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LE LETTERE INEDITE DELLA B IBLIOTECA N AZIONALE C ENTRALE DI F IRENZE

E LA POSIZIONE NEOTOSCANISTA DI GIULIAN

LE LETTERE INEDITE DELLA B IBLIOTECA N AZIONALE C ENTRALE DI F IRENZE

Particolarmente importante e proficuo fu il rapporto che si venne a creare tra Giuliani e il più importante esponente della corrente neotoscanista: Niccolò Tommaseo.

Tra i due intellettuali si venne a instaurare un profondo legame, testimoniato dai documenti inediti conservati nel Fondo Tommaseo presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (sessanta lettere, due biglietti da visita, un telegramma e una ricevuta inviati da Giuliani), che affondava le sue radici nel comune interesse verso gli studi linguistici e quelli danteschi.

Volgendo l’attenzione al problema linguistico, determinante per Tommaseo fu l’incontro con Manzoni, avvenuto tra 1824 e 1825, ma la ricerca di una lingua viva e comune si concretizzò durante gli anni fiorentini quando lo studioso ebbe modo di stringere amicizia con alcuni dei più importanti letterati e linguisti dell’epoca (Raffaello Lambruschini e Gino Capponi, per citarne alcuni) e di avvicinarsi sempre di più al toscano parlato sulle montagne e nelle campagne.

Nel 1825, con Il Perticari confutato da Dante, Tommaseo dette alle stampe lo scritto in cui per la prima volta veniva esposto il cuore del suo pensiero linguistico, sviluppato ulteriormente

97 C. Marazzini, Unità e dintorni. Questioni linguistiche nel secolo che fece l’Italia, p. 151. 98 V. Gioberti, Del bello, Firenze, Ducci, 1845, pp. 302 - 303.

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in seguito nella Prefazione al Dizionario dei sinonimi (1830) e nella Nuova proposta di

correzioni e di giunte al dizionario italiano (1841).

Sostenitore della soluzione toscana, lo studioso basò il proprio pensiero linguistico su alcuni cardini romantici che costituiscono uno dei punti di incontro con la posizione ricoperta da Giuliani: tra questi, rifacendosi ancora una volta a Vitale, si ricordano il concetto di lingua come creazione popolare e l’ideale risorgimentale della corrispondenza tra l’unità di lingua e l’unità civile. Su quest’ultimo in particolare si fonda la Nuova proposta di correzioni e di giunte al

dizionario italiano del 1841: qui infatti Tommaseo sottolinea la necessità di una lingua comune,

quotidiana, in grado di unificare l’Italia non solo dal punto di vista letterario, ma anche dal punto di vista civile e sociale:

fino a quest’oggi l’Italia non ha comune se non la lingua dei dotti: quella delle arti, e di tutte quasi le consuetudini che al viver sociale s’attengono, è lingua municipale, differente nelle differenti provincie. E cotesto è bisogno urgente non della letteratura soltanto ma della civiltà italiana. In qual lingua dovrà lo scrittore insegnare all’agricoltore lombardo i precetti dell’arte sua? In quale alla donnicciula piemontese trattare de’ suoi lavori? Vocaboli nell’una provincia intesi giungeranno più che barbari in altra.100

In particolare, come affermato dallo stesso Tommaseo nella prefazione al Dizionario dei

sinonimi, «l’uso più generale e più ragionevole: ecco la principal regola ch’i’ mi son posta [...]

quando sono condotto a dovere scegliere tra l’autorità degli antichi e l’uso vivente, io sto sempre per l’uso vivente».101 Ecco dunque il primo problema che si presenta: la lingua modello deve

essere una lingua viva, dell’uso, di questo Tommaseo è assolutamente certo, e in totale distacco dalle teorie che sostenevano il contrario:

del resto gli spregiatori dell’uso toscano non possono non condannare col fatto il proprio disprezzo. Taluni di loro son anzi ligi seguaci de’ modi toscani; se non che l’uso vivo confondono col morto; tra le varietà degli stili una sola forma conoscono e

100 N. Tommaseo, Nuova proposta di correzioni e di giunte al vocabolario italiano, Venezia, Gondoliere, 1841, p. 109.

101 N. Tommaseo, Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana, 2 ed. milanese, Milano, Reina, 1851, p. XX.

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imitano, e con quella trattano ogni materia d’argomento. Altri poi che l’uso toscano non degnano, vediam cadere nel fiacco, nello sguaiato, nel ruvido, ch’è una pietà.102

Dello stesso avviso è Giuliani che, fin da Sul moderno linguaggio della Toscana, sostenne l’importanza di rifarsi alla lingua parlata:

quivi (in Toscana) s’ode parlare con la facile eleganza e nativa grazia e collo schietto candore come scrivevasi dagli aurei trecentisti […] e sì mi restringo ad avvisare, che quella viva lingua italica non vuol essere pure studiata nelle parole proprie e significative delle cose spettanti ai bisogni del vivere civile, ma altresì e più ancora nelle forme di dire, negli agevoli costrutti e in quelle figurate espressioni […] de’ costumi toscani. Al che singolarmente io rivolsi i miei pensieri, favellando coi popolani del contado di Pisa, di Siena, di Pistoia e di Firenze.103

Propriamente romantico è anche il principio dell’uso vivo come premessa di ogni trasfigurazione artistica, riguardo al quale il lessicografo si rivolge ai propri lettori ponendo loro una domanda: «chi è che ignori oramai, negl’idiomi popolari essere deposto il germe del vero; e la scienza non essere ad altro buona che a ritrovarlo ed a svolgerlo, quando pure sia degna di tanto?»104 Uno dei fondamenti del pensiero di Tommaseo, che trova pienamente concorde

l’amico, è la stretta e innegabile connessione esistente tra la tradizione scritta e la lingua toscana parlata: se è vero che all’unità linguistica si avvicinarono «gli scrittori che più fedelmente s’attennero alla norma toscana»105 bisogna ricordare che «la lingua parlata dev’essere perpetua

norma alla scritta, e perchè più ricca, e perchè più sicura.»106 Per fare in modo che la lingua

italiana non sia una lingua «morta», esclusivamente scritta, bisogna che guardi a un modello «vivente»: il toscano parlato.

La lingua comune, perchè si possa dir viva, abbisogna d’un tipo vivente. [...] Senza questa (la lingua vivente), come distinguere le voci morti dalle vive, per renderla intelleggibile a quelli a cui farsi intendere più bisogna e giova? [...] Ora poichè la lingua italiana scritta ha nel dialetto toscano, correttamente parlato, un ritratto sì fedele, un

102 N. Tommaseo, Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana, p. XXIV.

103 G. Giuliani, Sul moderno linguaggio della Toscana. Lettere, Torino, S. Franco, 1858, Prefazione. 104 N. Tommaseo, Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana, p. XXII.

105 Ivi, p. XXI. 106 Ivi, p. XXXIII.

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esemplare sì bello, perchè non vorrem noi ne’ luoghi di pubblica educazione col mezzo di prefetti o di servi toscani insegnare ai nostri figli e la grammatica della lingua illustre e le vive eleganze della lingua parlata? [...] Per rendersi intellegibile a tutti, forza è fra tanti dialetti scegliere uno solo. [...] A quale preferenza, se non a quello ch’i’ non dirò il più elegante e più ricco, ma il più universale fra tutti, perchè già conforme alla lingua scritta, già sancito dalla riverenza di tutta Italia [...]?107

Non bisogna dimenticare che la lingua popolare toscana fu quella che gli scrittori antichi del Trecento adoperarono nelle loro opere, ormai divenute patrimonio comune a livello di lingua scritta. Di questo Tommaseo e Giuliani sono ben consci ed entrambi sono convinti che «ciò che tanto donò di nitore e di purezza al toscano idioma, si è che quivi dal popolo tratte furono le eleganze de’ primi scrittori; poscia dagli scrittori nella bocca del popolo ripurgate tornarono novellamente.»

Come Giuliani anche Tommaseo compì diverse peregrinazioni linguistiche nella regione dell’Arno, mescolandosi «alla povera gente dei campi, ammirato e confuso di registrare voci e locuzioni di chiara cittadinanza nella più illustre tradizione letteraria»108 e arrivando alla

conclusione che, nonostante la relativa unità cui era giunta la lingua letteraria, questa non potesse diventare la lingua dell’intera nazione perché non in grado «di assolvere le intere funzioni della comunicazione sociale.»109 Solo una lingua viva, parlata e usata in ogni ambito

della vita quotidiana, avrebbe potuto diventare la lingua comune a tutta Italia, e questa lingua non poteva non essere quella del popolo toscano: «tutto quant’ha la lingua del popolo (purchè non difforme inutilmente da grammatica e non rappresentante imagini sconce, le quali del resto più abbondano nel linguaggio delle città) prendasi a piene mani».110 Sulla distinzione tra cosa

si intende per «popolo» e cosa per «plebe» si incentra la quinta delle undici questioni che Tommaseo individua, nella già citata Nuova proposta, come i cardini su cui da sempre si impernia la questione linguistica in Italia:

Quinta questione. Ma in quale opinione avere il linguaggio della plebe toscana? Distinguete la plebe dal popolo: poi il popolo delle grandi città dal popolo delle

107 N. Tommaseo, Nuova proposta di correzioni e di giunte al vocabolario italiano, pp. 107 - 109.

108 D. Martinelli, Voci del toscano vivo in Fede e bellezza, in Studi di letteratura italiana offerti a Dante Isella, Napoli, Bibliopolis, 1983, p. 332.

109 M. Vitale, La questione della lingua, p. 431.

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campagne. Se amate lingua conforme quasi affatto alla scritta quanto alle forme grammaticali, troverete nel popolo toscano migliaia di persone che la parleranno: se cercate i vezzi di un linguaggio elegante, dipintore, e filosoficamente poetico, li troverete nell’infima plebe e nel popolo delle campagne, uniti a qualche ribobolo, a qualche sgrammaticatura; ma ricco tanto che a voi non rimarrà che il pensier della scelta.111

A questo punto però si pone un altro quesito: bisognerà parlare di toscano, di fiorentino, secondo il modello manzoniano, o di lingua italiana? Tommaseo risponde nella sua Nuova

proposta di correzioni e di giunte al dizionario italiano:

chiamatela italiana, e rimarrà sempre a sapere quali siano i migliori modi d’apprenderla: chiamatela toscana, e rimarrà sempre agl’Italiani il diritto di scriverla, come la scrissero il Caro, l’Ariosto, l’Alfieri. – Pure chi volesse sciolta la questione del nome, potete rispondere: poiché tutti gl’Italiani la scrivono, certamente la può e deve chiamarsi italiana.112

D’altro canto, la lingua cui guardano sia Tommaseo che Giuliani non è solo la variante fiorentina, ma è quella parlata in ogni area della regione, laddove si ritrova la purezza incontaminata del linguaggio usato da Dante.

Per i non toscani la distanza da colmare è grande: «io sono e mi sento forestiero in questo sì caro paese, e tale fui sempre giudicato alla parlata»,113 così affermava Giuliani, e le parole di

Tommaseo rispecchiano lo stesso sentimento di estraneità:

Gli scritti sono arte, il parlare è natura: lo straniero educato al toscano dialetto è fatto quasi cittadin di Toscana; lo straniero educato alle toscane letture, riman sempre straniero: l’uno possede la lingua, l’altro l’ha in prestito: l’uno sa il toscano, l’altro sa di toscano: il primo trae di sua mano fuori della miniera il metallo; l’altro convien che s’appaghi di quello che gli vien porto, segnato com’è d’altrui stampa.114

111 N. Tommaseo, Nuova proposta di correzioni e di giunte al vocabolario italiano, pp. 101 - 102. 112 Ivi, p. 101.

113 G. Giuliani, Sul vivente linguaggio della Toscana, 1860, p. 188.

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Le lettere di argomento linguistico

Le lettere che trattano di lingua indirizzate da Giuliani a Tommaseo possono essere suddivise in tre gruppi: quelle in cui lo studioso piemontese chiede consigli e aiuti all’amico in merito alle sue opere linguistiche; quelle che fanno riferimento a un’amicizia comune, la stornellatrice Beatrice di Pian degli Ontani, e quelle che permettono di capire il contribuito dato da Giuliani nella compilazione del Tommaseo - Bellini.

In procinto di pubblicare il suo primo scritto sulla lingua toscana, edito a Torino nel 1858, Giuliani si rivolse a Tommaseo, già interpellato per altri lavori, affinché quelle lettere potessero essere corrette da un «sì autorevole maestro»:

Illustre e Gentile signore

Le sono tenutissimo delle sue cortesi ed affettuose parole, onde Le piacque di accogliere que’ miei tenui lavori, e veggo bene che la vera sapienza trae seco compagna la gentilezza. Ciò mi fa ardito di presentarle ancora uno scritto che ha obbligato per lungo tempo la mia fatica. Ben di questa avrò bastevole compenso, quando Ella voglia degnare della sua considerazione i miei studi e giudicarli con libera franchezza. […]

E, poichè è tanta la sua cortesia da ricordarmela, non le incresca di andar leggendo quelle mie lettere che in gran parte si rivolgono sulla lingua toscana a Lei tanto famigliare, ed avrò per lieta ventura del vedermi corretto da sì autorevole maestro.[…] Genova il 28 febbraio 1857115

Gli incoraggiamenti di Tommaseo convinsero Giuliani a proseguire con le sue ricerche, tanto che lo studioso, all’epoca non ancora residente in Toscana, decise di intraprendere un nuovo viaggio nella regione per incrementare le proprie ricerche:

[…] Or le trasmetto copia di quelle mie Lettere, che io sono debitore alla benevole sua istanza, se mi eccitai a proseguirle, e mi confido di vederle accolte e giudicate con indulgenza. Né Ella colla sua pronta bontà, mi raccomando caldamente, sarà per mancarmi di opportuni consigli sì rispetto al fatto che rispetto a quanto mi propongo di

115 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 28 febbraio 1857, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 3r. (Cfr. II Appendice, pp. 540 – 541).

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fare. (ciò che notai nell’Avvertenza) A questo fine mi dispongo d’imprendere un nuovo viaggio per la Toscana, né tarderò molto. […]

Genova il 17 di giugno 1858116

I nuovi studi sfociarono nell’edizione del 1860 intitolata Sul vivente linguaggio della

Toscana: non è quindi un caso se alcuni dei testi qui riportati siano indirizzati proprio a

Tommaseo, cui Giuliani inviò una copia dell’opera a dimostrazione dell’alta considerazione nutrita nei confronti del maestro:

Mio ottimo e venerando Amico

Eccovi un po’ corrette ed accresciute le mie Lettere sul vivente linguaggio della Toscana, e son certo che le gradirete perché, se non altro, vi faranno fede quanto mi siano rispettabili i vostri consigli e cari i cenni del vostro cortese affetto. L’amore della verità e di quelle vive bellezze che si perpetuano in questo primo dialetto italico, valgami ad acquistare grazia presso di voi, che non cessate d’essermi gentile maestro d’antica sapienza. […]

Siena il 7 novembre 1860117

L’amore della verità è il principio secondo il quale Giuliani indirizzò tutti i suoi studi, tanto quelli danteschi quanto quelli linguistici; per questo motivo lo studioso cerca sempre di lasciare i suoi interlocutori liberi di esprimersi, anche se a volte emergono alcune difficoltà, come spiegato in una lettera del 3 agosto 1862:118

Venerando Amico!

San Marcello il 3 di agosto 1862 Eccovi alcuni semplici fiori raccolti su per questa Montagna, e mi prometto che li avrete cari, anche perchè nel raccoglierli, voi mi foste ognora presente. Tutto il mio studio è di far parlare gli umili contadini, e non ci riesco sempre come vorrei e mi

116 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 17 giugno 1858, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 10r. (Cfr. II Appendice, pp. 542 – 544).

117 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 7 novembre 1860, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 21r. (Cfr. II Appendice, pp. 545 – 546).

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bisognerebbe. A me tocca di spigolare dove altri può mietere, e devo contentarmi, e sarò lieto, se il mio raccolto non vi sembrerà troppo scarno.119

Pur non rendendosene conto, sono dunque i contadini e gli artigiani a possedere la «gentile favella» italiana. Sia Tommaseo che Giuliani dedicarono gran parte dei loro studi alla raccolta di quei fiori di buona lingua dispersi sulle montagne e nelle campagne toscane: ciò che attraeva entrambi gli studiosi non era solo la proprietà delle frasi e dei costrutti o la ricchezza dei vocaboli, ma anche la poeticità sottesa al linguaggio popolare toscano.

Assai noti sono i Canti popolari di Tommaseo il quale, nel volume dedicato alla Toscana, raccolse le canzoni che aveva avuto modo di ascoltare a partire dal 1832 sulla montagna pistoiese. In particolare, l’illustre lessicografo menziona tra le sue fonti poetiche «la moglie d’un pastore, che bada anch’essa alle pecore, che non sa leggere, ma sa improvvisare ottave; e se qualche sillaba è soverchia, la mangia pronunziando, senza sgarrare verso quasi mai»: Beatrice di Pian degli Ontani.

La stessa Beatrice compare anche nelle già citate lettere (LVI - LVIII) inserite in Sul vivente

linguaggio della Toscana:

L’aria di montagna spira proprio giocondità e salute; la gente […] s’ingegnano di stornellare, e parecchi ve n’ha ch’e’ cantano di poesia per fluida ed elegante maniera. […] In cotale arte di natura porta anch’oggi il vanto la Beatrice di Pian degli Ontani. […] Ella rende festanti quest’amene selve, dov’io troppo a lungo vi trattengo, amico, e non ve ne incresca. […] Qui non si ritrovano cose nuove per voi; ma sol che ve ne siano delle piacevoli a ricordare, mi prometto v’appagherete.120

Giuliani s’intrattenne con la stornellatrice di Cutigliano alcuni giorni facendosi raccontare, rigorosamente in ottave, la storia della sua vita. Proprio alla biografia di Beatrice lo studioso fa riferimento in una missiva del 4 dicembre 1858 spiegando a Tommaseo come avesse dovuto tralasciare il lavoro a causa dell’editore Le Monnier che lo aveva richiamato agli studi danteschi.

119 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 3 agosto 1862, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 42 – 3r. (Cfr. II Appendice, pp. 547 – 548).

48 Ottimo Signore ed Amico

[…] Oltre una nuova scelta di voci e frasi raccolte dalle labbra toscane, venivo preparando pel mio carissimo ed onorabile Tommaseo la biografia ed alcuni canti improvvisi della Beatrice di Pian degli Ontani, ma venne a distrarmi dal sì dolce lavoro il Lemmonier, richiamandomi, dopo tre anni d’aspettativa, a miei studi su Dante. […]

La parte più interessante della lettera è però sicuramente il post - scriptum: qui infatti Giuliani riporta alcuni versi cantati dalla poetessa toscana quale piccolo dono in occasione dell’onomastico di Tommaseo:

p. s. L’occhio e la lingua mia posson tenere Il cor non già, ch’io non vi voglia bene; L’occhio e la lingua mia posson privare Il cor non già, ch’io non vi voglia amare.

Così finisce un de’ rispetti, che raccolsi dalla montanina improvvisatrice, e questi versi ve li presento come un semplice fiore pel giorno del vostro Santo. L’accoglierete volentieri, ne son certo, perché vi giungono sempre gradite le dimostrazioni d’un candido affetto, cui l’arte invano presterebbe la parola. Addio. Prosperi Iddio i voti e gli augurii del mio cuore!121

Giuliani tornò a intrattenersi con Beatrice di Pian degli Ontani diverse volte nel corso degli anni non dimenticando di riportare i saluti della donna al comune amico:

San Marcello il 28 di agosto 1864 Prima di lasciare questa beata montagna, vo’ mandarvi i miei affettuosi saluti e quelli della nostra Beatrice di Pian degli Ontani. È veramente ammirabile costei, che basta sola a rivelare la divina virtù di questo linguaggio. Del quale, non ch’io possa saziarmi, sento ognora più vivo il desiderio.122

121 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 4 dicembre 1858, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 41 – 13 r/v. (Cfr. II Appendice, pp. 549 – 552).

122 Lettera di Giuliani a Tommaseo, 28 agosto 1864, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Tomm. 87, 42 – 9r. (Cfr. II Appendice, pp. 553 – 554).

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La collaborazione di Giuliani al Tommaseo - Bellini

L’aspetto più importante della collaborazione tra Giuliani e Tommaseo riguarda sicuramente la partecipazione dello studioso di Canelli alla compilazione dell’illustre Dizionario della

lingua italiana.

Sulla scia del successo del Dizionario dei sinonimi, pubblicato nel 1830, già nel 1835 l’editore torinese Pomba (che diventerà successivamente UTET) contattò Tommaseo per la realizzazione di un’opera lessicografica ancora più importante.

Il Tommaseo - Bellini, edito tra il 1861 e il 1879, si presentò sul ricchissimo panorama lessicografico italiano con degli elementi di assoluta originalità, primo fra tutti la soggettività delle voci, in particolar modo di quelle firmate dallo stesso Tommaseo: un esempio emblematico è quello di “comunismo” contrassegnato da due croci che condannavano il lemma a “parola da evitare”.

Nuova fu anche la strutturazione della voce per la quale ci si discostò dal modello della Crusca: il criterio adoperato consisteva nell’ordinare in maniera gerarchica i diversi significati della parola, contrassegnandoli con numeri progressivi. Il modello previlegiato è ovviamente quello dell’uso vivente, ma non mancano anche esempi tratti da autori del passato. Proprio per la sua capacità «di coniugare il criterio della sincronia con quello della diacronia», evidenzia Claudio Marazzini, «quello di Tommaseo riuscì il primo vero dizionario storico della nostra lingua.»123

La stesura dell’opera iniziò nel 1857 e di pochi mesi più tardi (febbraio 1858) è una lettera di Giuliani in cui si ringrazia Tommaseo per la richiesta di partecipare ai lavori:

Ottimo Signore ed Amico

Ella mi fa troppo onore, invitandomi a quegli studi che potranno in alcun luogo giovare il suo gran Vocabolario, e se io l’accetto “discolpi me non poterr’io far niego”. […]124

Al 23 marzo di quello stesso anno, come si comprende da un’altra missiva, risale un primo invio di parole che Tommaseo doveva valutare se includere o meno nel vocabolario. Giuliani inserisce in questa prima lista anche lemmi tratti dalle proprie opere non perché queste debbano

123 C. Marazzini, La lingua italiana. Storia, testi, strumenti, 2ᵃ ed., Bologna, Il Mulino, 2015, p. 290.