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LA FILOLOGIA DANTESCA TRA OTTOCENTO E INIZIO NOVECENTO

L E CRITICHE A G IULIAN

La fortuna delle scelte e della metodologia adottate da Giuliani deve tener conto del contesto in cui sono state presentate: la filologia dantesca in Italia nel corso dell’Ottocento conobbe varie fasi in cui l’ope ingenii del curatore venne più o meno accettata.

Tra coloro che fecero proprio il principio di spiegar con Dante con Dante, seppur con precisi confini, vi fu Antonio Lubin, dantista di origini croate e professore all’Università di Graz.374

Particolarmente interessante è lo scritto da lui pubblicato l’anno della morte di Giuliani, il 1884, intitolato Dante spiegato con Dante e polemiche dantesche in cui lo studioso, oltre a rispondere alle critiche mosse al suo commento alla Commedia, esplica in un breve discorso iniziale i pericoli di tale metodologia e il modo in cui questa debba intendersi.

Il rischio principale evidenziato da Lubin è quello che Giuliani, proponendo l’applicazione di questo criterio, voleva scongiurare e del quale, in realtà, cadde lui stesso vittima: la proposta di lezioni congetturali legittimate dal nome di Dante:

Da che fu essa proclamata dal Giuliani, si presentarono al publico con quella divisa molte interpretazioni dantesche, dalla lettura delle quali si rileva che quegli autori, per averla assunta, si credettero di aver per essa conseguito il brevetto d’infallibilità, o un salvacondotto per i loro errori. Sotto quell’usbergo si credettero autorizzati di spacciare, a nome di Dante, cose da Dante non mai pensate, anzi in opposizione a

372 E. Moore, Contributions to the textual criticism of the Divina Commedia, p. 420. 373 Ivi, p. XXXVII.

374 Per la biografia di Lubin si veda E. Esposito, Lubin Antonio, voce in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia, 1970.

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quelle da lui anche chiaramente dette. E dopo quella formula ne vennero delle altre. E si spiegò Dante coll’arte di Dante; colla maniera di Dante; ed ora si cercano le interpretazioni dantesche nel generale sistema di Dante che si rivela in tutte le opere di lui. — Belle parole, molto promettenti, che non preservano però nessuno dall’inciampare.375

Nonostante la pericolosità di cadere in interpretazioni e lezioni in cui l’ope ingenii del curatore prende il sopravvento, Lubin evidenzia tuttavia la necessità di rifarsi a tale formula, da lui definita «canone ermeneutico», seguendo alcuni criteri fondamentali. Prima di tutto

in ogni questione dantesca, quella soluzione è la vera, la quale si ottiene da Dante; e che quindi necessariamente cadono a fronte di essa tutte le altre, siano di chi si sia, dal più antico al più moderno degli interpreti, si chiami esso l’Ottimo o Pietro o Iacopo di Dante, della Lana, Boccaccio, Buti, Landino, Vellutello, Lombardi, Foscolo, Rossetti, Filalete, Blanc, Witte, Tommaseo, Giuliani ecc, ecc., non monta: ove sia Dante spiegato veramente con Dante, la questione è finita e la controversia cessa.376

Non basta confrontare due passi tratti dalle opere dantesche per poter spiegare l’autore attraverso i riferimenti presenti nella sua opera: è necessario «il concorso di tutti che ne hanno un evidente rapporto.» Il fatto che i luoghi posti a paragone presentino espressioni simili non è inoltre sufficiente a provarne la validità, ma è necessario che essi esprimano il medesimo concetto; infine, un passo controverso, prima di poter essere usato come conferma del pensiero dantesco, deve essere chiarito nel suo significato, sia questo letterale o allegorico.

Ad eccezione di rari casi, come quello appena presentato, con la fine del secolo in Italia l’affermazione sempre più rigorosa del metodo filologico portò ad una decisa e irrimediabile svalutazione del metodo “Dante spiegato con Dante”.

Tra le critiche più feroci che furono mosse nei confronti del padre somasco vi furono sicuramente quelle di Giuseppe Rigutini che seguirono la pubblicazione, nel 1880, della Divina

Commedia raffermata nel testo giusta la ragione e l’arte dell’autore. In questa Giuliani,

prendendo come edizione di riferimento quella fornita dalla Crusca nel 1837, si proponeva di ricostruire il testo del poema rinnovato con nuove varianti. Ciò che manca, secondo Giuliani, è

375 A. Lubin, Dante spiegato con Dante e polemiche dantesche, Trieste, Balestra, 1884, pp. 5 - 6. 376 Ivi, p. 6.

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un criterio utile a discernere le lezioni da preferire; il metodo da lui adottato e ritenuto maggiormente valido è anche in questo caso, ovviamente, “Dante spiegato con Dante”:

così, a non contrastabili prove, mi venne fatto di convincermi, che il primitivo TESTO DI DANTE, in fondo in fondo, non potrebbe mostrarsi diverso da quanto porta la Lezione comune. Rispetto poi alle varianti, che gli si accumularono da ogni lato e quasi il disformano, mi recai a debito di eleggere quelle, che più si confacevano alla prescritta norma. La quale inoltre mi persuase di accogliere per legittime e genuine parecchie lezioni, che raramente occorrono ne’ manoscritti e nelle Stampe, e altre che mi parvero quasi da ultimo prescelte dall’Autore stesso nel tornar sovra il proprio lavoro. Per contrario, mi vidi costretto a ravvisarne come erronee alcune, tuttochè approvate universalmente; nè seppi trattenermi dal riformarle al modo voluto da rigida scienza e dal contesto del discorso.377

Poco dopo la pubblicazione dell’opera, Rigutini pubblicò l’opuscolo Le varianti al testo

della Divina Commedia escogitate dal prof. Giambattista Giuliani: come si accennava nel

capitolo dedicato alla biografia di Giuliani, lo studioso toscano esprime un giudizio molto negativo nei confronti delle varianti introdotte dal collega e le esamina una ad una per dimostrarne la scarsa validità. Bisogna tuttavia notare che la critica mossa da Rigutini, che sottolinea come la proposta di Giuliani, in diversi casi, non trovi riscontro in nessuno dei manoscritti fino ad allora noti, risulti prevedibile dal momento che il padre somasco, nel discorso introduttivo alle varianti, sottolinea come queste siano lezioni «introdotte nel Testo della Commedia senza l’autorità de’ Codici e delle Stampe».378

Il forte scetticismo di Rigutini nei confronti del metodo adoperato da Giuliani appare evidente fin dalla Prefazione:

Il quale (testo) è secondo la volgata lezione, che l’Editore difende, senza troppo bisogno di difesa; dacchè sia generalmente concordato che essa debba aversi qual fondamento del testo della Commedia. Né altrimenti hanno fatto a’ giorni nostri tutti i migliori editori suoi […] Tutto il valore adunque e tutta la importanza debbono, così per noi come per l’editore, consistere nelle nuove varianti che egli vi ha introdotto, con tanta sicurezza, con quanta poteva e doveva un uomo che oramai è persuaso di

377 G. Giuliani, La Commedia di Dante Allighieri raffermata nel testo giusta la ragione e l’arte dell’autore, Firenze, Le Monnier, 1880, p. XIX.

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avere in pugno la ragione e l’arte dell’autore. […] È un lavoro un po’ audace; ma, fra tante audacie presenti, spero che la mia non sarà delle più grosse. Non spero per altro, sarebbe troppo pretendere, che a me venga fatto di dimostrare all’Editore che spesso egli scambia la Ragion propria e il proprio Giusto con quelli del Poeta.379

La risposta arrivò l’anno successivo con lo scritto Dante spiegato con Dante. Metodo di

commentare la Divina Commedia dedotto dall’epistola di Dante a Cangrande della Scala,

pubblicato sulla rivista torinese “La Sapienza”. Le critiche rivoltegli avevano sicuramente toccato Giuliani che in questo nuovo saggio raccolse tre discorsi già precedentemente pubblicati per spiegare come, secondo lui, avrebbe dovuto essere inteso metodo da lui propugnato.

La metodologia adottata dal padre somasco non trova concorde neppure Carlo Negroni380

che, all’interno del suo discorso Sul testo della Divina Commedia, inserisce lo studioso canellese nella prima scuola di dantisti da lui individuata, quella «del libero esame», così chiamata «giacché i maestri e i discepoli di siffatta scuola, non solamente spaziano con pieno arbitrio tra le varianti che i documenti critici somministrano, ma ne creano di nuove, senz’altro fondamento che di loro congetture e opinioni.»381 Il padre somasco viene menzionato dallo

studioso novarese come l’ultimo rappresentante di questa schiera di dantofili, subito dopo Matteo Romani e Dionisi, come effettivamente fu, da cui Giuliani ha ripreso la formula “Dante spiegato con Dante” e non solo il concetto, ma anche le «medesime parole» del titolo «la ragione e l’arte dell’autore» della sua edizione della Commedia.

379 G. Rigutini, Le varianti al testo della Divina Commedia escogitate dal prof. Giambattista Giuliani, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1880.

380 Carlo Negroni (Vigevano, 28 giugno 1819 – Novara, 15 gennaio 1896) fu prima di tutto un avvocato, docente di diritto e proceduta civile presso l’Università di Novara dal 1840 al 1860. A partire dal 1869 si ritirò dalla professione per dedicarsi alla politica; fu solo dal 1880 in poi che, lasciati gli incarichi pubblichi, si dedicò agli studi letterari e a quelli di filologia dantesca: la passione per il collezionismo lo portò ad acquistare due codici quattrocenteschi della Commedia ora conservati presso la Biblioteca Civica di Novara). Nel 1886 pubblicò La Commedia di Dante con commento inedito di Stefano Talice di Riscaldone, mentre l’anno seguente vennero edite le Letture edite e inedite di Giovanni Battista Gelli sulla Divina Commedia. Cfr. M. Guglielminetti, Negroni Carlo, voce in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970. Per la figura di Negroni si rimanda inoltre a C. Marazzini, Carlo Negroni dantista e accademico della Crusca, in “Italiano digitale”, 2020, XII, 2020/1 (gennaio-marzo).

381 C. Negroni, Sul testo della Divina Commedia. Discorso accademico, in Memorie della Reale Accademia delle

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Il metodo proposto da Negroni è totalmente diverso da quello di Giuliani e si distacca, per certi aspetti, anche da quello di Witte. Lo studioso novarese addita infatti come principio cardine quello dell’antichità dei codici: se è vero che anche i manoscritti redatti subito dopo la morte di Dante sono andati incontro a delle manomissioni testuali, tuttavia è molto probabile che queste siano nella maggior parte dei casi dovute ad errori meccanici dei copisti e non ad errori congetturali come invece è riscontrabile in testimoni più recenti. È necessario dunque che si operi una scelta tra i testi a penna da collazionare basata sulla data di composizione di questi, ricostruita, laddove necessario, sulla base di principi paleografici. Un altro aspetto per cui Negroni si allontana dallo studioso di Halle è l’importanza attribuita al numero di codici da cui una lezione è tradita: nel caso in cui siano presenti delle varianti (intese come differenze di vocaboli o di significato) «la lezione del maggior numero mostrerà quale tra le varie forme, che furono nel pensiero e passarono per la penna dell’autore, sia quella che egli da ultimo preferì, e che fu quindi accolta all’età sua.»382

Nello stesso scritto Negroni esamina anche le controversie sorte tra Rigutini e il padre somasco: lo studioso si schiera, ovviamente, a favore del primo ritenendo corretto quanto da lui sostenuto, ovvero che «la ragione onde quelle varianti si dedussero, non fu la ragione di Dante, ma la sola ragione od opinione del nuovo editore, e che questa ragione od opinione è assai fievole e vacillante.»383

Con l’affermazione del metodo storico le critiche al mancato uso, da parte di Giuliani, dei codici divennero ancor più incisive. Il primo dal quale giunsero ferree opposizioni fu Pio Rajna che nella sua edizione critica del De vulgari eloquentia del 1896 (punto di riferimento prezioso poiché «alla minuziosa descrizione dei codici, cui ancor oggi deve ricorrere chi voglia conoscerne i reciproci rapporti e la discendenza, segue uno studio ampio e puntuale della lingua, della grafia, delle abitudini stilistiche, del cursus»384) passò in esame quella di Giuliani. In

particolare, Rajna ipotizzava che il padre somasco «dovette dare, o far dare, qualche occhiata al (codice) Vaticano; poiché sa di esso, o crede di sapere, qualcosa, che il Torri, sua fonte consueta d’informazione non gli diceva»385. Per quanto concerne invece la tradizione dei testi

a stampa, il critico evidenzia la preferenza di Giuliani per Fraticelli, affermando che il padre somasco non si era dato «neppure la briga di consultare l’edizione del Corbinelli»386. In realtà

382 C. Negroni, Sul testo della Divina Commedia. Discorso accademico, p. 240. 383 Ivi, p. 213.

384 M. Messina, Rajna Pio, voce in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970. 385 D. Alighieri, Il trattato De vulgari eloquentia, a cura di P. Rajna, Firenze, Le Monnier, 1896, pp. CIII – CIV. 386 Ivi, p. CIV.

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si tratta di una constatazione erronea infatti i riferimenti alla princeps, seppur non molto numerosi, sono comunque presenti nel commento di Giuliani; non mancano inoltre rimandi costanti all’opera di Trissino, di Böhmer, di D’Ovidio, di Torri e di Witte. Quanto all’opinione di Rajna nei confronti degli studi del suo collega piemontese, il cui nome ricorre poche volte all’interno dell’edizione da lui curata, al di fuori di un breve elogio per il «copioso commento, dove le questioni relative alla lezione tengono un posto assai ragguardevole»387, il giudizio

generale è alquanto negativo: lo studioso arriva perfino ad affermare che se Giuliani «fosse riuscito […] a far cosa veramente lodevole, bisognerebbe pensare che Dante stesso, mosso a compassione dall’intensità dell’affetto, fosse venuto in ispirito a prestargli assistenza.»388

Nel 1891 Rajna chiamò Michele Barbi, allora ventunenne, a stilare un piano di lavoro organico per l’edizione critica dell’intero corpus dantesco: a quegli anni risalgono le accurate ricerche sui manoscritti della Commedia che portarono Barbi a formulare un “canone” di 396

loci critici utili a sfoltire la tradizione manoscritta del poema. Tra i massimi rappresentanti della

critica filologica, lo studioso toscano «partito dal metodo del Lachmann, che già era stato accettato dai suoi maestri di metodo storico, […] si portò decisamente ad una interpretazione particolare di esso, che nel mentre ne accettava le linee generali […], ne limitava poi lo sviluppo nell’insieme e nel particolare»389: il correggere per congettura. I punti focali del nuovo sistema

messo in pratica dallo studioso, a cui si allinearono anche altri critici come Parodi e Vandelli, sono essenzialmente tre che risentono non solo dell’influenza della critica storica, ma anche della conoscenza delle scuole straniere. La prima tendenza da evitare è quella di riprodurre il testo ritenuto migliore, emendandolo solo dagli errori evidenti (come accadeva all’estero e, in particolar modo, in Germania); occorre poi, secondo Barbi, concentrarsi «sull’individualità dei problemi, il punto fondamentale a cui è arrivata la riflessione della nuova filologia italiana» e conoscere Dante, la sua contemporaneità, nonché la trasmissione della sua opera.390

Meno tagliente, ma altrettanto negativo rispetto a quello di Rajna, è il giudizio dato da Barbi al metodo di Giuliani, in particolare riguardo alla ricostruzione del testo della Vita Nuova. Si vedano nello specifico alcuni casi: al capitolo XIV «Allora dico che poggiai la mia persona subitanamente ad una pintura» lo studioso si sofferma su «subitanamente», scelta operata da

387 D. Alighieri, Il trattato De vulgari eloquentia, p. CIV. 388 Ibidem.

389 A. Vallone, La critica dantesca nel Novecento, Firenze, Olschki, 1976, p. 136.

390 M. Barbi, La Nuova filologia e l’edizione dei nostri classici da Dante a Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938, p. XV.

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Giuliani senza addurre motivazioni né filologiche né paleografiche e, soprattutto, senza alcun riferimento alla tradizione manoscritta:

il Giuliani, che vorrebbe sostituire, contro l’autorità dei Mss, e senza ragione, subitamente o subitanamente, parla di una lacuna del codice Martelli a questo punto. È in errore: simulatamente è omesso soltanto da Mc-Ox e da N&C. Egli ha frainteso nell’edizione del Witte la sigla M, che vuol dire «Cod. del Mezzabarba», e non «Cod. Martelli».391

La stessa mancanza di corrispondenza con i codici si era verificata anche al verso 4 del sonetto Tutti li miei pensier parlan d’amore: «Tutti li miei pensier parlan d’amore, / Ed hanno in lor sì gran varietate, / Ch’altro mi ha voler sua potestate, / Altro forte ragione il suo

valore»392:

Altro (l’altro de’ pensieri) forte ragiona il suo valore, dimostra ch’è forte (dolorosa e

grave) la virtù d’Amore. Tutte le stampe hanno folle in luogo di forte, che mal si seppe ritrarre da chi ebbe sott’occhio i più autentici manoscritti. Ma vuolsi tenere per certissima verità la nostra lezione, giacchè solo essa inchiude il concetto che Dante aveva sovresposto nella prosa: «Non buona è la signoria d’Amore, perchè quanto il suo fedele più fede gli porta, tanto più gravi e dolorosi punti gli conviene passare.» Si vegga anche V.N., XVIII.393

Barbi fa infatti notare che tale lezione «non ha alcun fondamento nei Mss» e che «corrispondenza fra la prosa e la poesia c’è pure, e anzi più piena, se intendiamo che folle (non buona, non ragionevole) venga detta la signoria (il valore) d’Amore, appunto perché conduce i suoi fedeli a gravi e dolorosi punti».394

391 M. Barbi, La Vita Nuova, Firenze, Società Dantesca Italiana, 1907, p. 34. La sigla Mc corrisponde al codice Marciano Italiano X, 26, contenente due codici distinti entrambi del XV secolo. Ox viene usato dal curatore per indicare il manoscritto conservato alla Biblioteca Bodeliana di Oxford, con segnatura Canonici Ital. 114 del XV secolo. La lettera N indica il manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli XIII, C, 9 del XVI secolo, mentre con C viene indicato il codice Vaticano Capponiano 262, composto da due codici originariamente distinti databili al XV secolo.

392 Ivi, p. 21.

393 G. Giuliani, La Vita Nuova e il Canzoniere di Dante Allighieri ridotti a miglior lezione, p. 104. 394 M. Barbi, La Vita Nuova, p. 32.

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A cavallo tra i due secoli si colloca anche l’opera di un altro importante studioso, Ernesto Giacomo Parodi. Vicino a Giuliani per quanto riguarda la predilezione per il senso letterale delle opere dantesche, il critico genovese se ne distacca invece per quanto concerne lo studio filologico. Questo risulta ben evidente nella ricostruzione del testo del Convivio, pubblicato, in occasione del centenario del 1921, all’interno delle Opere di Dante: testo critico della Società

dantesca italiana. La fortuna del metodo del Lachmann anche in territorio italiano è ormai

innegabile: in una recensione anonima del “Bullettino” della Società Dantesca, attribuita a Parodi, si legge una vera e propria professione di fede nei confronti della moderna pratica filologica:

rimane però sempre fermo e inconcusso che tentare l’edizione di un testo senza aver classificato i manoscritti è come proporsi di risolvere un’equazione senza avere la necessaria preparazione nell’algebra, e che fra la moltitudine apparentemente caotica delle loro varianti (lasciamo pur da parte le varianti di pura lingua), soltanto il raggruppamento in famiglie introduce, disciplina, chiarezza.395

La cultura letteraria italiana di inizio Novecento appare caratterizzata da una generale reazione al dantismo accademico, cui apparteneva anche Giuliani: di questa inclinazione si fa portavoce Croce nel saggio La poesia di Dante, in cui risulta evidente

il contrasto tra la tradizione del dantismo ottocentesco di orientamento storico- filologico-erudito e la novità liberatoria, in nome della nuova critica estetica del libro che finalmente restituiva la Commedia allo spazio e al tempo della poesia, mettendo fine al predominio della scuola storica presso un assai più vasto pubblico.396

Il pensiero crociano non potrebbe essere più diverso da quello propugnato da Giuliani poco più di una quarantina d’anni prima. Riprendendo una tendenza che caratterizzò anche la critica dantesca del primo Ottocento, Croce attribuisce un ruolo assolutamente marginale alle opere minori, ritenute mere esercitazioni in vista del risultato finale della Commedia: «la poesia di

395 E. G. Parodi, Il testo critico delle opere di Dante, in “Bullettino della Società Dantesca Italiana”, vol. XXVIII, fasc. 4, Firenze, 1921, p. 16

396 E. Ghidetti, Il Dante di Croce e Gentile, in Croce e Gentile: la cultura italiana e l’Europa, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016.

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Dante è principalmente, e si potrebbe dire quasi unicamente, la poesia della Commedia, perché nella Commedia egli giunse tutt’insieme alla piena originalità e all’eccellenza artistica».397

Contro gli «allegoristi, gli aneddotisti, i congetturisti» Croce avanza la proposta di «gettare via» i commenti che «invece di fornire i soli dati giovevoli alla interpretazione storico – estetica, esibiscono cose inopportune ed estranee».398 A questo si accompagna la necessità, per chi vuole

interfacciarsi con Dante, di un’adeguata preparazione filologica, ma, specifica ancora il critico, «la mediazione deve condurre a ritrovarsi con Dante da solo a solo, ossia a mettere in immediata relazione con la sua poesia.»399 Da qui dunque la condanna di quella che Croce definisce