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GLI SCRITTI LINGUISTIC

S UL MODERNO LINGUAGGIO DELLA T OSCANA L ETTERE

Gli scritti di Giuliani dedicati alla lingua prendono l’avvio da un nucleo di trenta lettere, composte tra il 1853 e il 1857, indirizzate all’amico Francesco Calandri. Pubblicate dapprima sulla rivista “L’Istitutore. Giornale della società di istruzione e di educazione dedicato ai maestri, alle maestre, ai padri di famiglia e ai comuni”, fondata nel 1852 da Paravia, le lettere furono successivamente edite in volume nel 1858, presso la tipografia torinese di Sebastiano Franco, con il titolo Sul moderno linguaggio della Toscana. Lettere.216

L’opera cominciò a formarsi quando Giuliani, recatosi in Toscana per trarre giovamento dal clima della regione, iniziò a discorrere con i contadini e con gli artigiani per «apprendere il soave e proprio linguaggio»; nell’avvertenza posta a conclusione del volume, lo studioso afferma di voler proseguire il lavoro intrapreso dedicandosi, anche negli anni a venire, allo studio della lingua per poter chiarire, tramite i semplici fatti, se «la patria lingua abbiasi a chiamare fiorentina, toscana o italiana». A Sul moderno linguaggio della Toscana seguirono infatti Sul vivente linguaggio della Toscana. Lettere, nelle due edizioni del 1860 e del 1865 (la prima edita presso Sebastiano Franco, la seconda presso Felice Le Monnier) e Delizie del

parlare toscano. Lettere e ricreazioni del 1880, anch’essa pubblicata dall’editore fiorentino.

Pur notando «poca ed imperfetta dottrina, giudizi pronti, ripetuti e superficiali, cenni anziché discorsi» all’interno delle sue lettere, Giuliani decise comunque di predisporre tale e quale il carteggio alla pubblicazione perché così dettato «dall’amore delle arti gentili e della nostra lingua».217

Qualche incertezza sembra essere nata nell’autore circa il titolo dell’opera, modificato nel corso delle diverse edizioni: per questo Giuliani non mancò di chiedere consiglio a Niccolò Tommaseo, interpellato costantemente per correzioni e suggerimenti:

216 Gli archivi di Paravia sono andati distrutti durante il secondo conflitto mondiale: si è persa così la documentazione relativa alla pubblicazione delle lettere di Giuliani sulla rivista “L’Istitutore”. Anche le lettere indirizzate a Calandri, così come quelle inviate ad altri interlocutori che andranno ad ampliare le edizioni successive, per il momento non sono state ritrovate. Nonostante Giuliani parli delle missive come parte di un carteggio reale, di cui tuttavia non riporta mai la risposta, sorge il dubbio che l’impostazione delle opere come raccolte di lettere sia semplicemente un espediente letterario adottato dall’autore.

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Il Crocco mi dice che quel titolo delle mie Lettere v’offende nella parola moderno: vi parrebbe meglio vivo o vivente linguaggio e del popolo toscano, in cambio della Toscana? Vogliate, di grazia, accennarmene il vostro parere di cui non saprei desiderarmi altro più autorevole. Io posi moderno linguaggio non perché lo credessi variato dall’antico, ma appunto per aprirmi via a dimostrarne la sua incorrotta tradizione. Il vostro consiglio mi sarà di norma.218

Il perché del disappunto dell’amico è evidente: per il lessicografo infatti l’aggettivo «moderno» assume il significato di «cittadino» e, come evidenziato da Claudio Marazzini,

Tommaseo aveva insegnato ad ammirare il toscano rustico, nel quale sembrava rivivesse la lingua degli scrittori antichi […] Il modello linguistico rustico sembrava offrire una garanzia di continuità con il passato, mentre il modello cittadino era senza dubbio più moderno, ma a prezzo di una contaminazione con i forestierismi e le innovazioni lessicali.219

Con le sue trenta lettere (la prima del 18 maggio 1853, l’ultima del giugno 1857), Sul

moderno linguaggio della Toscana racchiude pressappoco tutto il pensiero linguistico di

Giuliani che andrà via via precisandosi nel corso delle edizioni successive.

La fortuna dell’opera, in particolar modo nelle sue edizioni successive, si riflette però soprattutto nel campo dell’educazione: le lettere raccolte dalla voce dei popolani toscani diventano presto testi di riferimento per l’apprendimento della buona lingua. Particolarmente significativo, a tal proposito, è il lungo annuncio bibliografico, del 1858, pubblicato alle pagine 124 - 126 del quinto volume di “Letture di famiglia e scritti per fanciulli. Raccolta di scritti

218 Lettera di Giuliani a Tommaseo, non datata, Firenze, BNCF (Tomm. 87,43 - 12r/v). Il rapporto tra Crocco e Giuliani risale agli anni genovesi dello studioso: come lui infatti anche l’avvocato ligure faceva parte dell’Accademia filosofica italica fondata da Mamiani nel 1850. Nulla invece si riesce a intuire riguardo al legame tra Tommaseo e il giurista e su come i due fossero entrati in contatto: nell’Elogio di Antonio Crocco di Luigi Tommaso Belgrano non viene infatti fatta menzione sull’amicizia che univa gli studiosi. L’unica informazione utile a datare la conoscenza di Crocco e Tommaseo agli anni Quaranta viene dal catalogo dei carteggi della BNCF che riporta dieci lettere indirizzate al lessicografo tra il 1844 e il 1874 (Tomm. P. 71. 53); la BNCF conserva anche una missiva di Tommaseo a Crocco del 5 novembre 1873 (Tomm. P. 71. 54).

219 A. Manzoni, Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. Edizione critica del ms. Varia 30 della Biblioteca

Reale di Torino, a cura di C. Marazzini e L. Maconi, Castel Guelfo di Bologna, Imago - Società Dante Alighieri, 2011, pp. 23 - 24.

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originali di educazione, istruzione e ricreazione intellettuale”. In questo, oltre a essere riportata integralmente la Prefazione a Sul moderno linguaggio della Toscana, il redattore si profonde in lodi verso coloro che si dedicano allo studio del toscano e, in particolare, verso Giuliani:

l’Italia deve essere singolarmente grata a quanti volgono con amore lo studio alla lingua della nazione; e noi Toscani dobbiamo plaudire ai nostri fratelli delle altre parti del bel paese, quando addimostrano di tenere in pregio il tesoro della favella che ci fu trasmesso più puro dagli antenati, e che qui il popolo custodisce naturalmente, e forse con maggior cura dei più tra gli scrittori. Molta di questa gratitudine e di questa lode è dovuta all’egregio e benemerito prof. Giuliani, il quale ha dettato le lettere che ora annunziamo.220

1860

Sul vivente linguaggio della Toscana. Lettere

Già a partire dalla seconda edizione del 1860, l’opera cambia notevolmente forma, come appare evidente fin dal titolo mutato in Sul vivente linguaggio della Toscana. Lettere di

Giambattista Giuliani. Seconda edizione corretta e ampliata. Alle missive comprese nella

precedente edizione (nucleo centrale di tutte le opere linguistiche di Giuliani) ne vengono aggiunte altre trenta, non più indirizzate a Calandri, ma a diversi destinatari.

A partire dal XLI scritto dedicato «Alle gentili anime italiane», che può essere considerato una nuova prefazione, si apre la “Seconda serie” di lettere scritte tra il 1858 e il 1860: altre dieci, non presenti in Sul moderno linguaggio della Toscana, era già entrate a far parte della “Prima serie”.

Tra le aggiunte più significative va notato soprattutto il progetto di un trattato, Della

coltivazione de’ castagni secondo l’espresse parole de’ montanini del Pistoiese, che venne

ristampato, quello stesso anno, nella rivista “Opuscoli religiosi, letterarj e morali”.221 Suddiviso

in 7 capitoli, Della coltivazione de’ castagni riporta le risposte date a Giuliani «dagli esperti ed

220 “Letture di famiglia e scritti per fanciulli. Raccolta di scritti originali di educazione, istruzione e ricreazione intellettuale”, Vol. V, Firenze, 1858, pp. 124 - 126.

221 G. Giuliani, Della coltivazione de’ castagni secondo l’espresse parole dei contadini del pistoiese, a cura di B. Sorio, in “Opuscoli religiosi, letterarj e morali”, tomo VIII, Modena, 1860.

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amabili contadini» pistoiesi, cui lo studioso si rivolgeva anche per verificare quanto appreso durante la conversazione:

la buona gente, cui io rileggeva lo scritto, che mai non s’accorsero d’avermi dettato, si tenevan contenti d’approvarmelo con dir libero e schietto: sta bene, gli è proprio

così, oh bello! Quest’è il modo che noi si consuma; e’ si vede che tutto ʼl mondo è paese.222

1865

Sul vivente linguaggio della Toscana. Lettere

La nuova edizione del 1865 («terza edizione, prima fiorentina, corretta ed ampliata»), stampata presso Felice Le Monnier, vede l’aggiunta di altre trenta lettere distribuite in parte tra quelle precedentemente pubblicate, in parte all’interno della “Terza serie”, comprendente le lettere LXXVII - XC.

Tra le modifiche più rilevanti operate da Giuliani in Sul vivente linguaggio della Toscana del 1865 si nota l’introduzione di nove lettere (LXXVIII - LXXXVI) in cui la parola viene lasciata esclusivamente ai contadini e agli artigiani, mentre gli interventi del padre somasco si limitano, nella maggior parte dei casi, alla spiegazione dei termini tecnici utilizzati dai suoi interlocutori.

In questi scritti, considerati capitoli a sé stanti, tanto da avere ciascuno un proprio titolo (Allumiera o miniera dell’allume in Montoni nella Val di Pecora in Maremma; Miniere

d’argento, così dette del Bottino in Rosina della Versilia; Le Magone del Maglio e del Distendino in Seravezza e così via), si nota l’estrema attenzione posta da Giuliani al linguaggio

tecnico adoperato dai popolani toscani. Uno degli elementi che in Italia non permette l’unificazione linguistica, secondo lo studioso, deriva infatti dalla mancata conoscenza della lingua in uso presso le botteghe e dalla eccessiva differenza che intercorre tra questa e quella scritta.

L’attenzione rivolta dal mondo accademico a questa nuova edizione di Sul vivente

linguaggio toscano si riflette non solo a livello nazionale, ma anche internazionale: in quello

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stesso anno, sulla rivista tedesca di Filologia e Pedagogia “Neue Jahrbücher für Philologie und Paedagogik”, l’opera di Giuliani viene citata, come riferimento bibliografico, tra i “Grammatik und Schulbücher” per l’apprendimento dell’italiano.223 Dieci anni dopo, nel volume XXX della

più antica rivista di Neofilologia europea, “Archiv für das Studium der neuren Sprachen und Literaturenˮ, Hermann Buchholtz, nel suo articolo Zur italianischen Grammatik riguardante la formazione del passivo in italiano, cita vari esempi tratti dalle tre edizioni di Sul moderno

linguaggio della Toscana fino ad allora pubblicate. In particolare l’autore trae dalla prima

edizione fiorentina gli esempi relativi all’uso dell’infinito presente come passivo con il dativo di persona:

Nach diesen Beobachtungen möchte man schwerlich geneigt sein den Infinitiv praesentis activi als passiv mit dem Dativ der Person zu erklären. Damit ich aber vorurtheilsfrei kein Wort, welches dieser Fügung geredet werden könnte, zurückhalte, denke ich hier noch des schon genannten Buches von GB Giuliani, Lettere sul vivente

linguaggio della Toscana, Fir. Le M. 1865. In den dort mitgetheilten Gesprächen

ungelehrter Leute Toscanas scheint sich unser Fall ausserordentlich oft zu finden. Dies wäre um so wichtiger, da diese vortrefflichen Gewächse vieles enthalten und aufklären, was bei Dante und den ältesten schwieriges und heut dunkeles gefunden wird. Sollte also dieser unser in Rede stehender Gebrauch sich der Schrift mehr entzogen aber allezeit im Volke gelebt haben? In den Beispielen ist gar keine Abwechselung; in allen ist das Passiv durch si gebildet und der Dativ heisst noi (ohne a = nobis). S. 85 noi si dice, 95 foga del fuoco noi si dice quella corrente di fuoco, 132 noi (da noi setzt der Herausgeber in Klammer hinzu) le viti non s’appoggiano agli arbori, 179 noi si pongono pochi ulivi, noi si lavora all’antica, 193 noi come son sani, si lasciano mangiar ogni cosa, 220 noi si pensa [...].224

223 “Neue Jahrbücher für Philologie und Paedagogik”, Liepzig, 1865, p.68.

224 H. Buchholtz, Zur italianischen Grammatik, “Archiv für das Studium der neuren Sprachen und Literaturen”, vol. XXX, Braunschweig, 1875, p.188. «Dopo queste osservazioni si potrebbe difficilmente propendere per una spiegazione dell’infinito presente attivo come passivo con il dativo della persona. Per non omettere nulla riguardo a questo tema, penso ancora al già citato libro di G. B. Giuliani Lettere sul vivente linguaggio della Toscana, Fir. Le M. 1865. Nei discorsi del popolo toscano non istruito colà riportati mi sembra che questo caso (esempio) si trovi straordinariamente spesso. E questo sarebbe tanto più importante, perché questi brillanti rami conservano e chiariscono molte cose, difficili e oggi oscure che si trovano in Dante e presso gli antichi. Dunque quest’uso di cui stiamo parlando si è (forse) perso nella lingua scritta ma è rimasto vivo nel popolo? Negli esempi non c’è quasi alcun un cambiamento, in tutti il passivo è costruito con il si e il dativo è reso con noi (senza a = nobis) P. 85 noi si dice; 95 foga del fuoco noi si dice quella corrente fuoco; 132 noi (da noi è messo fra virgolette dal curatore) le

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Un elemento di cui poi non bisogna dimenticarsi è l’importanza rivestita da Giuliani nell’ambito degli studi riguardanti la lingua dei mestieri. A tal proposito va ricordato che Ernesto Sergent, curatore della prima edizione milanese del Nuovo vocabolario italiano d’arti

e mestieri (1869), compilato sul Prontuario di Giacinto Carena e destinato principalmente alla

«studiosa gioventù», cita le lettere di Sul vivente linguaggio della Toscana come una delle fonti di arrichimento del suo repertorio lessicografico: «giovandosi liberamente e largamente di tutti cotesti lavori, che sono entrati nel dominio universale, come pure del Vocabolario de’ Sinonimi del Tommaseo, del Vocabolario dell'uso toscano del Fanfani, delle Lettere sul vivente

linguaggio della Toscana del Giuliani, dei dialoghi del Franceschi e di altre opere filologiche

siffatte, il compilatore di questo Nuovo Vocabolario ebbe specialmente in anima di completare al più possibile la parte attinente alle arti ed ai mestieri, la cui nomenclatura venne mutandosi o modificandosi coi progressi loro».225

Interessante infine notare come anche questa terza edizione dell’opera linguistica di Giuliani sia stata ritenuta un valido strumento per l’apprendimento dell’italiano, tanto da essere donata agli studenti più meritevoli come libro di premio: una testimonianza di questo ci giunge dalla copia di Sul vivente linguaggio della Toscana regalata a «Valsecchi Bianca, Alunna della Classe Terza Superiore, per buona condotta e profitto negli studi, nell’Anno scolastico 1868 - 1869». Le lettere sul vivente linguaggio della Toscana vengono inoltre indicate dalla maestra Angiolina Bulgarini, nel suo Programma didattico per l’insegnamento pratico della buona pronunzia e

della buona lingua italiana nel I e II anno di corso della Scuola Femminile di Pavia pubblicato

su “La Unità della Lingua” nel 1870, tra i «libri che si raccomandano alle alunne per maggior esercizio», e le ritroviamo citate poco più avanti nella descrizione del metodo adoperato per l’insegnamento della nomenclatura:

a bene imparare una lingua non basta il vederla composta nelle sue parti; bisogna pur vedere qual’è composta nel suo tutto. Onde, prima di andar dichiarando i termini relativi all’argomento si ciascuna lezione, ne farò vedere almeno i principali congegnati nel discorso. Ed appunto per questo nel corrente anno scolastico ho prescelto a libro di testo il secondo libro di lettura e di nomenclatura di Can. G. Vago di Napoli [...] riserbandomi di raccogliere in altri simili lavori, o di comporre io stessa se occorre dialoghetti, descrizioni e raccontinii adatti, ove questa operetta non basti

viti non si appoggiano agli albori; 179 noi si pongono pochi ulivi, noi si lavora all’antica; 193 noi come son san, si lasciano mangiar ogni cosa; 220 noi si pensa [...]»

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all’intero svolgimento dei predetti argomenti, ed al bisogno della scuola. Una casa fiorentina da vendere dell’illustre Fanfani; il nuovo periodico: L’Unità della Lingua, compilato dai Signori Fanfani, Gelli e Vescovi; e le lettere sul vivente linguaggio della Toscana del Giuliani, verranno spesso all’uopo [...].226

Vita di Anastasio Jacomini pastore di Pruno nell’Alpe della Versilia narrata con le sue stesse parole

Un’altra importante aggiunta nell’edizione del 1865 riguarda le ultime due lettere, la LXXXIX e la XC, entrambe dedicate alla Vita di Nastagio Jacomini, pastore di Pruno nell’Alpe

della Versilia, narrata con le sue stesse parole. La rilevanza attribuita da Giuliani a questa

narrazione, esempio di «come debba interrogarsi il popolo, e come giovarsi delle sue risposte per interessare un discorso, e regolarne il proprio favellare»,227 è evidente se si considera che

lo scritto era pubblicato anche autonomamente, nel 1864, nel volume V de “La gioventù. Giornale di letteratura e d’istruzione”.

Le differenze tra le due edizioni non sono molte. Quella che salta subito agli occhi riguarda la dedicatoria presente ne “La gioventù”: anche le lettere di Sul vivente linguaggio della

Toscana sono indirizzate ad Alfonso Casanova della Valle, ma in questa edizione Giuliani

integrò quella che nella precedente era l’introduzione all’interno della lettera LXXXVIII. Questo determinò il cambiamento di tono dello scritto che tuttavia rimase pressoché identico, salvo per il riferimento a Gaetano Bernardi, non presente nella versione in rivista.

Per quanto riguarda le modifiche operate per l’edizione in volume, va notata la ricerca di una sempre maggiore chiarezza: in questa direzione si colloca l’aggiunta di ulteriori geosinonimi, utili a una migliore comprensione, come nel caso del vocabolo “cardoni” accanto al quale Giuliani inizialmente aveva posto “scardassieri” e “concini”, aggiungendo in seguito anche “lanaioli”.228 Interessante è inoltre l’aggiunta, in nota, della spiegazione riguardo l’uso

di “nimo” e di “nessuno” da parte dei contadini, totalmente assente nel 1864:

226 A. Bulgarini, Programma didattico per l’insegnamento pratico della buona pronunzia e della buona lingua

italiana nel I e II anno di corso della Scuola Femminile di Pavia, in “La Unità della Lingua”, II, 9, 1870, pp. 135 - 143. Si veda inoltre, a proposito del programma didattico della maestra Bulgarini: G. Polimeni, Una di lingua una di scuola. Imparare l’italiano dopo l’Unità, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 134 - 142.

227 G. Giuliani, Sul vivente linguaggio della Toscana, 1865, p. 478. 228 Ivi, p. 448.

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Poco prima m’avea detto (Nastagio) nimo e ora nessuno, e così accade spesso a costoro, in ispecie quando son obbligati a ripetersi. Né si potrebbe accertare la verità, se non si sorprendono sul fatto; giacchè qualora uno mostri d’attender alle loro parole, non finiscono più di spropositare.229

Da notare, infine, la nota riguardante il termine “bugio”: nella prima edizione, lo studioso si limita a sottolineare come il vocabolo sia presente nella Divina Commedia, «specchio del volgare toscano», riportando i versi in cui esso compare:

E come suono al collo della cetra Prende sua forma, e sì come al pertugio Della sampogna vento che penetra; così, rimosso d’aspettare indugio, quel mormorar dell’aquila salissi

su per lo collo, come fosse bugio (Par. XX, 22)230

In Sul vivente linguaggio della Toscana, Giuliani non riporta più le terzine del poema, pur indicando la corrispondenza, facendo invece riferimento alla voce riportata da Fanfani nel suo

Vocabolario dell’uso toscano: un’ulteriore riprova del fatto che in Toscana si continui l’idioma

dantesco:

Bugio è nella Divina Commedia. Ed il chiarissimo signor Pietro Fanfani, sì esperto e

benemerito delle nostre lettere, nel suo Vocabolario dell’uso toscano scrive: Bugio, per vuoto, detto di cosa in forma cilindrica, usata fino da Dante e data dalla Crusca per voce antiquata, è viva vivissima in Castiglion fiorentino.231

Fin dall’inizio della narrazione, Giuliani avverte i propri lettori riguardo ad alcuni elementi che, a uno sguardo attento, potrebbero suscitare qualche dubbio:

Ed or qui mi piace d’avvertire ch’io mi permetto poi di mutare te in tu e li in le e poch’altre voci, che segnerò a suo luogo. Del resto le conservo tutte nella loro integrità,

229 G. Giuliani, Sul vivente linguaggio della Toscana, 1865, p. 449, nota.

230 G. Giuliani, Vita di Anastasio Jacomini pastore di Pruno nell’Alpe della Versilia narrata con le sue stesse

parole, in “La Gioventù. Giornale di Letteratura e d’Istruzione, vol. V, n° 6, Firenze, 1864, p. 489.

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e quali io le intesi. Allego perciò rieto, nimo, avale, tavia, cicco, fei o fiei, gnianco e altri idiotismi, non perché io li voglia recati negli scritti, ma perché servono alla storia della lingua.232

Tutto ciò che viene narrato è frutto di precise domande poste ad Anastasio: «dove rimane Pruno?»; «Gli è un paese grosso?»; «Come? Fa una sola Cura con Volegno?». Gli interrogativi non compaiono per una ben precisa volontà di Giuliani che desiderava rendere il discorso più fluido possibile, permettendo così di soffermarsi sulle parole pronunciate dal pastore:

Bensì mi sono adoperato che, levata la parte mia, la narrazione procedesse come di filo, facendo anche dimenticare l’opera del raccoglitore. […] certi vocaboli che sembrano fuori d’uso, mi piacque mantenerli, sì per far nuova testimonianza che vive tuttora il linguaggio de’ trecentisti, e sì perché si provvegga a volgere in maggiore profitto il tesoro della patria lingua.233

Rimane dunque costante il riferimento agli antichi scrittori, non solo trecenteschi, ma anche del Cinquecento: è il caso del termine “gallone”, adoperato da Nastagio per indicare il fianco. Giuliani fa notare come la stessa voce, con il medesimo significato, fosse stata usata dal Berni