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D ISCORSO DEL P G IAMBATTISTA G IULIANI C R S OMASCO , PROFESSORE DI FILOSOFIA NEL COLLEGIO CLEMENTINO

LE OPERE DANTESCHE

D ISCORSO DEL P G IAMBATTISTA G IULIANI C R S OMASCO , PROFESSORE DI FILOSOFIA NEL COLLEGIO CLEMENTINO

Pubblicato in due parti (la prima nel volume 298, la seconda in quello successivo) nel tomo C (luglio, agosto e settembre 1844) del “Giornale arcadico”, il discorso sul dipinto di Carl Vogel von Vogelstein401 fu edito, nello stesso anno, nel volume XXII de “Il Cattolico. Giornale

religioso - letterario”.402 Sempre nel 1844 lo scritto fu pubblicato a Lugano nel volume Lettere

al P. D. Francesco Calandri e dato alle stampe, per i tipi Salviucci, in un’edizione impreziosita

da un’incisione in rame del quadro403. Nel 1851 l’opera confluì nella silloge Alcune prose del

401 Carl Christian Vogel von Vogelstein (Wildenfels, 1788 – Monaco di Baviera, 1868) fu famoso soprattutto come ritrattista. Nel 1804 divenne allievo dell’Accademia di Dresda, mentre dal 1813 al 1820 si trovò a Roma dove eseguì una serie di ritratti, tra cui quello di Canova. Nella città eterna tornò, dopo essere stato nominato professore dell’Accademia di Dresda e pittore di corte, dal 1842 al 1844 e successivamente dal 1856 al 1857. Nel profilo biografico di Giuliani, De Gubernatis ricorda: «(A Roma) conobbe e frequentò lo scultore Tenerani ed il Finelli, il Podesti ed il sassone celebre dipintore Vogel di Vogelstein [...]. Nel Museo di Dresda si conserva un bellissimo quadro del giovine padre Giuliani, in abito talare, opera del Vogel, di cui il Giuliani illustrò poi nel 1845, il quadro rappresentante la Divina Commedia» Cfr. A. De Gubernatis, Ricordi biografici, p. 310 (si noti che De Gubernatis riporta come data il 1845 e non il 1844, anno dell’effettiva pubblicazione del discorso). Per quanto riguarda il rapporto con Giuliani, si ricordano le lettere inviate dal pittore e conservate presso l’Archivio Storico di Asti e pubblicate da Gabiani nel Carteggio dantesco di G. B. Giuliani. Per la vita di Vogel si veda C. Semenzato, Vogel von Vogelstein, voce in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970.

402 Di questo ci informa Giuliani attraverso l’annotazione «Dal Cattolico Giornale Religioso Letterario vol. XXII» riportata al termine delle Lettere al P. D. Francesco Calandri.

403 Giuliani ricorda questa edizione in una lettera dell’8 settembre 1883 indirizzata a Carlo Vassallo: «Carlo Vogel di Vogelstein fu certo uno dei più amorosi cultori di Dante, e come pittore valentissimo ch’egli era, cercò di ritrarre in un quadro la Divina Commedia. E questo gran quadro, cominciato in Roma nel 1842, venne compiuto due anni dopo. Ed io mi sono allora tentato di illustrarlo in un Discorso che si pubblicò con un disegno in rame del quadro stesso, e coi tipi del Salviucci». Il carteggio con Vassallo è stato pubblicato a cura di Niccola Gabiani nel volume sul Carteggio dantesco di Giambattista Giuliani. All’edizione Salviucci fa anche molto probabilmente riferimento Vogel quando, per contraccambiare all’invio da parte di Charles Lyell della traduzione in italiano del suo libro Dello spirito cattolico di Dante (pubblicato a Londra nel 1844), a cura di Gaetano Pollidori, scrisse a Giuliani: «in iscambio l’o mandato l’ultimo essemplare del suo Discorso sopra mio quadro. Sarei molto felice se io potessine

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p. Giambattista Giuliani404, mentre nel 1870, decisamente ridimensionata a causa di necessità

editoriali, entrò a fare parte del volume Arte patria e religione: prose.405

Nell’edizione per il “Giornale arcadico” la descrizione del dipinto è preceduta da un’importante premessa riguardo gli studi danteschi: partendo dall’ambito italiano la prospettiva viene allargata ai Paesi europei che hanno rivolto «la considerazione al divino poema e, dilettandosene assai» ne hanno fatta «lor cura principalissima».406 Il Paese all’interno

del cui «cuore [...] s’accese la fiamma, che per tutte parti di repente trasfusa, da l’un capo all’altro vivacissima si dilatò»407 non poteva non essere l’Italia, dove sono state pubblicate così

tante edizioni della Commedia «che il simile e tanto non fu veduto in tre degli andati secoli».408

Di queste Giuliani sottolinea soprattutto il rigore filologico: gli appassionati cultori del poema, nel loro tentativo di «migliorare e ridurre men lontano dalla vera lezione quel gran testo»,409

non solo si sono adoperati per riportare all’attenzione «gli antichi e più pregevoli codici e stampe», ma, «non bastando queste fatiche», hanno «tentato ancora di riflettere una vie maggior luce sulla Commedia, togliendo ad esame ed illuminando le altre opere del sovrano cantore».410

La stessa vita di Dante è stata oggetto di studi approfonditi, nella convinzione che potesse essere utile alla corretta interpretazione della sua opera maggiore: proprio per questo «frugaronsi e sottosopra si misero gli archivi affine di ricavarne quelle notizie, che di ciò si potessero maggiori e più certe».411

Numerosi sono stati i commenti elaborati a corredo del testo dantesco che, oltre a rendere più agevole la lettura e corretta l’interpretazione, hanno permesso di «più invogliarne e innamorarne gli animi» non solo degli uomini di lettere italiani, ma anche degli stranieri. In ambito anglosassone non possono non essere ricordati Henry Boyd, Henry Francis Cary, John Charles Tarver, Charles Lyell e George Vernon che tra Settecento e primi decenni

avere un certo numero d’essemplari. Qualche mese prima trovai occasione di mantar un esemplare a Parigi all Prof. niccolin [...]».

404 G. Giuliani, Alcune prose del padre G. Giuliani, Savona, L. Sambolino, 1851, pp. 57 - 109. 405 G. Giuliani, Arte patria e religione, pp. 31 - 48.

406 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein. Discorso del

p. Giambattista Giuliani C. R. Somasco, professore di filosofia nel collegio clementino, in “Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti”, tomo C, vol. 298, luglio, agosto e settembre, Roma, 1844, p. 110.

407 Ivi, p. 108. 408 Ivi, p. 109. 409 Ibidem. 410 Ibidem. 411 Ibidem.

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dell’Ottocento «veduto il gran senno di Dante, ad un suono concorde lo gridarono e lo celebrarono pel sommo de’ poeti filosofici».412 Tra gli studiosi francesi dediti alla traduzione e

allo studio della Commedia, Giuliani ricorda in primo luogo Alexis - François Artaud de Montor «al cui sottile ingegno e rara maestria è dovuta la prima delle traduzioni francesi che ne’ moderni tempi siasi fatta del poema sacro»; seguono Joseph de Gourbillon, Auguste Le Dreuille, Auguste Briseux, Eugène Aroux e Federico vi a cui va riconosciuto il merito di «aver degnamente illustrato la filosofia cattolica del secolo dell’Alighieri».413

«Ma dove fiorisce e fruttifica maggiore lo studio del fiorentino poeta di quello che sia nella Germania?». Secondo il padre somasco, a convincere i tedeschi a indagare l’animo di Dante era stato Schelling che, nei suoi interventi Ueber Dante in philosophischer Beziehung414, aveva

mostrato come «la mente di quel sommo poeta» fosse «piena di gran filosofia».415 Se

«l’Alighieri prima questi ultimi anni, e meglio che non fece ne’ tempi da noi remoti, avria parlato l’idioma alemanno»416 sarebbe stato tuttavia merito di Schlegel e della sua traduzione

della Commedia417 alla cui impresa si dedicarono anche altri insigni studiosi come Karl Ludwig

Kannegießer, Karl Streckfuss e il principe Giovanni di Sassonia. Giuliani si sofferma in particolare su August Kopisch, «perchè quest’ultimo, nel farsi interprete, si accostò più d’appresso al vero senso di quella principale allegoria che, dimoratasi lungo tempo ascosa nella Commedia, fu dal valente somasco Giovanni Ponta, mercè di profonde e pazienti indagini, finalmente poi distenebrata»418, e su Karl Graul «cui piacerebbe fare di Dante poco men che un

412 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 110. 413 Ivi, p. 111.

414 Ueber Dante in philosophischer Beziehung costituiscono l’unica parte di una serie di interventi danteschi pubblicati mentre Schelling era ancora in vita: furono diffusi a Jena tra 1802 - 1803 e successivamente ripubblicati a Würzburg tra 1804 e 1805 (a questa edizione fa riferimento Giuliani che cita la data del 1804). Per Schiller e i suoi studi danteschi: Cfr. M. Caesar, Dante, the Critical Heritage, Londra, Routledge, 1989.

415 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 111. 416 Ibidem.

417 Nel 1791, sulla rivista di Gottfried August Bürger “Akademie der shönen Redekünste”, insieme all’articolo

Über Dante und die göttliche Komödie August Wilhelm Schlegel aveva pubblicato il suo primo tentativo di traduzione della Commedia che diede l’avvio agli studi romantici su Dante. Tale progetto continuò fino al 1797, restando tuttavia incompiuto. Per Schlegel si veda R. W. Ewton, The literary theories of August Wilhelm Schlegel, Berlino, De Gruyter, 1972.

418 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 112. Giuliani fa riferimento agli studi di Ponta esposti nell’opuscolo Nuovo esperimento sulla principale allegoria dantesca di Dante Allighieri fatto da Marco Giovanni Ponta, Roma, Tipografia delle belle arti, 1843: qui il padre

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precursore od un profeta di Lutero, (e che) con amico zelo ne conforta a studiare ben addentro la riforma per ben fine di penetrare gli ascosi ammaestramenti della Commedia».419 Vengono

inoltre ricordati Ludwig Gottfried Blanc, Friedrich Sclosser e Karl Witte al quale una copia del discorso fu inviata dallo stesso Vogel.420

Prima di passare a descrivere i pregi del dipinto, uno dei pochi in cui il pittore sia riuscito a rappresentare della Commedia «quel tanto che, bastando all’unità, esprimesse viva l’idea ed il fine di quel miracolo dell’umano ingegno»421, il padre somasco dedica due paragrafi (il IV e il

V) all’origine e al fine del poema dantesco. Ripercorrendo la Vita Nova non si può non riconoscere come motivo ispiratore di Dante la visione di Beatrice «dalla quale riconoscendo un sì nuovo e segnalato favore, si pose in animo di stendere in carte quella visione, e per maniera che si paresse tutta e sola una lode di lei, comechè ad altro figurare la traesse. Perciò le diede forma di commedia: [...] introducendovi per attori principali sè stesso e la sua donna pietosa [...]».422 Ciò che Giuliani però non condivide, e che considera sintomo di una mal

interpretazione del fine della Commedia, è l’aggiunta dell’aggettivo divina al titolo dell’opera: «non perchè la materia e l’eccellente forma del lavoro ne fossero indegni: ma per essere quella, non sia indarno il ridirlo, la commedia di Dante Alighieri, o, ciò che stimerei presso che uno stesso, il Dante Alighieri in commedia».423

Commento artistico e letterario dialogano nella descrizione del dipinto che «ci pone visibile alla mente il fine principalissimo propostosi dall’Alighieri nello scrivere la commedia»: basta infatti «ivi rivolgere gli occhi, e la religione, che inspirò il poeta e animò il braccio al pittore,

somasco individuava come «oggetto principale di tutta l’allegoria della divina commedia» la «conversione di Dante dal guelfismo alla monarchia, operata dalla filosofia, ossia, secondo lui, dalla vera sapienza».

419 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 112. Riguardo alla religiosità di Dante, problema a lungo dibattuto tra i critici danteschi, Giuliani aveva tenuto un discorso nel maggio del 1844 presso l’Accademia Tiberina di Roma. Il discorso fu pubblicato, pochi mesi dopo, nel tomo CI del “Giornale arcadico” con il titolo Della riverenza che Dante Alighieri portò alla somma autorità pontificia. Discorso recitato il 27 maggio 1844 nell’accademia tiberina di Roma dal p. Giambattista Giuliani C. R. Somasco.

420 De Gubernatis riporta parte di una lettera inviata da Witte a Giuliani il 2 gennaio 1845 in cui l’insigne dantista scriveva: «devo ai favori del signor de Vogel una copia delle dotte di lei illustrazioni sull’insigne quadro di questo illustre professore». Cfr. A. De Gubernatis, Ricordi biografici, p. 310.

421 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 114. 422 Ivi, p. 118.

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sentiremo tosto ragionarci al cuore».424 La tavola, che presenta un’architettura simile a quella

della facciata del duomo di Orvieto, è suddivisa in vari riquadri raffiguranti alcuni dei principali episodi della Commedia. Al di sopra del frontone si ergono una croce, la statua del papa e quella dell’imperatore a simboleggiare i tre grandi poteri presenti all’interno dell’opera dantesca «e ben egli, l’egregio artefice, seppe valersene a significare che la religione, il papato e l’impero, le parti guelfa e ghibellina, si furono le cagione che potentissime operarono sul divino poema».425 Seguendo la tripartizione in cantiche operata da Dante, le varie scene sono collocate

su tre diversi livelli: «l’Inferno è immaginato nella parte inferiore», il Purgatorio occupa la fascia mezzana, dove troneggia il ritratto del poeta, seduto sul sarcofago di Beatrice, mentre al Paradiso è riservata la sommità dell’edificio, quella più vicina al cielo. Ciò a cui si deve prestare maggiormente attenzione è però soprattutto la volontà del pittore «di porre Dante in commedia» e la conseguente scelta di non raffigurare altro «salvo quel che riguardava propriamente lui»:426

«l'amore grandissimo che in (Vogel) s'accese verso il sommo cantore dei tre regni» lo condusse a usare «il pennello ad incarnarlo: e ciò fece con tanta maestria da maravigliarne ogni più sottile intenditore».427

Il desiderio di Padre Francesco Calandri di ammirare il quadro, considerato «lo stupore della miglior parte di Roma», condusse a una nuova edizione dello scritto: prima nel vol. XXII del “Cattolico Giornale Religioso Letterario” e poi, sempre nel 1844, nel volume Lettere al P. D.

Francesco Calandri, in cui non subì variazioni di rilievo. Dalla struttura del discorso, con

allocuzione iniziale e diversi riferimenti agli uditori, si passa alla forma canonica della lettera: dopo l’introduzione «Mio Dolcissimo Calandri, la vostra amicizia mi è sì cara e pregiata che io non saprei negarmi al vostro piacere senza contristare me stesso», seguono i saluti finali e le indicazioni sulla composizione della missiva: «Roma dal Collegio Clementino a’ 4 gennaio 1844». Anche il testo viene sottoposto a un notevole rimaneggiamento: dopo una breve premessa sugli studi danteschi in area tedesca, l’attenzione di Giuliani si sofferma su una visione d’insieme del dipinto, senza addentrarsi nella descrizione dei singoli episodi: «tra per

424 G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di Vogelstein, p. 253. Come ricorda Giuliani nella lettera a Vassallo sopracitata «il quadro poi fotografato servì, come d’introduzione al volume Dante e il suo secolo, stampatosi in Firenze nel 1865 pel glorioso centenario della nascita del Divino Poeta. Ora il quadro s’ammira nell’Accademia nella galleria dei quadri moderni nel Palazzo delle Belle Arti in Firenze, e fu comperato dal Gran Duca, che prima del 59 reggeva la Toscana».

425 Ivi, pp. 120 - 121. 426 Ivi, p. 251. 427 Ivi, p. 114.

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non sapere in tanta varietà di bellezza quale prendere e quale lasciare, e per la strettezza, a cui mi costringe questo foglio, passandomene ora, farò di scrivervene una particolareggiata relazione».428

Se nelle due edizioni seguenti429 lo scritto non subì variazioni di rilievo rispetto alla

pubblicazione sul “Giornale Arcadico” (eccetto l’introduzione di un’Avvertenza in cui Giuliani riconosceva alla propria trattazione alcuni difetti e l’essersi attenuto «nelle interpretazioni del sacro poema più al senso morale e anagogico, che non all’allegorico propriamente detto»430),

altrettanto non si può dire dell’ultima, confluita nel volume Arte patria e religione: prose (1870). A favore di una struttura più unitaria scompaiono la suddivisione in paragrafi e l’Avvertenza, ma soprattutto vengono eliminate la citazione di Lamartine, che apriva il discorso, e la parte della premessa relativa agli studi danteschi al di fuori d’Italia. Si tratta di tagli molto probabilmente legati a ragioni editoriali, vista la densità di scritti che compongono Arte patria

e religione (trenta in tutto, per un totale di quasi 470 pagine), che portano a concentrare

l’attenzione esclusivamente sul dipinto, di cui viene data un’attenta e particolareggiata descrizione.431

Agli elogi rivolti al pittore per «aver atteso al fine morale del Poema sacro, anzichè al fine politico, se di questo la moralità fu posta a sicuro fondamento e ragione» segue, a concludere, l’augurio di Giuliani che «altri non tardi a sorgere in Italia non meno valoroso nella virtù dell’ingegno e dell’arte, e che s’appresti a scolpire un marmo o dipingere un grande affresco, giusta il modello offertoci dal Vogel»: forse allora Dante «avrebbe tale un monumento, da non potersi desiderar maggiore, nè più condecente, e sarebbe emendato un gran fallo antico che ancora ci pesa».432

428 G. Giuliani, Lettere al P. D. Francesco Calandri C. R. Somasco preposto del Collegio S. Antonio in Lugano, Lugano, Tipografia Veladini e comp., 1844, p. 17.

429 Le due edizioni sono: G. Giuliani, La Divina Commedia di Dante Alighieri. Dipinto del sig. Carlo Vogel di

Vogelstein, Roma, Salviucci, 1844 e G. Giuliani, Alcune prose di G. Giuliani, Savona, L. Sambolino, 1851.

430 G. Giuliani, Alcune prose, p. 110.

431 Una drastica riduzione se si pensa che Vogel, nel 1845, aveva pensato di proporre ulteriori aggiunte: «in caso che lei voglia far ristampare ancora una volta questa discorso abbia la bontà di dirmelo che allora si potrebbe far qualche agiunta interessante ed anche una stampa grande che io intendo di far fare presto una repetizione in piciolo che io vo terminando». Lettera di Vogel a Giuliani del 12 giugno 1845, 1v. (Cfr. II Appendice)

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DEI PREGI E DI ALCUNE NUOVE APPLICAZIONI DELLO OROLOGIO DI DANTE