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Fonte: Legambiente

GOVERNANCE TERRITORIALE Aspetti negativi e minacce

5.3 I risultati dell’accordo

La produzione di beni pubblici è una caratteristica intrinseca dell’attività agricola che, nel suo processo produttivo, “utilizza” tra gli input anche quelli am- bientali, realizzando sia prodotti scambiabili sul mercato, che non (paesaggio, sta- bilità climatica, etc.). È evidente quindi che, a seconda dell’intensità o meno delle pratiche agricole utilizzate, si possono generare esternalità molto diverse sui beni pubblici ambientali coinvolti, sia positive che negative. Il caso dell’AAV è un chiaro esempio di come l’adozione di alcune pratiche a minore impatto ambientale possa garantire una riduzione delle esternalità negative generate da un’attività agricola intensiva. Inoltre, il caso descritto dimostra anche come, attraverso un approc- cio territoriale per la diminuzione delle esternalità negative dell’agricoltura, sia possibile fornire non solo i beni ambientali, ma anche una combinazione di effetti economici e sociali, che sarebbe difficile ottenere con un approccio più tradizionale incentrato sulle pratiche di gestione del territorio adottate da una singola azienda agricola (Mantino, 2011).

Per quanto riguarda i beni pubblici ambientali, purtroppo non ci sono dati quantitativi che chiariscano il contesto di partenza del territorio, ma, soprattutto sull’aspetto riguardante l’utilizzo di principi attivi a tossicità acuta, dalle interviste

è emerso chiaramente come, in passato, ci sia stato un ampio ricorso a questi prodotti, tale da minare la salute degli operatori e la salubrità della vallata9. In relazione alla situazione nitrati, nel progetto esecutivo vengono riportati i risultati relativi al fiume Aso rilevati nelle stazioni di monitoraggio dei fiumi della Regione Marche ai sensi del decreto legislativo n. 152/1999. Dai dati disponibili, in verità molto pochi e non aggiornati (riferiti al periodo 1999-2002), il contenuto dei nitra- ti non appare particolarmente pericoloso, considerando che circa l’87% dei pozzi analizzati nel bacino idrografico del fiume Aso mostra una concentrazione di nitra- ti compresa tra 0 e 40 mg/l. Questo dato appare ancora più importante se letto nel contesto marchigiano dove spiccano bacini idrografici con percentuali ben più alte di pozzi in classe vulnerata (>50 mg/l) (Provincia di Ascoli Piceno, 2009).

Con il tempo, azioni frutto di singole scelte aziendali hanno contribuito a raggiungere benefici ambientali multipli, e alla nascita, o alla valorizzazione, di al- cuni benefici di tipo sociale. Le pratiche agricole diffuse attraverso l’accordo hanno avuto un impatto positivo anche su altri beni pubblici ambientali come la biodi- versità, la resilienza degli ecosistemi e la qualità dell’aria; hanno, inoltre, portato al miglioramento della salute degli operatori e della sicurezza alimentare (inte- sa come salubrità degli alimenti) e permesso la formazione di capitale sociale e istituzionale, attraverso la possibilità del coinvolgimento in una rete di agricoltori locali, con il conseguente aumento delle opportunità di apprendimento, di potere contrattuale e di visibilità.

La nascita di questi benefici è dovuta soprattutto alla particolarità della tec- nica utilizzata, che ha fatto sì che si creasse una sorta di “circolo virtuoso” tra la DIA e l’azione collettiva. Da un lato, infatti, l’adozione di tecniche di difesa avanza- ta ha incoraggiato gli agricoltori ad aggregarsi per ottenere risultati più efficaci; dall’altro, l’efficacia delle tecniche ha valorizzato l’azione collettiva facendo na- scere e rafforzando il clima di reciprocità e fiducia tra gli operatori (ed aiutando a limitare fenomeni di free riding. Cfr. più avanti). Da questo “circolo virtuoso” sono scaturiti i benefici ambientali e socio-economici collegati, in modo “diretto” e “in- diretto”, all’accordo (figura 5.3).

9 Per quanto riguarda la situazione dei principi attivi a tossicità acuta, non esistono dati recenti. I dati reperiti per il progetto esecutivo fanno riferimento all’anno 1999 e sono dati regionali estratti da tabelle ISTAT e MIPAAF (Provincia di Ascoli Piceno, 2009), sono pertanto poco significativi per inqua- drare il fenomeno localmente.

Figura 5.3 - Benefici ambientali ed economici portati dall’AAV come risultato dell’azione collettiva e delle tecniche adottate

 

La massa critica per applicare la tecnica e attivare l’accordo si è raggiunta col passaparola e con le riunioni con gli agricoltori, per merito dell’elevato capitale sociale e relazionale esistente sul territorio, ulteriormente rafforzato dall’accordo, che ha facilitato la diffusione della tecnica grazie alle relazioni di reciprocità e fi- ducia tra i soggetti, come confermato sia dagli agricoltori:

Tra vicini ci confrontiamo (…) Non c’è bisogno di fare una riunione, la sera ci si vede al bar (…) (Intervista n. 53)

sia dai facilitatori dell’accordo:

[…] anche nella vita quotidiana sono vicini, si parlano, si incontrano, si raccontano le esperienze. (intervista n. 43).

In sintesi, l’elevato capitale sociale e relazionale preesistente all’accordo ha aiutato la nascita dell’azione collettiva e la diffusione delle tecniche e si è raffor- zato con essa.

Inoltre, in alcuni casi, grazie all’operato degli agricoltori che hanno speri- mentato la tecnica con successo, la tecnica si sta diffondendo anche tra gli agricol- tori che non aderiscono all’accordo:

Il mio confinante usufruisce un po’ della mia lotta perché metto anche sul suo ter- reno qualche mio diffusore per evitare problemi sul mio terreno e lui è d’accordo (Intervista n. 55).

Io ho iniziato due anni fa, il primo anno è andata così così, l’anno scorso è andata benissimo però il problema è quello delle noci del mio vicino e l’anno scorso ho comprato i dispenser per la diffusione anche per le piante di noci che non erano mie. I proprietari mi hanno detto grazie in qualche caso, in altri si sono arrabbiati perché li hanno dovuti mettere. Però è andata bene (Intervista n. 56).

L’esistenza di questo circolo virtuoso tra la tecnica utilizzata e l’approccio territoriale è confermata anche da alcuni studi (OECD, 1998) sulla relazione tra scala di azione e tipologia di esternalità generata, secondo cui l’azione collettiva avrebbe maggiore possibilità di successo se applicata per ridurre alcune tipologie di esternalità negative, mentre minore possibilità di successo per altre. In partico- lare, se il bene da tutelare è un bene pubblico puro (come la stabilità climatica), oc- corrono incentivi all’azione collettiva, che altrimenti, di per sé, non sarebbe attuata spontaneamente dagli agricoltori, non percependone un vantaggio immediato.

Se invece si tratta di un’azione per la riduzione di un’esternalità negativa, con effetti sulla comunità locale, allora la nascita di un’azione collettiva può avve- nire più spontaneamente. È questo il caso del fabbisogno di agrofarmaci, che può essere influenzato anche dalle pratiche utilizzate dagli agricoltori vicini (in quanto la resistenza dei parassiti aumenta anche per l’uso eccessivo di agrofarmaci sul territorio circonstante). In un contesto simile, come accade nella Valdaso, gli agri- coltori possono avere un incentivo a lavorare insieme per utilizzare agrofarmaci in modo appropriato.

Grazie a questo “circolo virtuoso”, le aziende coinvolte oggi sono quasi 100 (82 nel primo bando, a cui se ne sono aggiunte 14 nell’ultimo anno)10, corrispon- denti ad un totale di 560 ha su cui viene utilizzata la lotta integrata avanzata e a circa 270 ha di frutteto in cui viene praticata la copertura vegetale.

Gli agricoltori intervistati si sono dichiarati tutti molto soddisfatti delle tec- niche apprese e hanno affermato di voler proseguire con la DIA anche quando non ci sarà più il contributo PSR. L’adozione della DIA in Valdaso ha permesso di dimi- nuire gli impatti ambientali collegati all’attività agricola e aumentare la resilienza degli ecosistemi creando un sistema che si è autoalimentato, man mano che si

10 Negli anni successivi si sono unite molte meno aziende, soprattutto perché una condizione per l’ac- cesso all’accordo era che le superfici oggetto dell’aiuto ricadessero nell’area delimitata in origine (ZVN).

riscontravano i risultati positivi. Come rilevato anche dalle interviste, all’inizio gli agricoltori davvero motivati erano pochi, poi, visti i risultati, l’azione collettiva si è ampliata insieme ai risultati sia per la sicurezza alimentare, che per la salute degli operatori:

Le aziende erano un po’ titubanti perché non sapevano la reale efficacia, per cui qualche trattamento l’hanno fatto lo stesso, però siamo passati da 7-8 trattamenti del primo anno a quest’anno che hanno fatto 1 trattamento (Intervista n. 49). I vantaggi sono di stare in mezzo al verde, per la salute c’è un vantaggio e siamo noi i primi ad avvantaggiarcene perché dobbiamo tornare nei frutteti dopo i trattamenti (Intervista n. 54).

I vantaggi sono legati ai trattamenti, ma anche alle lavorazioni, io lavorando il vigneto solo lungo la fila ho visto che l’erosione si è notevolmente ridotta, i primi anni come passava l’acqua faceva fossi (Intervista n. 56).

Inoltre, i risultati hanno anche convinto molti agricoltori che non ricadono nell’area dell’accordo a utilizzare i metodi di difesa avanzata sulle loro proprietà.

I risultati ottimali su alcune produzioni hanno addirittura convinto molti produttori che non ricadono nell’area dell’accordo a fare confusione sessuale. E poi il risultato principale, di là dalla produzione, è la riduzione dei trattamenti. Perché anche chi tratta, alla fine, ottiene un prodotto sano, però quello che tratta normalmente deve fare un trattamento ogni 20 giorni rispetto a chi invece non tratta proprio (…) la dif- ferenza è enorme (Intervista n. 49).

Purtroppo l’attività di monitoraggio, a causa dell’assenza di fondi specifici, a oggi può offrire solo i risultati dei residui sulla frutta. Il Centro agrochimico di Jesi ha analizzato i campioni di 37 aziende, di cui 24 “in confusione” e 13 “fuori confusione”, evidenziando che in entrambi i casi i residui trovati nei campioni sono al di sotto del limite massimo consentito dalla legge, ma che le aziende “fuori con- fusione” presentano una percentuale maggiore di campioni con tracce di residui (78%) rispetto ai campioni prelevati nelle aziende “in confusione” (57%). Inoltre, le aziende “fuori confusione” hanno una percentuale maggiore di campioni che presentano più residui contemporaneamente (21% rispetto al 7% delle aziende “in confusione”).