Fonte: Legambiente
4.5 Criticità legate all’utilizzazione dei pascol
Lo sfruttamento dei pascoli in quota non solo caratterizza l’intero sistema zootecnico valdostano, ma ne costituisce la base e l’elemento fondante: è proprio la massiccia presenza di pascoli d’alpe che ha permesso, in passato come oggi, lo sviluppo dell’allevamento bovino in tutta la regione17. Come già si è avuto modo di ricordare, la secolare pratica dell’alpeggio estivo consente alle aziende zootecni- che di fondovalle di beneficiare delle risorse foraggere dei pascoli montani, favo- rendo, al contempo, la corretta gestione delle superfici di fondovalle e di mayen, dove, nel periodo estivo e in assenza del bestiame, si svolgono tutte le operazioni colturali volte al mantenimento e al ripristino della coltivabilità.
In questo contesto è quindi fondamentale riconoscere e valorizzare la cen- tralità del ruolo delle aziende d’alpeggio e, di conseguenza, dell’approccio colletti- vo che ne sta alla base. Alla luce dei dati relativi alla consistenza di queste aziende in Valle d’Aosta, che mostrano la tendenza a una graduale diminuzione in termini di numerosità e di superficie utilizzata, si impone un esame delle dinamiche e del- le problematiche legate all’uso tradizionale dei pascoli.
Come anticipato, buona parte delle criticità rilevate dagli allevatori possono essere ricondotte alla crescente separazione tra proprietà dei fondi e conduzione dell’attività e al perdurare di una forte parcellizzazione fondiaria, seppur in pre- senza di un aumento delle superfici medie aziendali. In particolare, si è visto come
17 Si consideri che dagli archivi amministrativi della RAVA risulta che oltre il 75% delle superfici forag- gere in uso sono pascoli d’alpeggio.
gli intervistati denuncino l’appesantimento amministrativo dovuto alla necessità di formalizzazione dei numerosi contratti d’affitto.
La locazione dei fondi avveniva, fino a un recente passato, perlopiù tramite accordi verbali e spesso, in considerazione delle esigue dimensioni degli appezza- menti, si procedeva ad un pagamento in natura (una certa quantità di burro, una forma di Fontina, etc.). Il passaggio alla forma scritta obbligatoria costituisce, per- tanto, un aggravio burocratico rilevante, al quale si accompagna un aumento dei costi amministrativi. La complessità dovuta alla frammentazione delle proprietà si riflette, infine, nella gestione di altrettante domande di aiuto per l’accesso alle misure agro-ambientali e compensative degli svantaggi naturali.
La crescente separazione tra la proprietà e l’utilizzo della terra non è priva di conseguenze negative anche sulla pianificazione del lavoro e sulle scelte im- prenditoriali. Per gli agricoltori il cui titolo di possesso dei terreni è prevalente- mente legato a contratti d’affitto la programmazione del lavoro sul lungo termine risulta più difficoltosa, variando in funzione della fluttuazione dei canoni di affitto e della disponibilità stessa delle superfici.
Un’azione interessante da parte dell’assessorato sarebbe quella di favorire l’acqui- sto di terreni per poter creare un’azienda più grande e fidelizzare l’agricoltore alla sua proprietà. Avere la proprietà dell’azienda è molto diverso da tenerla in affitto perché vuol dire lavorare con un certo rigore e con una certa programmazione. Pur essendoci oggi molte proprietà che sono messe sul mercato, spesso l’agricoltore non riesce ad arrivarci finanziariamente, ci vorrebbe pertanto un aiuto importante da parte dell’amministrazione pubblica, onde evitare che queste proprietà vadano a finire nelle mani di altri imprenditori che a loro volta affittano ad agricoltori. Dare all’agricoltore la possibilità di avere l’azienda in proprietà è fondamentale in pro- spettiva futura tenendo conto della crisi che c’è, evitando agli allevatori di pagare affitti altissimi e senza la garanzia che i proprietari mantengano la parola data (In- tervista n. 33).
La progressiva perdita di “fidelizzazione” dell’agricoltore al territorio − ter- ritorio sul quale lavora ma del quale non ha la proprietà − è individuata come una delle principali cause dell’incuria nella gestione di superfici e fabbricati. Questo aspetto è particolarmente evidente nelle aziende d’alpeggio che, in considerazione delle difficili condizioni climatiche di alta quota, delle caratteristiche strutturali dei fabbricati e delle difficoltà di accesso, necessitano di costanti interventi manu- tentivi che rischiano di passare in secondo piano se, a causa di continui cambi di gestione, non si crea tra l’agricoltore e la proprietà un rapporto stabile e duraturo.
… i proprietari di alpeggio fanno ben attenzione a chi danno in affitto le loro proprietà e nel momento in cui non dovesse più venire l’attuale affittuario sarà difficile repe- rirne uno altrettanto affidabile. Spesso infatti si trovano persone che si sono dedicate all’agricoltura senza averne un’idea e rischiano di fare solo danni. […] Il vantaggio principale nel dare in affitto a persone che sanno fare il loro mestiere con serietà, non è tanto il canone di affitto in sé, quanto il mantenimento della campagna e delle strutture (Intervista n. 30)
Il venir meno della stabilità nella conduzione degli alpeggi, per i quali si as- siste a un frequente susseguirsi di gestioni diverse, e l’accresciuta mobilità delle mandrie, per effetto dell’introduzione del trasporto con camion, porta a una pro- gressiva perdita del legame agricoltore-territorio che, in passato, in un contesto di maggiore stabilità nella conduzione degli alpeggi, si creava non solo nel fondovalle ma anche alle quote d’alpe. Questo comporta, oltre alla citata crescente derespon- sabilizzazione dell’agricoltore, un rischio di progressiva perdita di conoscenza del territorio da parte dell’allevatore che vi opera, con delle ovvie conseguenze nega- tive in termini di custodia del territorio.
Un affievolimento della funzione di presidio territoriale da parte dell’agri- coltore discende anche dalla progressiva riduzione del numero di aziende con il contestuale aumento delle dimensioni medie delle stesse, una tendenza questa che ha dei risvolti diretti sulla gestione delle superfici adibite a pascolo e/o alla produzione di fieno. I dati sull’utilizzo delle superfici agricole, per effetto di tale compensazione, non rilevano per il momento importanti flessioni; d’altra parte, essi non riescono a mettere in luce la diversa pressione esercitata sul territorio.
Il rischio è quello della sottoutilizzazione delle superfici più disagevoli con tutte le ricadute negative già dette [variazione della composizione floristica e tendenza all’abbandono). A differenza di quanto avveniva in passato quando c’erano molte più aziende, anche più piccole, ma omogeneamente distribuite su tutto il territorio, oggi che ci sono solo più poche grandi aziende con i capi concentrati in piccole zone, la pressione sul territorio non è più la stessa. Questo vale anche per le zone di alpeggio (Intervista n. 37).
Tanto nelle aziende di fondovalle che in alpeggio si determina un diverso utilizzo delle superfici a seconda della loro accessibilità, della pendenza e della conseguente possibilità di meccanizzazione del lavoro. Con particolare riferimen- to ai pascoli d’alpe, la costruzione d’impianti di fertirrigazione in prossimità dei fabbricati determina uno sfruttamento più intensivo nelle zone adiacenti alle stal- le; a fondovalle, nelle superfici riservate alla produzione di foraggio per l’inverno, irrigazione, concimazione e sfalci sono concentrati maggiormente negli appezza-
menti più facilmente “lavorabili”, per accesso, pendenza, dimensioni. Le diverse scelte nella gestione di prati e pascoli comportano delle ricadute su composizione floristica e biodiversità.
Infatti i prati più estensivi tendono ad avere un numero di specie maggiore, però dal punto di vista degli indici di biodiversità e dal punto di vista della sostenibilità del sistema, tendono ad essere superfici che vanno verso l’abbandono perché magari più difficili da irrigare o più lontane dalla sede aziendale. Si tende, in definitiva, ad abbandonare queste aree e a determinate quote l’abbandono comporta nel giro di poco tempo la trasformazione in arbusteto con relativa perdita in interesse floristico a favore di specie arbustive (Intervista n. 37).
La presenza in un dato territorio di un numero inferiore di aziende che assi- curano lo sfalcio e il pascolamento comporta, anche a parità di superficie utilizza- ta, una perdita nella qualità del lavoro svolto. Si consideri infatti che, in un contesto montano, l’eccessiva frammentazione dei fondi, unita alle caratteristiche morfolo- giche del territorio (forte pendenza, difficoltà d’accesso), rende particolarmente disagevole la meccanizzazione del lavoro. La produzione del foraggio necessita quindi, ancora oggi, di un forte ricorso alla manodopera. Rispetto al passato, la manodopera disponibile è fortemente diminuita: in un contesto di aziende a con- duzione familiare che raramente ricorrono − almeno per la parte di fondovalle − all’assunzione di personale, il lavoro è svolto da poche persone che si concentrano prevalentemente sugli appezzamenti nei quali è possibile la meccanizzazione.
Trovo che costi troppo caro fare i fieni qui rispetto al valore che poi ha il prodotto, l’anno scorso ho fatto 350 rotoballe e ho speso circa 3.000 euro tra gasolio e il resto, in più lavorando un mese e mezzo per avere alla fine ben poco in mano (Intervista n. 36).
Parallelamente, la diminuzione della manodopera impiegata sul territorio rende più difficoltosa anche l’organizzazione dei lavori d’interesse comune, quali ripristino di muretti a secco, manutenzione di sentieri di accesso ai fondi, pulitura dei rus (il tradizionale sistema di canalizzazione delle acque per l’irrigazione agri- cola), un tempo supportati dalle periodiche corvée.