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Fonte: Legambiente

4.4 Le relazioni tra gli operator

Già è stato notato come alla base dello sfruttamento delle superfici foragge- re – in alta Val d’Ayas così come in tutta la Valle d’Aosta – sia l’esistenza di una fitta rete di relazioni che coinvolge una moltitudine di attori: agricoltori, proprietari dei fondi, proprietari (privati ed enti pubblici) degli alpeggi, conduttori delle malghe (figura 4.2). Inoltre, con riferimento alla pratica della fida del bestiame tra le diver- se tipologie di aziende zootecniche, si evidenzia una grande varietà e complessità delle singole fattispecie.

Figura 4.2 - Le relazioni tra gli operatori

 

L’ampiezza e la varietà della casistica sono il risultato della combinazione delle diverse esigenze di allevamento con le risorse territoriali a disposizione. L’al- titudine, l’accessibilità dei fondi, l’estensione delle proprietà determinano l’orga- nizzazione dell’allevamento del bestiame nei mesi estivi: a seconda della quantità e delle caratteristiche degli appezzamenti a disposizione, i singoli allevatori danno e/o prendono in fida i capi determinando diverse configurazioni organizzative14.

14 Dalle interviste emerge, per esempio, il caso di due allevatori che prendono in fida animali impro- duttivi per lo sfruttamento di un alpeggio di loro proprietà e, contemporaneamente, conferiscono in fida ad altro conduttore i propri animali produttivi; oppure, il caso di un allevatore che conduce un alpeggio di sua proprietà con animali anch’essi di proprietà e prende in fida animali improduttivi per il periodo estivo, in fondovalle, per sfruttare gli appezzamenti più disagevoli per la produzione di foraggio invernale.

Mi occupo di circa 200 capi da monticazione gestiti in tre alpeggi disposti a quote crescenti, a cui se ne aggiunge un quarto distaccato destinato alle bovine improdut- tive (10-15 capi) e al bestiame giovane da rimonta (100-105 capi). Negli altri alpeggi, invece, ci sono esclusivamente vacche da latte (circa un centinaio di capi). Oltre a questi alpeggi abbiamo un piccolo mayen a Challand dove gestiamo 20-25 vitelli per la riproduzione interna. L’azienda di proprietà di fondovalle è costituita da 40-45 capi di cui 30 di vacche da latte e il resto tra vitelle e manze. I capi in fida vengono presi da una decina di proprietari diversi. […] Le superfici di alpeggio sono tutte affittate da una moltitudine di proprietari: 30-40 (Intervista n. 35).

L’estrema complessità del quadro di relazioni alla base dello sfruttamento dei pascoli rende difficoltosa l’individuazione di categorie esaustive: un allevatore può, contemporaneamente, dare e prendere capi in fida a seconda che si tratti di animali produttivi o improduttivi; le mandrie di fondovalle sono spesso divise, per procedere con la monticazione di alcuni capi soltanto.

La mia azienda consta di 45 capi da latte, una trentina di manzi e 10 vitelli; 20 ettari tra prati da sfalcio (2 sfalci su una parte degli appezzamenti) e pascolo in fondoval- le e 25 ettari di pascolo al mayen ai quali si aggiungono 3 ettari di prato da sfalcio (non abbiamo l’alpeggio di alta montagna). Molti agricoltori qui in zona hanno solo il mayen e non la superficie d’alpeggio perché siamo già molto in alto persino per l’azienda di fondovalle (1.700/1.800 metri). Le vacche da latte sono di proprietà; sono portate su ad agosto e si riscende a metà settembre. In fondovalle, invece, da giugno a settembre prendo in fida altre 8 vacche da altri allevatori (Intervista n. 38)

L’azienda consta di 16 capi in totale; l’azienda di fondovalle è a Brusson e poi abbia- mo i mayen dove saliamo d’estate. Le superfici vengono lavorate tutte insieme anche se le aziende ufficiali sono due: una mia e una di mio fratello. Abbiamo quindi 7-8 ettari a testa comprensivi di fondovalle e mayen (queste sono le superfici dichiarate, alle quali se ne aggiungono molte altre non ufficiali). Più precisamente 10 ettari di fondovalle e 6 di mayen. Il mayen è a 1.500 metri e come molti altri qui nella zona non abbiamo l’alpeggio. […] Siamo saliti il 23 maggio con i nostri manzi e quelli che abbiamo preso in fida da altre due aziende per un totale di 30-35 capi, mentre le nostre vacche da latte (adesso solo più 4) le diamo noi in fida ad altri allevatori (In- tervista n. 34).

È importante sottolineare come, rispetto al passato, si sia progressivamente persa la dimensione territoriale nella costruzione delle relazioni. La diffusione su ampia scala dell’uso dei camion per il trasporto del bestiame ha di fatto abbattuto molte delle barriere geografiche che un tempo condizionavano fortemente i mec- canismi della fida, poiché la monticazione poteva avvenire unicamente nell’ambito di una stessa vallata − dal fondovalle alla testata di valle − o al massimo nelle val- late immediatamente adiacenti.

Oggi le dinamiche della fida interessano praticamente l’intero territorio re- gionale e non è affatto raro che, in uno stesso alpeggio, si riuniscano mandrie provenienti da allevamenti molto distanti tra loro. Questa mobilità è ancora più evidente in vallate dove, a differenza dell’alta Val d’Ayas, molti alpeggi sono di pro- prietà pubblica e la concessione viene rilasciata ai migliori offerenti sulla base di aste pubbliche.

A fronte di un considerevole aumento della mobilità, le interviste condotte fanno emergere come, per la costituzione della rete, siano ancora spesso deter- minanti i rapporti di parentela.

[…] l’azienda ha 13 ettari di foraggio in fondovalle tutti destinati alla produzione di fieno per l’inverno a cui si aggiungono i pascoli di alta montagna con due tramuti di alpeggio: il primo a 1.800 metri da inizio giugno a fine luglio, l’altro a 2100 metri da inizio agosto alla fine del mese, il primo in affitto da uno zio, mentre il secondo di proprietà della sorella di mia moglie alla quale affidiamo le bestie (Intervista n. 28).

Rispetto alle generazioni precedenti, all’interno delle singole famiglie si ri- duce il numero di persone dedite all’agricoltura; pertanto, coloro che continua- no l’attività agricola lavorano su appezzamenti di proprietà di familiari occupati in altri settori. Questa identica dinamica si rileva anche a livello più ampio: come evidenziato dalle periodiche rilevazioni effettuate a fini statistici o amministrativi, rispetto al passato, si assiste ad una costante contrazione del numero di aziende agricole, con un conseguente aumento delle dimensioni medie delle stesse e del numero dei capi.

Tale concentrazione non è, tuttavia, accompagnata da una speculare con- centrazione della proprietà terriera: come evidenziato in precedenza (tabella 4.2), le superfici a disposizione delle aziende derivano, in maniera sempre più impor- tante, da contratti d’affitto e non da titoli di proprietà. Come sarà illustrato nel paragrafo successivo, le principali criticità rilevate dagli intervistati nella gestione delle superfici foraggere discendono proprio dalla grande frammentazione della proprietà, che impone agli agricoltori la stipula di molti contratti d’affitto, con un gravoso carico burocratico15.

15 I proprietari cedenti, che sono qualche decina per le aziende di piccole dimensioni, possono arriva- re fino alle soglie di un centinaio per le aziende di fondovalle di dimensioni medio-grandi (oltre 20 ettari). La frammentazione riguarda in particolar modo le superfici di fondovalle più direttamente interessate da parcellizzazioni e divisioni nel quadro di rapporti di successione.

L’altra grossa criticità è legata al numero di contratti d’affitto che devo stipulare: anche più di 30 contratti effettivi, cui se ne aggiungono altrettanti non stipulati uf- ficialmente; oltretutto tanta gente non vuole fare il contratto perché non sono ben informati (Intervista n. 38).

La superficie del primo alpeggio è di 60 ettari, il secondo di un centinaio, dal mo- mento che i pascoli del primo alpeggio sono suddivisi tra molti (40-50) proprietari viene pagato l’affitto a ciascuno per la quota di pascolo che gli appartiene, il che comporta un carico di lavoro e di burocrazia non indifferente […] La superficie di fon- dovalle è anch’essa quasi tutta in affitto (30 proprietari); molto utilizzata è la pratica degli scambi di appezzamenti con agricoltori confinanti; uno dei problemi più grossi è legato alla polverizzazione dei terreni e alla difficoltà di effettuare un razionale riordino fondiario (Intervista n. 28).

Gli agricoltori denunciano il difficile accesso alla proprietà dettato dall’alto valore dei terreni agricoli e dalla contestuale carenza dell’offerta, conseguenza quest’ultima del permanere di un forte legame alla terra anche da parte di chi non la lavora; legame che non si limita al valore dell’investimento, ma assume una connotazione identitaria essendo spesso il terreno un lascito della famiglia d’origine. Se da un lato questo forte attaccamento si traduce in una particolare attenzione, al momento della concessione a terzi, alla corretta gestione delle su- perfici, dall’altro questo legame ostacola, a detta degli intervistati, le operazioni di riordino16, facendo perdurare la frammentazione fondiaria.

In un contesto caratterizzato dalla polverizzazione della proprietà e dalla moltiplicazione dei contratti di affitto la razionalizzazione del lavoro, con la con- seguente possibilità di meccanizzazione, dipende in buona parte dalle relazioni intercorrenti tra agricoltori. Le interviste effettuate evidenziano una proficua col- laborazione tra allevatori, che si accordano per effettuare scambi di appezzamenti in modo da poter lavorare su terreni più estesi.

Negli ultimi anni si assiste a una progressiva evoluzione di tali collabora- zioni che sfociano, in alcuni casi, nella formalizzazione di veri e propri accordi sti- pulati tra gli agricoltori per la gestione congiunta delle superfici foraggere di fon-

16 La ricomposizione è da tempo indicata dall’amministrazione regionale quale strumento principe per porre rimedio alla frammentazione fondiaria, che contribuisce a rendere più costoso l’eser- cizio dell’attività agro-zootecnica nella regione alpina. Oltre a consentire un impiego più razionale delle superfici agricole, i piani di riordino fondiario modificano profondamente, migliorandolo, il paesaggio rurale. Attualmente risultano attivi in Valle d’Aosta 51 piani di riordino fondiario, per una superficie complessiva pari a poco meno di 2.060 ettari − anche se si tratta perlopiù di piani avviati da tempo (fin dal 1989) e non ancora effettivamente conclusi con l’assegnazione di tutte le particelle post riordino ai proprietari e con la trascrizione dei trasferimenti di proprietà − e la maggior parte delle superfici interessate dai piani di riordino riguarda il prato permanente.

dovalle. Questi accordi, che possono interessare solo allevatori o includere anche piccole aziende di produzione di foraggio, sono funzionali al miglioramento dello sfruttamento delle superfici foraggere, prioritariamente di fondovalle, essendo di- retti principalmente alla riduzione del carico animale aziendale verso un carico agro-ambientale corretto, sulla base dei rapporti UBA/ettari indicati nel Program- ma di sviluppo rurale. Questo particolare tipo di approccio presenta delle ricadute ambientali assai interessanti, permettendo, di fatto, di passare da un’applicazione aziendale puntuale delle misure agro-ambientali a una applicazione collettiva più sistemica.

Al di fuori dell’ambito strettamente agricolo, altri attori assumono un ruolo sempre più rilevante in termini di ricadute nelle scelte di gestione delle superfici foraggere. Come illustrato in precedenza, un’importante funzione d’impulso e in- novazione è stata svolta sul territorio dalla Fromagerie Haut Val d’Ayas. Tale casei- ficio ha avuto un impatto determinante nella scelta della conversione al biologico della maggior parte delle aziende del territorio, scelta strategica che, nella valu- tazione degli intervistati, è stata premiante sul lungo periodo per il mantenimento della stabilità nei prezzi dei prodotti e per l’accrescimento della visibilità di questi ultimi. La Fromagerie è stata un elemento federatore che ha favorito dinamiche di sistema che danno risultati nel mantenimento sul territorio dell’imprenditorialità agricola, anche oltre l’ambito zootecnico, con la creazione di nuove aziende biolo- giche orticole, di produzione di piccoli frutti e erbe officinali.

A corollario del nucleo principale della rete, costituito dagli imprenditori agricoli, assumono una crescente importanza altre figure che, anche se indiret- tamente, contribuiscono in maniera rilevante alla corretta gestione delle superfici foraggere. Emblematica in tal senso è l’iniziativa Ayas a km 0: un progetto pro- mosso dal Comune di Ayas in risposta all’esigenza di arginare la fascia di terreni incolti in una zona di particolare interesse paesaggistico. L’intervento ha previsto l’approvazione di un piano di lungo periodo per lo sviluppo turistico del territorio, che ha posto in stretta collaborazione operatori turistici e agricoltori.

Il progetto, avviato con una collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Uni- versità di Torino per lo studio della composizione floristico-vegetazionale di tutti i prati e pascoli del Comune, ha permesso di creare una sinergia tra il settore agri- colo e quello turistico mediante la promozione e valorizzazione delle filiere corte.

Oggi l’iniziativa è sfociata nella costituzione di un’associazione, che com- prende 13 aziende agricole, il caseificio e una quindicina di operatori turistici. Essa opera in un’ottica di promozione turistica del territorio veicolata non solo attra- verso i prodotti locali ma soprattutto tramite la comunicazione e la valorizzazione

del lavoro agricolo alla base del prodotto. L’iniziativa ha permesso di sensibilizzare tanto il pubblico turistico che gli operatori locali sul ruolo svolto dall’agricoltu- ra nella produzione dei beni pubblici ambientali e paesaggistici, particolarmente importanti in realtà a forte vocazione turistica come quella dei comuni oggetto dell’indagine.

Nell’opinione di alcuni intervistati, anche per effetto di simili iniziative, sta crescendo il riconoscimento delle esternalità positive dell’attività agricola. Tutta- via, a detta della maggior parte degli allevatori, molto rimane da fare, in termini di comunicazione, non solo per la promozione della filiera corta ma soprattutto per veicolare le informazioni sulle modalità di lavoro che caratterizzano l’agricoltura di montagna.