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Il dibattito di politica industriale degli anni ottanta 74

2.2 Il modello americano 64

2.2.3 Il dibattito di politica industriale degli anni ottanta 74

Il dibattito di politica industriale sviluppatosi negli Stati Uniti a metà degli anni ottanta, principalmente si snoda attorno alla dialettica che contrappone stato e mercato come strumenti di guida e di realizzazione del progresso economico per il paese. Secondo l’ideologia di stampo neoliberista, che è stata trattata a lungo nella prima parte del capitolo e che, come si è visto negli ultimi paragrafi, ha influenzato gran parte delle scelte di politica economica fatte dagli Stati Uniti, il mercato è il luogo che assicura l’allocazione efficiente delle risorse e che quindi

promuove prosperità economica, la crescita e il benessere. Le allocazioni guidate dallo stato d’altro canto sono impossibilitate nello scopo di creare efficienza e progresso, in quanto secondo alcuni autori esistono dei limiti alla capacità organizzativa dello stato, soprattutto nel momento in cui questo allarga i propri confini e ambiti di azione.

Oltre ad un problema di organizzazione e di controllo (dovuto al fatto che non si devono creare dei vincoli di rendita o la protezione di interessi privati), lo stato sarebbe anche incapace di trovare le soluzioni migliori per lo sviluppo industriale a causa della sua limitata capacità di raccogliere informazioni e di trovare le soluzioni più efficienti ai problemi di allocazione (Di Tommaso 2006, pp.29- 30)28.

Anne Krueger (1990) afferma che i fallimenti di governo si verificano ogni qualvolta esiste un fallimento di mercato che non viene risolto e ogni volta che, pur applicando un intervento, il governo fa sì che si raggiunga un’allocazione delle risorse ancora più inefficiente di quella prodotta naturalmente dal mercato (p.11). L’autrice continua, riferendosi nello specifico agli interventi a favore dei paesi in via di sviluppo, e dice che ogni intervento dello stato sarà tendenzialmente costoso e che la capacità organizzativa dello stato per intraprendere delle azioni di carattere economico è estremamente complessa poiché richiede un capitale umano altamente addestrato che spesso è carente nelle economie sottosviluppate (p.15). Inoltre il finanziamento di infrastrutture, che sarebbe l’ambito ideale in cui il governo esercita un vantaggio competitivo per l’ampiezza e complessità dei progetti, è spesso sotto-dimensionato.

Il dibattito sorto negli Stati Uniti ha integrato numerose di queste argomentazioni in sfavore dell’intervento statale nell’economia, ma allo stesso tempo ha acceso alcune luci che hanno evidenziato l’effettivo impegno del governo americano nelle dinamiche di sviluppo.

Ketels (2007), che scrive successivamente al periodo più acceso del dibattito, ad esempio afferma che mentre gli Stati Uniti hanno a lungo affermato di non avere                                                                                                                

28  Sul ruolo dei fallimenti di governo si veda anche: Di Tommaso, Rubini, Barbieri (2013) & Di

una vera e propria politica industriale, essi hanno applicato delle policy che spesso hanno avuto un impatto industry-specific; queste policy di carattere industriale si sono perse in un insieme di piani non coordinati tra di loro che hanno contribuito a costruire un’immagine sbiadita del piano di sviluppo applicato dal governo nazionale. Tuttavia, nonostante l’inconsistenza di una strategia complessiva, gli Stati Uniti hanno costruito durante gli ultimi anni del ventesimo secolo delle solide basi che hanno permesso di mantenere la propria leadership nei settori ad alto contenuto di conoscenza. Infatti, secondo Ketels (2007) gli Stati Uniti hanno spesso negato l’idea di politica industriale a causa di un misunderstanding circa il significato del termine che viene visto come un’interferenza nei liberi mercati per favorire determinate industrie. Definendo però la politica industriale come tutte quelle politiche economiche che possono avere un effetto specifico per l’industria, allora è chiaro che anche gli USA applicano politiche di questo genere.

In effetti si possono distinguere tre macro-aree in cui l’intervento del governo si è esplicitato in maniera evidente nei confronti dell’industria e del progresso tecnico: le politiche per scienza e tecnologia, politiche per lo sviluppo economico per tipo d’industria, tipo di proprietà e zona geografica, ed infine le politiche per il commercio che sono già state menzionate. Per quanto riguarda il primo gruppo, queste sono state promosse ed attuate attraverso una pluralità di agenzie e di istituzioni di ricerca pubbliche e private. In particolare, durante tutti gli anni dal secondo dopoguerra in poi, la ricerca scientifica e per il progresso tecnologico è stata maggiormente finanziata dal Dipartimento della Difesa, il National Institute of Health, la NASA, il Dipartimento dell’energia e la National Science Foundation. La spesa pubblica concentrata in queste istituzioni è stata infatti dispensata in un triangolo politico di obiettivi: di sicurezza nazionale, fiscali e industriali.

Una delle accuse che emerge spesso nel dibattito internazionale (Bingham et al. 1998) è infatti che gli Stati Uniti abbiano finanziato il proprio progresso industriale e la propria potenza economica attraverso la spesa nel settore militare (Mowery ad esempio nel 1998 afferma che in tutti gli anni successivi alla seconda guerra mondiale la spesa pubblica in ricerca e sviluppo effettuata dagli Stati Uniti è stata trainata quasi all’80% dalla spesa effettuata dal Dipartimento della Difesa).

Bingham et al. (1998) affermano che i finanziamenti elargiti in favore dell’industria della difesa sono stati in effetti un meccanismo di accumulazione di rendita per numerose imprese; infatti i beni prodotti e scambiati dalle aziende appartenenti a questo settore non venivano mai valutati attraverso un meccanismo di libero mercato, poiché esistevano oligopoli e monopoli in cui la contrattazione era fatta sulla base di quello che decideva il congresso (p.106). Inoltre, quello che veniva investito nella costruzione e miglioramento di armi e sistemi di sicurezza nazionali è stato spesso assorbito dalla riconversione in beni di uso civile (dual- use). Questo tipo di politica che ha creato delle rendite e un meccanismo che è stato nominato “picking the winners and losers” può aver aggravato per certi versi la perdita di competitività che ha caratterizzato l’economia americana durante la fine degli anni ottanta, e poi in maniera ciclica fino ai giorni nostri. L’economia in questo periodo ha subito infatti delle continue e aggressive trasformazioni che hanno implicato la necessità per lo stato americano di discutere oltre, a proposito dell’intervento e delle strategie per rimanere competitivo.

Norton (1986) dà una lettura efficace di questo dibattito affrontando nel dettaglio gli elementi che hanno causato la deindustrializzazione e la perdita di competitività dei prodotti americani sul mercato internazionale e che hanno costretto lo stato ad interventi di carattere macroeconomico. Egli elabora numerose teorie della crescita e del ciclo di vita dei prodotti mettendo tra le cause del rallentamento della produzione e della produttività: la saturazione dei desideri di consumo umani, il rallentamento della crescita della popolazione, la diminuzione delle risorse disponibili, la scomparsa di innovazione tecnologica e lo spostamento dei progetti di investimento verso la fornitura di beni pubblici. Infatti, il declino dei settori manifatturieri di un paese spesso coincide con la richiesta crescente, da parte della domanda, di servizi di carattere superiore, implicando la progressiva terziarizzazione dell’economia.

Gli Stati Uniti hanno attraversato questa fase in parte spostando i nuclei di produzione dalle zone ormai sature e che storicamente avevano contribuito allo sviluppo industriale a zone geografiche che erano ancora relativamente sottosviluppate. In queste aree, come gli stati del sud e della west coast sono nati dei distretti o delle concentrazioni di industrie che sviluppano nuovi business e

nuove tecnologie. Nel grafico sotto è riportata una rappresentazione dei tassi di impiego nel settore manifatturiero per area geografica, durante gli anni subito precedenti al dibattito, che mostra il progressivo trasferimento di una maggiore concentrazione relativa di manodopera nelle aree del sud ed ovest del paese.

 

Grafico 4 Occupazione nei settori manifatturieri per area geografica29

Norton (1986) spiega anche che la flessibilità insita nel sistema americano dal punto di vista dell’organizzazione della produzione (sotto il profilo geografico e salariare) ha creato una capacità di adattamento e una nuova frontiera di sviluppo per il sistema industriale.

Nonostante quest’adattamento, dagli anni ottanta in poi alcuni rappresentanti politici e parte dell’opinione pubblica americana hanno continuato a sostenere la necessità di attuare delle politiche per la reindustrializzazione degli Stati Uniti (soprattutto in riferimento agli stati del nord), facendo appello a strumenti come la riduzione delle imposte o la concessione di agevolazioni fiscali. In questo ulteriore dibattito, Norton (1986) individua due componenti dell’opinione pubblica: una conservatrice e l’altra modernizzatrice. In questa seconda categoria egli colloca anche l’economista Robert Reich che nel libro Next American

Frontier (1982) sostiene che una delle cause della perdita progressiva di terreno

competitivo dell’industria americana, e anglosassone più in generale, è stata la netta separazione tra management e personale operaio all’interno delle aziende. Questa spaccatura che in alcuni paesi dell’Europa era stata superata dalla                                                                                                                

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formazione di un personale altamente qualificato e la produzione di massa che ha fatto sì che nel lungo termine i prodotti americani potessero essere sostituiti con beni prodotti in luoghi con un bassissimo costo della manodopera, ha determinato un lento deterioramento del sistema di produzione nazionale.

Secondo l’autore dunque la vera necessità di una politica industriale per la nazione andava nella direzione di dover creare velocemente un passaggio di capitale e lavoro verso attività ad alto contenuto di valore aggiunto. Stiglitz e Wallsten (1999) a tal proposito sostengono che a partire dalla fine della guerra fredda il governo federale americano, dismettendo alcuni degli investimenti che venivano fatti in attività ad alto contenuto di valore aggiunto (knowledge- and

technology-intensive) attraverso il Dipartimento della Difesa, ha intrapreso un

nuovo approccio di gestione per le problematiche industriali legate all’innovazione. I programmi di intervento che ne emersero misero in gioco una pluralità d’interessi coinvolgendo direttamente, attraverso il meccanismo della partnership tra pubblico e privato, imprese e stato.

La ratio di questi interventi ben si inseriva all’interno della letteratura dei market

failures in quanto l’intervento di governo speso in questa direzione, andava a

coprire una necessità di investimento in ricerca e sviluppo che se lasciata alla singola impresa sarebbe stata sempre sotto l’ottimo sociale. Le singole imprese infatti, soprattutto se di dimensioni medio-piccole, difficilmente hanno le risorse disponibili da investire in ricerca o non hanno la capacità di proiettarsi in eventuali guadagni futuri senza un aiuto o una tutela da parte dello stato. Nel prossimo paragrafo si rivedrà nel dettaglio questa parte del modello di sviluppo americano esaminando da vicino uno dei programmi che ne hanno segnato la storia.