vengono raggruppati i «Codici veneti della Biblioteca di San Marco», i codici dell’area fiorentina (Laurenziani, Magliabechiani e Riccardiani), i «Codici Romani» e infine quelli «Milanesi». Quanto all’uso da lui fatto dei manoscritti, il padre somasco dichiara di aver approfittato degli studi già precedentemente svolti da altri, ma di aver esaminato accuratamente i codici di persona quando possibile. Tra questi, quelli di cui lo studioso si è soprattutto occupato, e a cui ha fatto riferimento per la maggior parte delle lezioni da lui scelte, sono il Codice Capponi 190 e il Codice Ottoboni 3332. Nella presentazione dei due codici Giuliani introduce anche un accenno di ricostruzione stemmatica, ritenendo il codice 3332 descritto dal manoscritto 536 della Biblioteca Nazionale di Parigi. A un confronto per loci critici tra quest’ultimo testimone, il codice 1014 (anch’esso parigino) e l’edizione del Sessa del 1531 è dedicata l’ultima parte del capitolo introduttivo. I passi del codice 536 furono procurati a Giuliani dall’amico Domenico Caprile che gli inviò

le schiette lezioni de’ passi più rilevanti, non che la copia precisa di alcune parti dei primi Capitoli di ciascun Trattato del Convito. E queste or io qui sottopongo all’osservazione altrui, facendovi pur susseguire una ristampa delle parti medesime,

335 A. D’Ancona, La Vita Nuova di Dante Alighieri riscontrata su codici e stampe preceduta da uno studio su

Beatrice e seguita da illustrazioni, Pisa, Nistra, 1872, p. 100.

336 L’edizione milanese venne in realtà stampata nel 1827 per Pogliani. Gli “Editori Milanesi” erano Trivulzio, Monti e Maggi. Per «edizione fiorentina» si fa invece riferimento a Il Convito di Dante Alighieri curato da Fraticelli, III volume delle Opere minori, edite tra 1856 - 1857.

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quali occorrono nella antica Edizione del Sessa (Venezia, 1431), interponendovi con caratteri distinti le varianti dell’altro Codice Parigino 1014.337

Tra le edizioni moderne del trattato, elencate in gran numero, quella di Monti viene tacciata di presentare commenti troppo soggettivi, mentre quella di Witte, considerata assai più meritevole, non sembra comunque corrispondere alle aspettative di Giuliani.

Occorre tuttavia notare che, come si avrà modo di evidenziare in modo più specifico nelle singole schede, anche se non mancano i luoghi in cui Giuliani mostra la sua predilezione per una lezione presente nei codici, nella maggior parte dei casi il confronto con questi dipende dalla volontà dello studioso di mostrarne l’erroneità e la necessità, dunque, di adottare un criterio intertestuale, che permetta di ricondurre il testo all’originale, quale quello di Dante

spiegato con Dante. A tale proposito si veda la linea 48 del capitolo primo del terzo trattato del Convivio: «Dee però rendere quello che migliore può con tanta sollecitudine e prontezza». Qui

la lezione «franchezza», riportata dai codici analizzati da Giuliani, non viene ritenuta dallo studioso accettabile in quanto la

franchezza d’animo […] non s’adatta al servo, ma è anzi propria del cavaliere. […]

Perciò, e non ostante che quel vocabolo sia preceduto e accompagnato da “sollecitudine”, pur m’assicurai che dovesse mutarsi in “prontezza”. Questa infatti significa quella pronta o piena buona volontà (1.50 e 54) necessaria al servo […]338

O ancora, alla linea 53 del quinto capitolo del quarto trattato «Oh ineffabile e incomprensibile Sapienza di Dio, che a un’ora per la tua venuta in Siria e qua in Italia tanto dinanzi suso ti preparasti!», l’avverbio «suso» viene posto da Giuliani in posizione diversa rispetto all’archetipo che riporta «in Siria suso e qua in Italia tanto dinanzi ti preparasti!»339.

Tale scelta venne operata dallo studioso in base al fatto che «questa sì mirabile preparazione certo da gran tempo era in Cielo per divino Consiglio (l. 15), ed è perciò che l’avverbio “suso” doveva congiungersi a “preparasti”, e non già ad “in Siria”, secondo che si legge comunemente, benchè con aperta disconvenienza.»340

337 G. Giuliani, Il Convito di Dante Allighieri reintegrato nel testo con nuovo commento, vol. I, p. XXXV. 338 Ivi, p. 298.

339 Tale spostamento rispetto all’archetipo viene evidenziato da Vasoli e De Robertis nell’edizione delle Opere

minori da loro curata nel 1988 a pagina 567.

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La scarsa validità attribuita da Giuliani ai codici è uno degli elementi che scatenarono maggiori polemiche non solo tra i suoi contemporanei, ma anche tra gli studiosi successivi. Interessante è il caso del De vulgari eloquentia, entrato a far parte dell’edizione delle Opere

latine pubblicata tra 1878 e 1882.

Ancor prima della sua pubblicazione lo studio di Giuliani era stato visionato da Eduard Böhmer che non poté fare a meno, pur riconoscendo una certa importanza alle proposte e agli emendamenti avanzati dal padre somasco, di sottolineare la necessità che questi trovassero riscontro in un’accurata analisi dei testimoni manoscritti:

Den Danteforschern wird die Fülle von treffenden Erklärungen und feinen Beobachtungen, die in Giuliani’s Commentar niedergelegt sind, sowie der von vielen Fehlern gereinighte Text höchst willkommen sein; und sollte einmal nächestens, was sehr zu wünschen ist, Jemand den Text direct aus den Handschriften methodisch constituiren, so würde Giuliani’s Ausgabe zu seinen besten kritischen Hülfsmitteln gehören.341