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L A FILOLOGIA DANTESCA CONTEMPORANEA A G IULIANI : T OMMASEO , W ITTE E M OORE

LA FILOLOGIA DANTESCA TRA OTTOCENTO E INIZIO NOVECENTO

L A FILOLOGIA DANTESCA CONTEMPORANEA A G IULIANI : T OMMASEO , W ITTE E M OORE

Niccolò Tommaseo dantista

Per meglio comprendere come la figura di Giuliani studioso di Dante si collochi all’interno della filologia dantesca di metà Ottocento può essere utile operare un confronto con alcune personalità particolarmente vicine al padre somasco che, in quelli stessi anni, si occuparono del sommo poeta.

Tra coloro che condivisero con Giuliani diversi principi metodologici vi è sicuramente Tommaseo.

La fortuna che ottenne l’edizione della Commedia curata dal letterato dalmata è altalenante: nel corso di un secolo infatti «dalle lodi senza limiti del Giuliani si passa alla diffidente valutazione del Barbi tanto diversa a sua volta da quella di Isidoro del Lungo; dall’articolo di giornale o dalle conferenze soltanto informative […] si passa al giudizio più sintetico della generale inquadratura storiografica».342 Estremamente entusiasta del commento di Tommaseo

341 E. Böhmer, Zu Dante’s De vulgari eloquentia, in “Romanische Studien”, vol. IV, Bonn, 1880, p. 112. 342 E. Caccia, Tommaseo critico e Dante, Firenze, Le Monnier, 1956, p. 31.

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fu, per l’appunto, Giuliani che non mancò di chiedergli consiglio per sciogliere alcuni dubbi su specifici luoghi danteschi.

Questo assiduo confronto è testimoniato dall’epistolario, inedito, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze di cui quattro lettere in particolare permettono di osservare l’intenso scambio di opinioni intercorso tra i due studiosi343. Nella prima di queste, datata 18

marzo 1857, Giuliani si rivolge all’amico chiedendo delucidazioni in merito ad alcuni passi dell’Epistola a Cangrande della Scala. L’anno prima, presso l’editore Sambolino di Savona, l’intellettuale piemontese aveva infatti dato alle stampe Del metodo di commentare la Divina

Commedia. Epistola di Dante a Cangrande della Scala, un’opera che aveva accesso un lungo

dibattito coinvolgente l’autore, Marco Giovanni Ponta e Filippo Scolari. Nella lettera, Giuliani spiega alcune scelte operate nel suo scritto, ma dimostra di nutrire anche diversi dubbi riguardo ad alcune lezioni per le quali chiede aiuto a Tommaseo:

Illustre e Gentile Signore

Non voglio tardare a renderle grazie delle cortesi ed amorevoli parole, onde s’è affrettata di confortarmi ne’ faticosi studi che a sé richiamano ogni mia cura. Io non so quanti possano a lei paragonarsi per sapienza, ma de’ savi che la vincano nella virtù dell’affetto non ne conosco alcuno. Così Ella nel trarmi ad ammirazione, mi obbliga in prima ad amarla e a rivenire la sua gran bontà. Ciò mi persuade a parlarle con libera e sicura franchezza. Io accetto volentieri magnitudinis in luogo di amplitudinis, ma desidero d’avere il suo assenso, se ho a prendere quella parola nel solo senso di una delle tre dimensioni, com’è la larghezza. E dacchè è tanto gentile, la prego a continuare l’esame del mio lavoro e giudicarlo poscia colla maggiore severità e pubblicamente. Per me sarà sempre bastante onore e consolazione l’esser fatto degno della critica di tal maestro. In ispecial modo io amerei m’illuminasse sul sententia votiva (p. 34), e se in luogo de allegoricus sive moralis sia meglio leggere allegoricus sive mysticus (p. 18) ovvero allegoricus sive moralis sive anagogicus, come propongo alla pag. 78 in nota. La voce transumptivus Le pare a dirittura che vogliasi intendere al modo che richiederebbero i retori, oppure altramente per abbreviativo? (pp. 28 e 49). Ho cacciato via la parola polisensa perchè è un brutto miscuglio di greco e latino, e poi viene come ad aggettivare un sostantivo, che non parmi uso nostro. Laddove polisema mi sembra meglio formata ed acconcia, e chiarisce l’errore de’ copisti che nel commento del

343 La segnatura corrente delle lettere è Tomm. 87, 41 – 4r/v; Tomm. 87, 41 – 10r/v; Tomm. 87, 42 – 16r/v e Tomm. 87, 42 – 3r. La quarta lettera, che qui non viene riportata, è quella riportata nel paragrafo Spiegare Dante con Dante: un esempio tratto dalla copia della Commedia di Padova.

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Boccacci(o) lessero polisenno in luogo di polisemo già usato nella Geneaologia degli Dei. Ma io fo a fidanza con Lei e veggo che le rubo un tempo troppo prezioso. Benchè il torto è in parte suo per l’ottimo cuore che Ella mi ha dimostrato, e per il vivo amore onde Le si rendono pregiati gli studi e la brama del vero sapore in chi li coltiva. Mi mantenga nella sua benevolenza, che mi è molto cara e consolatrice, e, dove io posso, mi troverà sempre, quale me Le offro con piena stima e grata riconoscenza

Genova il 18 di Marzo 1857

suo devotissimo servitore Giambattista Giuliani344

L’autenticità dell’Epistola a Cangrande è uno dei temi più cari a Giuliani e l’importanza da lui attribuita al documento si manifesta in particolare nella lettera del 17 giugno 1858:

Ottimo e Gentile Signor Tommaseo

[…] io mi terrò a grande onore, se Ella darà luogo nel suo Dizionario Estetico a quella dotta e gravissima dissertazione sul mio lavoro intorno l’Epistola di Dante a Cangrande, né dalla mia ardua fatica potrei desiderarmi un compenso migliore. Certo, se dalla sapiente autorità di Lei verrà affermata l’autenticità di quello scritto, non so chi possa ancora cimentarsi ad oppugnarlo e lasciar di profittarne al bisogno.345

Nel 1862, in procinto di pubblicare La “Vita Nuova” e il “Canzoniere” di Dante Alighieri, Giuliani tornò ad interpellare Tommaseo a proposito di una strofa della canzone Tre donne

intorno al cuor mi sono venute:

San Marcello il 3 di agosto 1862 […]

Or io vi prego d’un favore, ma non potrei attendermi, fuorchè della vostra cortese sapienza. Essendo sul pubblicare i miei commenti al Canzoniere di Dante, mi trovo assai impacciato in una strofa della celebre canzone: Tre donne intorno al cuor mi sono

344 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 18 marzo 1857, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 4r/v. Cfr. II Appendice.

345 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 17 giugno 1858, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 10r. Cfr. II Appendice. Nella terza edizione del Dizionario d’Estetica del 1860 Tommaseo, sotto la voce Dante Alighieri, inserì effettivamente un cenno agli studi di Giuliani sull’Epistola a Cangrande con una lettera a lui rivolta che probabilmente costituisce la risposta alla missiva conservata alla BNCF con segnatura Tomm. 87, 41 – 4 r/v (cfr. II Appendice) la cui trascrizione è riportata nella pagina precedente. Cfr. N. Tommaseo, Dizionario d’Estetica, 3ᵃ ed., Milano, Perelli, 1860, pp. 152 – 154.

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venute. Ivi la Dirittura (che certo è la Giustizia) nel rispondere ad Amore, che le chiese chi fosser l’altre due (donne) ch’eran con lei, dice: “Siccome saper dei di fonte nasce Nilo picciol fiume, Ivi, dove ʼl gran lume Toglie alla terra del vinco la fronda sovra la vergin onda Generai io costei, che m’è da lato (la Larghezza o liberalità) E che si asciuga con la treccia bionda. Questo mio bel portato, mirando sé nella chiara fontana, Generò questa che m’è più lontana (la temperanza)” Cerco e ricerco io i commentatori, e nessuno me ne sa dir cosa che valga: vorreste voi illuminarmi al bisogno? Non ardirei pregarvene e rubarvi un tempo prezioso, ove il vostro sapere non fosse di continuo un pubblico beneficio. […]346

Al commento alla Commedia Tommaseo si preparò fin dalla gioventù con studi specifici, particolarmente indirizzati all’analisi delle fonti dantesche: l’opera era probabilmente già a buon punto nel 1834, ma bisognerà aspettare ancora tre anni perché veda la luce. La prima edizione non soddisfò però lo studioso che si rimise al lavoro, affinando la propria conoscenza mnemonica delle opere di Dante e rendendo ancora più minuzioso l’esame linguistico: nacquero così le successive edizioni del 1854 e del 1865.

Quella di Tommaseo è un’opera complessa che racchiude in sé quella poliedricità di interessi e di campi d’indagine propria del curatore e nella quale «l’attenzione al mondo storico e religioso di Dante non va disgiunta dal rilievo dei modi della forma, dall’atteggiarsi della parola entro il poema e in rapporto al tempo e alle altre opere di lui, e infine all’articolarsi dello stile».347

L’importanza rivestita dalle citazioni, specchio dell’accurata ricerca sulle fonti dantesche cui Tommaseo si adoperò fin dagli inizi dei suoi studi, viene da lui sottolineata già nella Prefazione all’edizione veneziana del 1837: «non fo che citare: perché le citazioni dichiarano la lettera, illustrano il concetto, mostrano onde Dante l’attinse, o con quali grandi fantasie la fantasia di lui si rincontrò, e com’e’ fu creatore imitando. […] Più frequenti a rammentare mi cadono la Bibbia e Virgilio, s. Tommaso e Aristotele.»348

Tale peculiarità viene apprezzata anche da Giuliani al quale Tommaseo si avvicina per un aspetto molto importante: occorre infatti ricordare che l’indagine della Commedia attraverso il

346 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 3 agosto 1862, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 4r. (Cfr. II Appendice, pp. 574 – 575).

347 A. Vallone, La critica dantesca nell’Ottocento, p. 129.

348 N. Tommaseo, Commedia di Dante Allighieri con ragionamenti e note, vol. I, Venezia, Tipi del Gondoliere, 1837, Prefazione.

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riscontro puntuale con le altre opere dantesche non è estraneo allo studioso dalmata, seppur la quantità di rimandi da lui riportati non sia paragonabile alla mole di quelli presenti nei commenti di Giuliani. Secondo alcuni studiosi, anzi, «al Tommaseo va il merito, se non di averlo propugnato per primo, di averlo eseguito, specie in certi raffronti di vocaboli, con finezza quasi sempre felice.»349

La caratteristica però sicuramente più interessante della critica di Tommaseo è quello dell’accurata analisi (e non poteva essere altrimenti) cui viene sottoposta la lingua dantesca: fin dalla prima edizione del suo commento lo studioso evidenzia infatti il proposito di riscontrare il linguaggio di Dante con il «toscano vivente» anche se in realtà questo avverrà compiutamente solo a partire dall’edizione successiva. Nella Prefazione all’edizione del 1854 l’intento del curatore è ben evidente:

un’altra cosa io credetti necessaria in questo comento: di togliere quel pregiudizio che sovente taccia l’Alligheri di licenzioso quanto alle forme dello stile e della lingua; al qual fine, ad ogni apparente licenza che ne’ suoi versi s’incontra, io m’ingegno dimostrare com’essa sia, o direttamente o per ragione evidente d’analogia, confermata dall’uso della lingua del suo secolo e spesso della parlata di oggidì […]350

Questa metodologia di commento trova un importante riscontro in Giuliani il quale, come si è precedentemente evidenziato, fin dal 1857 cominciò a far confluire nel proprio metodo anche gli studi da lui avviati sul «vivente linguaggio toscano». La riflessione sull’elemento linguistico si traduce nel Tommaseo critico in uno stile composito in cui «le espressioni popolareggianti si accostano tanto ai termini più aulici quanto a certa sua strana terminologia, usata nel tentativo di rendere più efficace l’espressione», obiettivo che lo studioso cerca di raggiungere anche nell’uso sintattico «ora latineggiante ora popolaresco».351

Così come per Giuliani i rimandi alle opere minori di Dante servono per comprovare la bontà di determinate lezioni, cercando di mettere un punto fermo alle dispute tra i critici, così Tommaseo nel suo commento alla Commedia si avvale, come si accennava poche righe più sopra, delle citazioni tratte dalle fonti dantesche. Anche in questo caso si tratta di un metodo soggettivo che alla scrupolosità di criteri più propriamente filologici antepone la scelta del curatore; al criterio del codex optimus, scelto da diversi editori, che «per quanto sia puro e

349 E. Caccia, Tommaseo critico e Dante, p. 53.

350 N. Tommaseo, Commedia di Dante Allighieri con ragionamenti e note, vol. I, Milano, Rejna, 1854, p. 64. 351 E. Caccia, Tommaseo critico e Dante, p. 87.

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autorevole, non può mai offrire tutte le varianti più sane», Tommaseo predilige la logica e la coerenza testuale: «postasi per fondamento una edizione, un codice (e l’edizione della Crusca sarà sempre ad ogni uomo di gusto il miglior fondamento), a questo quasi canone dovrebbersi osare quelle varianti sole che la logica e la poesia richiedono; alle restanti dar bando.»352

Ciononostante, rispetto a quella adottata dal padre somasco, la metodologia di commento e di ricostruzione del testo messa in pratica da Tommaseo si dimostra più aperta alla filologia, con una maggiore importanza rivestita dalla collatio e dalla suddivisione in famiglie dei testimoni:

ma a questo fine gioverebbe avere raccolte le varianti di tutti o di gran parte almeno di molti codici della Commedia; sì per procedere con sicurezza, e sì per tarpare ogni ardimento ai novelli editori che venissero a presentare un codice nuovo come grande scoperta. Allora forse vedrebbesi che, quantunque di molti siano i codici, tutti si riducono a certe quasi famiglie, secondo che il signor Witte ingegnosamente pensava: delle quali non si può nulla determinare giusta certe divisioni di luoghi e di tempi; ma si può con sicuri indizii notarne le differenze.353

Il dantismo tedesco: Karl Witte

Tra i contemporanei di Giuliani e tra i maggior studiosi di Dante del suo tempo va annoverato Karl Witte, fondatore, nel 1865, della Deutsche Dante – Gesellshaft di Dresda.

In Germania l’Ottocento segnò una tappa fondamentale per lo sviluppo degli studi su Dante: un ruolo fondamentale in questo processo ebbero i nascenti studi di filologia romanza, ambito al quale appartengono alcuni dei più importanti dantisti tedeschi come Eduard Böhmer, Ludwig Gottfried Blanc e Karl Bartsch.354 Non bisogna inoltre dimenticare che proprio in Germania,

352 N. Tommaseo, Commedia di Dante Allighieri con ragionamenti e note, 1865, pp. CXI – CXII. 353 Ivi, p. CXII.

354 Tutti e tre questi studiosi ebbero stretti rapporti con Giuliani. Per Eduard Böhmer si rimanda al paragrafo Il

centenario dantesco e la nomina a socio onorario della Deutsche Dante – Gesellschaft. L’attività di Ludwig Gottfried Blanc come dantista, ricorda Theodor Elwert, «in tempi di facili entusiasmi fu preziosissima per la serietà di preparazione e per l'oculatezza filologica» (Cfr. T. W. Elwert, Blanc Ludwig Goffried, voce in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970.) Allo studioso, che fu tra i fondatori della Deutsche Dante – Gesellschaft, si deve un Dizionario dantesco e la traduzione in versi della Commedia. In Arte patria e religione Giuliani raccolse una lettera indirizzata a Francesco Cavalieri Sopra la vita e le opere di Goffredo Luigi Blanc, professor e di Lingue romanze all’Università di Halle in Prussia (Cfr. Bibliografia delle opere non

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nel 1850, Lachmann pubblicò l’edizione del De rerum natura di Lucrezio, adottando quei principi che ancora oggi costituiscono la base della scienza filologica moderna. Gli studi danteschi italiani e tedeschi nascono quindi da situazioni diverse che permettono di comprendere come negli stessi anni l’analisi delle opere di Dante procedesse su due binari in parte differenti.

Lo studio dei codici e delle varianti interessò Witte fin dai primi suoi scritti dedicati al sommo Poeta: nel 1825, nel “Giornale Arcadico”, il critico pubblicò alcuni emendamenti al

Convivio che furono ulteriormente incrementati tra il 1853 e il 1854; nel 1826 dette alle stampe

il saggio Varianti sul terzo canto di Dante, mentre al 1827 risale l’edizione critica commentata da lui curata delle Epistole, sulle quali tornò anche successivamente.

Il metodo adottato da Witte si discosta, per rigore, sia da quello di Tommaseo sia da quello di Giuliani, come risulta evidente da una lettera inviata dallo studioso tedesco al padre somasco il 21 luglio 1855:

Scusi se ho tardato assai a ringraziarla per l’accurata copia del codice Savonese che devo alla sua gentilezza. Si conosce subito che sia esattissima, e per il lavoro da me intrapreso i confronti non hanno già per iscopo di ritrovar varianti nuove e commendabili, ma bensì di far conoscere le particolarità di ogni codice riscontrato. Egli è per questo che ho cercato di riunire come in una tavola le varianti che

analizzate). Karl Bartsch, anch’egli membro della società dantesca tedesca e tra i compilatori dello “Jahburch”, si interessò soprattutto dei rapporti tra Dante e i poeti provenzali. A lui si deve una traduzione integrale, in terzine rimate, del poema dantesco e la scoperta del primo tentativo di traduzione della Commedia in un codice monacense del 1479. (Cfr. V. Petrini, «Riverito Amico, l’assicuro che la sua amicizia mi sarà sempre preziosa.» Per un primo sull’epistolario di Giambattista Giuliani, p. 38.) Particolarmente degna di nota è una cartolina postale, facente parte del nucleo dell’epistolario di Giuliani da me fatto acquistare dal Comune di Canelli, che Bartsch inviò a Giuliani il 18 gennaio 1879. La peculiarità di questa missiva consiste nell’essere stata vergata in latino, a testimonianza di come ancora, a Ottocento inoltrato, questo fungesse da lingua transnazionale: «Summo me, vir egregie, affecit gaudio donum tuum pulcherrimum, quod mihi liberaliter misisti, editio operum Dantis latinorum critica.354 Grato animo ea utar, quando studium poetae, nunc propter alios labores aliquantulum a me requietum, denuo adiero. En pusillum pro tanta liberalitate Ἀντίδωρον, commentationem quam de Dantis arte poetica scripsi, tibi offero. Sane eam in annuario Dantesco iam habes; attamen haud ingratum tibi sit editionem separatim impressam eius.354 Vale mihique fave. Carl Bartsch Heilderbergae 18. januar. 1879» (Cfr. V. Petrini, «Riverito

Amico, l’assicuro che la sua amicizia mi sarà sempre preziosa.» Per un primo sull’epistolario di Giambattista Giuliani, p. 39.)

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maggiormente servono per guida a chi rintraccia le così dette famiglie dei testi a penna.355

Le divergenze metodologiche tra Witte e Giuliani vengono ben evidenziate da Carlo Vassallo in Sulla vita e sugli scritti di Carlo Witte proprio in riferimento alla missiva appena riportata:

Qui, come si vede, il Witte accenna i due sistemi cui inclinavano egli ed il Giuliani; egli verso il confronto dei testi, il Giuliani verso la ricerca dei luoghi paralleli del Poeta, e degli autori a cui questi attinse la sua dottrina. E dico inclinavano, perchè non furono né l’uno né l’altro esclusivi imperocché entrambi i sistemi, se isolati, e spinti agli estremi, non possono dar buoni frutti. Il Witte ricercò e confrontò i codici, ma non rinunziò per nulla agli altri sussidi dal Giuliani sfruttati; il Giuliani poi si servi dei luoghi paralleli, ma non trascurò la ricerca e l’esame dei codici quando ne ebbe occasione.356

Per meglio comprendere in che cosa consistono le differenze prodotte dall’uso di questi due metodi a livello di ricostruzione del testo sarà utile riportare alcuni esempi tratti dalle rispettive edizioni delle opere minori, in particolare della Monarchia e della Vita Nuova.

Nel 1874 Witte pubblicò la seconda edizione della Monarchia (la prima risale agli anni 1863-1871); quattro anni più tardi Giuliani diede alle stampe la propria. Particolare è la struttura di quest’ultima che si configura, nella parte relativa alla scelta delle lezioni da porre a testo, come un incessante dialogo con l’amico di Halle. Per ogni luogo in cui è stato necessario il suo intervento, Giuliani opera infatti un continuo confronto con l’edizione di Witte, accettando o rifiutando le proposte da lui avanzate. Il fondatore della Deutschen Dante-Gesellschaft aveva già messo in guardia l’amico riguardo a queste discrepanze anni prima, il 17 settembre 1867, durante i lavori di stesura della prima edizione da lui curata, quando il padre somasco, dopo aver ricevuto alcuni fogli del suo commento, gli aveva proposto alcune correzioni:

Ebbi poco prima che partissi da casa la graditissima vostra colle belle osservazioni sui primi fogli della Monarchia libro II che mi favorite. Non vi è fra esse una sola che non mi sembri essere spalleggiata da validissimi argomenti. Ciò non ostante non dico che

355 C. Vassallo, Sulla vita e sugli scritti di Carlo Witte. Cenni, Firenze, Cellini, 1884, p. 11. 356 Ivi, p. 12.

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le adotterò tutte credendo che oltre alle probabilità suggerite dal nesso dei pensieri dell’autore sia da ponderarsi ancora l’autorità dei testi, li quali per la Monarchia sono assai meno guasti per esempio pel Convivio. In ogni modo non fermerò peso di dramma senza sottoporre a un nuovo e maturo esame tutti i passi da voi notati. Vi fo dunque ogni istanza che facciate seguire alle prime anche le ulteriori vostre osservazioni.357

Il suggerimento di Witte non venne tuttavia ascoltato: nel passo del capitolo III, libro III, ad esempio, («non solum in hac quaestione litigium movent, sed sacratissimi Principatus vocabulum abhorrentes, superiorum quaestionum et hujus principia impudenter negant») l’emendamento proposto da Giuliani di «negant» al posto di «negarunt» presente nella vulgata si deve, ancora una volta, alla personale interpretazione del passo dantesco. Il luogo presente è un chiaro esempio del differente approccio metodologico del padre somasco rispetto a Witte: Giuliani sostiene infatti che la forma «negarent», proposta dal dantista tedesco, non sia opportuna e lo rimprovera proprio perché «suol attendere più ai Codici, che non alla ragion critica, la quale ci convince che qui l’Autore determina per l’appunto come quegli avversarj