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Fonte: foto di Antonio Massa

3.2 Legislazione e politiche

Il rapporto tra la legislazione e le dinamiche dell’agricoltura urbana

L’agricoltura urbana e periurbana è un tema di forte e recente attenzione che tuttavia, a livello nazionale, non è stato ancora disciplinato in un apparato legislativo-normativo organico. La materia è sottoposta a regolamenti comunali,

la regolamentazione e la pianificazione degli spazi verdi spetta, infatti, ai Comuni (anche se si tratta di aree di proprietà privata).

La maggior parte degli strumenti utilizzati a livello locale per la gestione degli spazi verdi (Regolamento del verde urbano, Piano del verde urbano, etc.) ha, tuttavia, una natura essenzialmente prescrittiva e, spesso, questi strumenti rego- latori si basano su parametri mutuati da una legislazione urbanistica vecchia di quasi quarant’anni. A riprova della mancanza di un’adeguata normativa in grado di assicurare una trattazione organica e coerente, a livello nazionale il tema degli orti urbani viene recentemente affrontato, con un ruolo marginale, in alcuni paragrafi di una legge “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” (legge n. 10 del 14 gennaio 2013, pubblicata sulla GU n. 27 del primo febbraio 2013, in vigore dal 16 febbraio 2013) centrata sull’obbligo per il comune di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato, che peraltro ripropone una legge di circa 20 anni fa (la legge n. 113 del 29 gennaio 1992).

Le istituzioni faticano a riconoscere e, soprattutto, a valorizzare adeguata- mente il ruolo strategico che l’agricoltura urbana e periurbana gioca per la qualità della vita e la capacità di resilienza delle città, per cui si stenta a elaborare una disciplina giuridica e delle strategie di policy capaci di cogliere e soddisfare l’ar- ticolato ventaglio di interessi e opportunità alla base della crescente domanda di orti urbani.

Un fenomeno, quest’ultimo, tutt’altro che recente, ma che negli ultimi anni ha acquisito delle peculiarità molto più articolate rispetto al passato.

In Italia, come nel resto d’Europa, gli orti urbani hanno fatto parte integrante della cultura architettonica delle cosiddette città giardino sin dal Medioevo. Più di recente, la loro presenza si registra nella prima metà del XIX secolo e segue una dinamica che si sviluppa parallelamente ai processi d’industrializzazione e alla conseguente crescita delle città, soprattutto al Centro e al Nord del Belpaese.

I processi di urbanizzazione sono, infatti, alimentati da una manodopera di origine rurale che “naturalmente” mette a coltura gli appezzamenti risparmiati dalla cementificazione, non solo per rinsaldare un legame affettivo e culturale con le proprie origini, ma anche per far fronte a delle situazioni condizioni economiche precarie, di emarginazione sociale e di malnutrizione. I moderni orti urbani nasco- no quindi come “orti dei poveri” (come si deduce già dai nomi degli anglosassoni migrant gardens o dei jardins ouvriers francesi), sono coltivati in modo spontaneo e abusivo in aree marginali o attraverso delle prime forme di gestione regolamen- tata nelle comunità religiose o ancora nei cosiddetti “villaggi operai” creati diret- tamente da imprenditori industriali. Tra le due guerre, gli orti diventano un campo

di applicazione della retorica fascista dell’autarchia, e durante il secondo conflitto mondiale proliferano come orti di guerra, con la messa a coltura di ogni angolo libero delle città: parchi, piazze, viali, oltre alle aree distrutte dai bombardamenti.

Nel dopoguerra, in corrispondenza del boom economico, l’orto in città perse progressivamente d’importanza e divenne un elemento di degrado non solo pae- saggistico, soprattutto per l’uso antiestetico del materiale di recupero, ma anche sociale, simbolo di una condizione di miseria e di arretrata resistenza socio-cultu- rale al processo di modernizzazione. Questo stigma ha accompagnato a lungo lo sviluppo degli orti urbani, avvalorato dalle stesse istituzioni: nel comune di Torino, ad esempio, anche successivamente gli orti sono stati a lungo assegnati a chi ver- sava in condizioni economiche disagiate.

A partire dagli anni ’80, l’agricoltura in città comincia rifiorire, i primi rico- noscimenti da parte delle istituzioni e l’esigenza di contenerne gli aspetti legati all’abusivismo hanno determinato la nascita dei primi regolamenti comunali per l’assegnazione degli appezzamenti. Nel 1980, a Modena viene emanato il primo re- golamento italiano di orti comunali destinati ad anziani. Da allora, diverse ammini- strazioni comunali, soprattutto nell’Italia settentrionale, hanno assegnato ai cittadi- ni delle parcelle di terreno, in affitto o comodato d’uso, destinate all’autoconsumo. I lotti, generalmente attribuiti attraverso un bando pubblico, possono essere affidati anche a delle associazioni, che ne curano l’attribuzione e la gestione.

Gli orti urbani, alla loro origine, hanno ricevuto spesso un’accezione di orti sociali, assumendo in maniera esplicita una funzione prevalente d’inclusione so- ciale, che comunemente si riconosce quando i destinatari dei bandi sono le cosid- dette fasce deboli della popolazione o a rischio di esclusione (anziani, disoccupati, cittadini stranieri e via dicendo).

Negli ultimi anni, la domanda di terreno da coltivare nelle città è letteral- mente esplosa, coinvolgendo tutte le fasce di età e ogni ceto sociale. Nel 2011, un italiano su quattro si è dedicato all’orto (LPR Marketing, 2013). Parallelamente, le diverse forme del coltivare hanno dilatato i propri confini, per cui dal più classico orto sul terrazzo si è passati all’orto sul tetto4, all’orto verticale, all’orto portatile, all’orto riciclabile e via dicendo. Questa domanda è sostenuta da un ventaglio di motivazioni progressivamente più differenziato e articolato che assume, in modo peculiare a seconda della diversità dei contesti, dei connotati politici, ambientali, economici, sociali, didattici.

4 Il roof top farming, tra l’altro, è in grado di incidere sull’efficienza energetica e sull’isolamento acu- stico degli edifici.

Accanto agli appezzamenti di terra individuali, stanno inoltre acquistando progressivamente terreno gli orti e giardini condivisi, intesi come «azione colletti- va di appropriazione dello spazio pubblico urbano per lo sviluppo di pratiche am- bientali, economiche e sociali innovative»5.

L’agricoltura urbana da simbolo di arretratezza diventa quindi uno strumento di rivendicazione politica, come nel caso del movimento mondiale della Guerrilla Gardening, che reclama una maggiore disponibilità di spazi verdi e migliori poli- tiche ambientali, attraverso gli “attacchi verdi”, gesti dimostrativi che consistono nel piantare e curare piante e fiori, nelle aiuole e nelle zone dimesse e/o degradate delle città6.

Dagli orti dei poveri si passa dunque al concetto di agricivismo, neologismo coniato dall’urbanista Richard Ingersoll, attraverso cui si indica «l’utilizzo delle attività agricole in zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale e paesaggistica della città. L’agricivismo prevede il coordinamento di molteplici at- tività agricole in città, un’estesa partecipazione integrata ed una diffusa coscienza ambientalista. Sostenendo, con questo, la funzione sociale dell’agricoltura in città, e mettendo in secondo piano quella estetica e produttiva» (Ingersoll, 2004).

Un indice dell’interesse trasversale rispetto alla tematica è l’attenzione che la Coldiretti ultimamente ha riservato al tema degli orti urbani. L’organizzazione, tra l’altro, ha aderito al progetto “Orti Urbani”, lanciato da Italia Nostra e dall’ANCI, e attraverso la Fondazione Campagna Amica ha lanciato un servizio di assistenza tecnica per gli ortolani.

Nel contesto di questo recente fermento nazionale, il progetto degli orti ur- bani di Pontecagnano, per la sua relativamente lunga storia, rappresenta senza dubbio un precursore e una buona pratica, a maggior ragione perché ubicato nel Sud d’Italia, dove rispetto al Centro-nord le esperienze restano ancora limitate.

Nella maggior parte dei casi, le pratiche che riguardano gli orti urbani si sviluppano in maniera autonoma e autogestita e i regolamenti comunali fanno fa- tica a stare al passo con la domanda e i bisogni, espliciti e impliciti, dei cittadini. La mancanza di un quadro giuridico ben definito ha alimentato, e continua tuttora a favorire, delle pratiche di occupazione abusiva che in alcuni casi si risolvono in una privatizzazione indebita del suolo pubblico. In altri casi, invece, l’assenza di una disciplina favorisce il sorgere di pratiche originali di valorizzazione di terreni abbandonati e/o degradati, con dei benefici che ricadono su tutta la comunità.

5 Cfr. Zappata romana http://www.zappataromana.net/ (sito consultato a gennaio 2013). 6 http://www.guerrillagardening.org/.

Le ricadute collettive degli orti urbani sono promosse e amplificate anche dalla loro integrazione negli strumenti urbanistici vigenti. La possibilità di incor- porare in modo opportuno le aree destinate agli orti nei Piani regolatori generali, ad esempio, facilita l’accessibilità e la fruizione agli utenti, una corretta gestione delle risorse (acqua, terreno, etc.), lo smaltimento opportuno dei reflui e dei resi- dui colturali.

Figura 3.3 - La trasmissione delle competenze negli orti del Parco eco-archeo- logico

 

Fonte: www.mondodigitale.org

In alcuni contesti gli interventi normativi riguardanti gli orti urbani sono assimilati a quelli inerenti all’agricoltura sociale, come nel caso della Campania, intervenuta sull’argomento con la legge regionale n. 5 del 30 marzo 2012 recan- te “Norme in materia di agricoltura sociale e disciplina delle fattorie e degli orti sociali”. La legge regionale definisce gli orti sociali «appezzamenti di terreno di proprietà o di gestione pubblica che sono appositamente destinati all’attività agri- cola» e dichiara che i «soggetti designati alla conduzione degli orti sociali sono persone singole o associate che si impegnano a coltivarli per ottenere prodotti agricoli a scopo benèfico e di autoconsumo». La legge istituisce anche il registro delle fattorie e degli orti sociali «con la funzione di promozione, coordinamento, assistenza, informazione e aggiornamento per favorire la conoscenza dei servizi offerti dalle fattorie e dagli orti sociali nonché le modalità di produzione e di di- stribuzione dei prodotti agricoli» e prevede, inoltre, la creazione di un osservatorio

regionale sull’agricoltura sociale che ha, tra le altre, le funzioni di monitorare gli interventi svolti dalle amministrazioni pubbliche nel campo degli orti sociali e pro- muovere studi e ricerche sull’argomento. Quest’intervento normativo, anche per la sua recente approvazione, al momento non ha tuttavia prodotto nessun risultato tangibile.

Strumenti di policy e modalità di finanziamento del progetto

Il progetto degli orti urbani del Parco eco-archeologico di Pontecagnano nasce in un processo dal basso come espressione di un’idea progettuale forte dell’associazione Legambiente che, nel corso degli anni, è riuscita a mobilitare per la sua messa in opera le risorse necessarie a seconda delle opportunità e delle disponibilità del momento.

Nella percezione dei membri dell’associazione il progetto si è sviluppato con un sostegno pubblico minimo e comunque giudicato come insufficiente (e non solo in termini finanziari), sia rispetto alle singole iniziative, che al disegno com- plessivo:

C’è sempre stata disattenzione rispetto al progetto da parte delle amministrazioni locali. È indicativo il fatto che abbiamo dovuto aspettare la venuta di un commissario prefettizio illuminato per partire (Intervista n. 14).

Chi ci amministra non sa che gli orti urbani sono un tesoro con diverse potenzialità, non solo per la gestione ambientale del territorio, ma anche per le ricadute econo- miche e occupazionali in un territorio che da anni vive una grave crisi economica (Intervista n. 16).

Il Comune non ci aiuta per nulla. Abbiamo fatto una richiesta per una trinciatrice e neppure ci hanno risposto, non vivono il parco e l’esperienza degli orti come un’oc- casione per la città (Intervista n. 18).

Questa percezione, tuttavia, corrisponde solo in parte alla realtà, visto che negli anni il progetto si è avvalso di diverse fonti di finanziamento pubbliche. Nel- la fase di avviamento, nel 2001, ad esempio, gli orti sono nati grazie a un finan- ziamento iniziale di 10 milioni di vecchie lire, deciso dal Comune commissariato, usato per riattivare i vecchi pozzi e acquistare il materiale relativo alla recinzione dei primi 10 appezzamenti. In seguito, nel 2003, c’è stato un altro finanziamento di circa 15.000 euro, usato per realizzare altri 24 orti, proveniente dalla Provincia.

Nella gestione ordinaria il progetto risulta invece praticamente autofinan- ziato, i costi sono coperti grazie a modesti trasferimenti di Legambiente, ai proven- ti delle feste, all’autotassazione, al lavoro volontario:

Siamo parsimoniosi nella gestione del bilancio, l’anno scorso ad esempio abbiamo incassato tra tessere e contributi vari, come quelli per l’uso dei tavoli da pic-nic, circa 10.000 euro e ne son rimasti circa 9.000 (Intervista n. 16).

Vi sono poi delle modeste sponsorizzazioni puntuali legate a singoli eventi, progetti e programmi. La biblioteca all’aperto, ad esempio, è stata realizzata gra- zie ad un finanziamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e della Centrale del latte di Salerno. Un ruolo importante nella gestione, sin dal 1999, hanno svolto prima gli obiettori di coscienza, poi i volontari del servizio civile, un servizio finanziato grazie al Fondo nazionale per il servizio civile, che tuttavia negli ultimi anni è stato progressivamente ridotto. Nel 2011, l’attività di Legambiente nel Parco è stata supportata da 4 giovani volontari, rispetto ai 12 volontari del servizio civile del 2010. Nel 2012, invece, sono stati tagliati tutti i finanziamenti per i vo- lontari presso il Parco eco-archeologico, tanto che la quota della tessera annuale per i soci è stata elevata da 60 a 90 euro per contribuire a finanziare una modesta remunerazione di un giovane che, attualmente, svolge una parte dei servizi prima di competenza dei volontari.

La percezione della mancanza di un sostegno pubblico è dovuta principal- mente all’assenza di un supporto continuo nel tempo e adeguato rispetto alle esi- genze del progetto, nonché alla mancanza di una legittimazione esplicita dell’e- sperienza da parte delle amministrazioni locali. È da evidenziare che l’insufficiente sostegno pubblico ha il risvolto positivo di stimolare la ricerca di soluzioni auto- nome e la creazione di un terreno fertile in cui sperimentare nuove pratiche di gestione collettiva, né pubblica, né privata, in cui gioca un valore aggiunto notevole il volontariato. Un intervento pubblico più consistente sarebbe, tuttavia, opportuno in primo luogo per fronteggiare dei problemi pratici, tra cui due dei punti più critici della gestione degli orti: la scarsità delle risorse idriche e i continui furti.

La scarsità delle risorse idriche impedisce di estendere il numero di orti, nonostante le numerose richieste e la disponibilità di terreno. La mancanza di si- curezza, invece, aggrava i costi di gestione dell’area, in questo caso un adeguato intervento pubblico potrebbe migliorare notevolmente il problema, assicurando ad esempio un sistema di recinzioni e di vigilanza in grado di arginare la presenza ricorrente dei furti:

Una notte si sono rubati tutti gli attrezzi, un danno sui 10.000 euro, una volta si son rubati pure il trattore e le caprette nane che avevamo, un’altra volta tutta l’attrezza- tura del forno (Intervista n. 19).

Più volte il circolo Occhi Verdi di Legambiente ha richiesto all’amministrazione co- munale, non solo in occasione di campi di volontariato estivo o di eventi catalizzatori di pubblico, un aiuto per la sorveglianza diurna e notturna del parco, purtroppo le richieste pressanti dei membri del circolo sono rimaste inevase (Intervista n. 15).

Di fronte alla mancanza di un intervento esterno, gli ortolani si sono auto- organizzati:

Oramai nessuno lascia più gli attrezzi negli orti e anche quelli comunitari vengono custoditi al di fuori, dove è stato possibile trovare una disponibilità in diversi locali privati. Certo continuano a scassinare la porta per entrare nei locali ma non riescono a ricavarne più nulla: non c’è niente da rubare! (Intervista n. 16).

Un opportuno intervento pubblico a favore del progetto sarebbe, tuttavia, ancora più importante per valorizzare il potenziale di quest’esperienza come stru- mento di politica urbana e territoriale.

L’esperienza di Pontecagnano è stata un esempio concreto da cui è partita la campagna Legambiente “1000 orti per la Campania” che, a sua volta, è servita da stimolo a livello regionale per l’emanazione di un bando volto a finanziare la speri- mentazione e la promozione di orti sociali finalizzati all’inclusione sociale di fasce deboli. Alla realizzazione dei progetti sperimentali sono stati destinati 1.800.000 euro a valere sul POR FSE 2007-2013, Asse III. Il bando è stato emanato nel 2009, ad aprile 2011 è stata pubblicata la graduatoria per l’assegnazione dei fondi, ma a dicembre 2011 i finanziamenti erano ancora bloccati e i primi trasferimenti si sono avuti solo alla fine del 2012:

Diverse sono state le ragioni del ritardo, il patto di stabilità, il blocco della spesa, avvicendamenti politici, ritardi nella gestione amministrativa (Intervista n. 24).

Gli orti di Pontecagnano sono inclusi nel primo progetto in graduatoria, che comprende 19 partner ed è stato presentato dal Comune di Baronissi. Il progetto coinvolge 10 lotti distribuiti in 8 comuni, di cui 3 a Pontecagnano, e prevede del- le azioni destinate all’autoconsumo, alla riqualificazione urbana, all’orto-terapia, diverse azioni rivolte ai soggetti svantaggiati per la riabilitazione psicofisica, mo- toria e sociale, oltre alla costituzione di una rete per acquisti solidali. Il Comune di

Pontecagnano, che gestisce il bando, ha affidato la consulenza per la realizzazione degli orti alla Coldiretti, non valorizzando l’esperienza del Parco eco-archeologico già attiva a livello locale. Negli altri comuni assegnatari del bando la sezione locale di Legambiente è invece direttamente coinvolta nei progetti, ciò a riprova del man- cato appoggio delle istituzioni locali all’esperienza:

Negli anni si sono alternate amministrazioni di centro-sinistra e centro-destra, ma il risultato non cambia, non c’è mai stato un buon rapporto, anche perché quando bisognava prendere delle posizioni sulle questioni ambientali, non abbiamo mai fatto sconti a nessuno, per cui siamo stati sempre visti con sospetto (Intervista n. 16).

L’esperienza degli orti urbani di Pontecagnano (così come le altre interes- santi iniziative legate all’agricoltura urbana e periurbana, che concretizzano le po- tenzialità legate alla multifunzionalità dell’agricoltura) non ha invece goduto dei finanziamenti legati allo sviluppo rurale per il periodo di programmazione 2007- 2013, per l’esclusione dei poli urbani dal campo di applicazione dell’Asse III, che comprende quelle misure che riguardano, ad esempio, l’agricoltura sociale. Figura 3.4 - La copertina del dvd “I giorni della merla”