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Le differenti tipologie di rinunzia

Nel documento La tutela dei creditori del legittimario (pagine 179-186)

nunzia all’azione di riduzione

3. Le differenti tipologie di rinunzia

Sebbene non sia tipizzata una definizione di rinunzia né questa confi- guri un istituto giuridico avente una propria disciplina generale, è possibi- le identificare – in esito ad un’operazione esegetica analitica delle singole

fattispecie 5 – un nucleo minimo dai confini sufficientemente definiti, co-

stituito da un atto dismissivo di un diritto attraverso il quale un soggetto esclude volontariamente dal proprio patrimonio la titolarità di una situa- zione giuridica soggettiva 6. Sono compresi nella categoria degli atti di-

smissivi quelli – a prescindere dalla loro qualificazione come negozio giu- ridico unilaterale o come atto giuridico in senso stretto 7 – accomunati da

5 Le principali norme contenute nel codice civile che disciplinano o fanno riferimento al-

la rinunzia sono: art. 458 (Patti successori rinunciativi); art. 519 (Rinunzia all’eredità); art. 557, comma 2, (Divieto di rinunciare alla riduzione); art. 649 (Rinunzia al legato); art. 702 (Rinunzia alla nomina di esecutore testamentario); art. 882 (Riparazione del muro comu- ne); art. 883 (Abbattimento di edificio appoggiato al muro comune); art. 963 (Rinunzia al diritto di enfiteusi); art. 1070 (Rinunzia alla proprietà del fondo servente); art. 1104 (Rinun- zia al diritto di comproprietà); art. 1118 (Divieto di rinunzia al diritto sulle parti comuni da parte del condomino); art. 1238 (Rinunzia alla garanzia); art. 1246 (Rinunzia alla compen- sazione); art. 1310 (Rinunzia alla prescrizione); art. 1350, n. 5 (Atti che devono farsi per iscritto. La rinunzia ai diritti indicati dai nn. 1 a 4 dell’art. 1350); art. 1722, n. 3 [Cause di estinzione (del mandato) per rinuncia del mandatario]; art. 2643, n. 5 (Atti soggetti a tra- scrizione); art. 2659, ultimo comma. (Nota di trascrizione); art. 2662 (Trascrizione di acqui- sti a causa di morte in luogo di altri chiamati); art. 2668, comma 2 (Cancellazione della tra- scrizione); art. 2684, n. 3 [Atti soggetti a trascrizione (per beni mobili)]; art. 2814 (Ipoteca sull’usufrutto); art. 2834 (Rinunzia all’ipoteca legale); art. 2878, n. 5 [Cause di estinzione (delle ipoteche): la rinuncia del creditore].

6 Tale definizione generale si rinviene già nel vigore del codice del 1865: si veda F.ATZERI

VACCA, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, Torino, 1915, p. 1 e S.PIRAS, La rinun-

zia nel diritto privato, Napoli, 1940, p. 115. L’orientamento che reputa identificabile un’ac-

cezione univoca di rinunzia è stato poi suffragato da G.GIAMPICCOLO, La dichiarazione recet-

tizia, Milano, 1959, p. 85; F.SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p. 218; P. PERLINGIERI, Remissione del debito e rinunzia al credito, Napoli, 1968, p. 75;

L.V.MOSCARINI, Rinunzia (diritto civile), in Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, p. 2; F.MACIOCE,

Il negozio di rinunzia nel diritto privato, I, Parte generale, Napoli, 1992, p. 90; ID., Rinuncia

(diritto privato), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 923. Reputa invece che non si possa indi-

viduare un modello uniforme di rinunzia G.SICCHIERO, Rinunzia, in Digesto civ., XVIII, To- rino, 1998, pp. 653 e 664. In giurisprudenza si veda, tra le tante, Cass., 15 maggio 1997, n. 4287, in Giust. civ., 1997, I, p. 3097, con nota di N.DIMAURO, Legato di liberazione da un

debito e remissione «mortis causa»: appunti sull’art. 658 c.c., secondo la quale «La rinunzia,

quale negozio unilaterale dismissivo di un diritto reale o personale – nella specie del “le-

gatum liberationis vice legitimae” il cui acquisto si è verificato “ipso iure” al momento del-

l’apertura della successione (art. 649 c.c.) – pur non richiedendo formule sacramentali, deve essere rinvenuta in una valida e non equivoca manifestazione dell’intento abdicativo del di- ritto». Sulla rinunzia in generale si veda L. CARIOTAFERRARA, Il negozio giuridico nel diritto

privato italiano, Napoli, 1962, p. 136; M. ALLARA, Le fattispecie estintive del rapporto obbliga-

torio, Torino, 1952, p. 220; E.BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di dir.

civ. Vassalli, Torino, 1960, p. 299; C.DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Na- poli, 1972, p. 71; L. BIGLIAZZI GERI, Oneri reali ed obbligazioni “propter rem”, in Trattato di

dir. civ. e comm., diretto da A.Cicu-F. Messineo, Milano, 1984, p. 137; M.E. LATORRE, Ab-

bandono e rinuncia liberatoria, Milano, 1993, p. 174.

7 La dottrina tradizionale ricostruisce la rinunzia come negozio giuridico unilaterale

mediante il quale l’autore dismette una situazione giuridica di cui è titolare (si veda in tal senso F.ATZERIVACCA, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 1, per il quale la

un’efficacia rinunziativa in senso ampio, in forza dei quali un soggetto de- termina variamente l’abbandono di una situazione giuridica soggettiva che gli fa capo.

Dovendo collocare la rinunzia nella classificazione delle situazioni giu- ridiche soggettive, essa non potrebbe qualificarsi alla stregua di un diritto potestativo, mancando il potere di operare il mutamento della situazione giuridica di un altro soggetto senza l’intervento positivo di costui. Invero, l’attività del rinunziante non incide direttamente sulla sfera giuridica di al- tri soggetti, pertanto appare più corretto qualificare la rinunzia come espres- sione di una facoltà di disposizione 8.

Si tratta, infatti, della manifestazione di un diritto soggettivo che non ha carattere autonomo ma è in esso compresa, quale particolare espres- sione dell’esercizio del diritto, che si realizza nella direzione opposta al- l’esercizio stesso ovvero quale facoltà di acquistare o meno un diritto 9. La

sussistenza di una facoltà di rinunzia di un diritto in capo al suo titolare dipende, dunque, dallo specifico contenuto del diritto soggettivo in quanto è subordinata all’accertamento della rinunziabilità dello stesso ovvero dell’intensità del vincolo che lega il diritto al titolare 10.

del titolare»; N.COVIELLO, Manuale di diritto civile. Parte generale, Milano, 1929, p. 324, se- condo il quale la rinunzia «importa l’estinzione del diritto»; S.ROMANO, Autonomia privata

(Appunti), Milano, 1957, p. 88, per il quale la rinunzia determina «la estinzione o, quanto

meno, il distacco dal rinunciante di un diritto o di un vantaggio giuridico»; E.BETTI, Teoria

generale del negozio giuridico, cit., p. 299; F.MACIOCE, Il negozio di rinunzia nel diritto priva-

to, cit., p. 90; ID., Rinuncia (diritto privato), cit., p. 923; F.SANTOROPASSARELLI, Dottrine ge-

nerali del diritto civile, Napoli, 2002, p. 218). Secondo invece L.BOZZI, La negozialità degli

atti di rinuncia, Milano, 2008, p. 49 la rinunzia (in particolare ai diritti reali) costituirebbe

un atto di autonomia “debole”, riconducibile alla categoria degli atti giuridici in senso stret- to piuttosto che del negozio giuridico, in quanto la volontà del soggetto riguarderebbe uni- camente l’atto ed il suo effetto primario (la dismissione del diritto) e non gli effetti ulteriori (consolidazione, accrescimento, acquisto in capo allo Stato) che si produrrebbero indero- gabilmente ex lege a prescindere dalla volontà del rinunziante.

8 In tal senso, si veda C.F

ADDA-P.E.BENSA, Note alle Pandette di Windscheid, Torino, 1930, nota 69 e p. 857.

9 Sulla rinunzia come esercizio di un diritto o come facoltà di acquistare o meno un di-

ritto si veda F.ATZERIVACCA, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 4; S.PI- RAS, La rinunzia nel diritto privato, cit., p. 147; A.LENER, Potere (diritto privato), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 619; C.COPPOLA, La rinunzia ai diritti futuri, cit., p. 59.

10 Si spiega pertanto perché la rinunzia non possa avere ad oggetto i diritti della personali-

tà in quanto si risolverebbe in una lesione della stessa personalità. In proposito A.BOZZI, voce

Rinunzia (diritto pubblico e privato), in Noviss. Dig. it., XV, Torino, 1968, p. 1145, osserva che

la rinunziabilità è un «fenomeno di necessaria permanenza del diritto al titolare. Il che impor- ta soltanto divieto di sacrificio del diritto per atto di volontà del titolare, ma non importa, di regola, obbligo di esercizio del diritto e non esclude che il medesimo possa venir meno per cause estranee alla volontà del soggetto. In tal modo si giustifica la irrinunziabilità del diritto agli alimenti legali, del salario, delle ferie, ecc. […] L’irrinunziabilità deriva non solo dalla fun- zione del diritto, ma anche dalla particolare connessione di esso con un dovere o da un limite esterno al diritto soggettivo, posto dalle norme obiettive per ragioni di ordine superiore».

È noto come, secondo tralaticio orientamento, occorra distinguere dif- ferenti tipologie di atti di rinunzia 11.

Qualora il titolare del diritto di rinunzia intenda trasferire ad altri il di- ritto ricavandone un lucro, si realizza un’alienazione del diritto che pre- suppone il preventivo acquisto di esso (cd. rinunzia traslativa o impro- pria). Tale è la fattispecie della rinunzia a una garanzia verso corrispettivo di cui all’art. 1240 c.c., là dove accettando il corrispettivo e rinunziando alla garanzia, il creditore assume il rischio dell’insolvibilità del debitore.

Analoga natura ha la rinunzia all’eredità ex art. 478 c.c. effettuata ver- so corrispettivo ovvero a favore soltanto di alcuni dei chiamati, giacché tale rinunzia, implicando l’alienazione dei diritti ereditari precedentemen- te acquisiti, comporta necessariamente l’accettazione tacita dell’eredità da parte del rinunziante 12. Invero, nella rinunzia ai diritti successori, con

l’accettazione il bene è entrato nel patrimonio del rinunziante, già dive- nuto erede, il quale decide di cederlo. In altri termini, il chiamato rinun- ziante non dispone della vocazione (tanto meno potrebbe) ma del diritto sull’eredità già accettata, realizzando un trasferimento a titolo di vendita o di donazione dei diritti che gli derivano dalla successione, con conse- guente assoggettabilità alle azioni di tutela della garanzia patrimoniale.

Se invece l’atto di rinunzia si ricollega ad una posizione giuridica già potenzialmente acquisita al patrimonio del rinunziante – come nell’ipo- tesi di rinunzia alla prescrizione – l’atto avrà portata meramente abdica- tiva, atteso che il soggetto titolare abbandona un diritto senza trasferirlo ad altri (cd. rinunzia abdicativa o propria) 13. In tale caso si tratterà di un

atto connotato da una causa meramente dismissiva in relazione al quale sarebbe ultronea qualsiasi considerazione circa la gratuità o l’onerosità,

11 Si veda in proposito G.G

ORLA, L’atto di disposizione di diritti, in Ann. Perugia, 1936, p.

56; R.NICOLÒ, Attribuzione patrimoniale, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 283; L.MENGONI-

F.REALMONTE, Disposizione (atto di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189.

12 Sulla fattispecie di “rinunzia traslativa” si vedano le riflessioni di D.B

ARBERO, Sistema

del diritto privato italiano, Torino, 1965, p. 707; F.MACIOCE, voce Rinunzia (diritto privato), cit., p. 931; L.V.MOSCARINI, Rinunzia (diritto civile), cit., p. 3. In particolare sulla fattispecie

di cui all’art. 478 c.c., si veda C.M.BIANCA, Diritto civile, II, Milano. 2001, p. 556, secondo il quale «la rinunzia traslativa è un atto negoziale di disposizione mediante il quale il chiama- to dispone del proprio diritto successorio per ricavarne un prezzo o per beneficiare deter- minati destinatari. Essa comporta accettazione dell’eredità (art. 478 c.c.)». Analogamente F.

MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Padova, 1943, p. 446, sostiene che la ri-

nunzia traslativa non è rinunzia all’eredità, bensì un’accettazione tacita. Inoltre, A. MA-

SCHERONI, La rinunzia all’eredità, in Riv. not., 1954, p. 238, nota 1 e p. 241, evidenzia che la

c.d. rinunzia traslativa è «un’alienazione impropriamente definita» e che una rinunzia tra- slativa non può esistere in quanto «l’aggettivo fa a calci con il sostantivo».

13 È il caso ad esempio della rinunzia al diritto di usufrutto che si traduce certamente in

un indubbio vantaggio per il nudo proprietario, il quale vede il proprio diritto divenire pie- no, tuttavia non già in forza di un acquisto derivativo dall’usufruttario rinunziante, bensì in conseguenza dell’effetto della riespansione del diritto del nudo proprietario, in virtù del prin- cipio della vis espansiva del diritto di proprietà.

giacché la volontà del rinunziante è volta esclusivamente a estinguere il diritto senza trasmetterlo a terzi: in altre parole, la rinunzia non è colora- ta né d’onerosità né di gratuità, risolvendosi in un atto sostanzialmente neutro 14.

Individuato l’effetto fondamentale della rinunzia nell’abdicazione della situazione giuridica da parte del soggetto titolare, ciò vale a distinguere la rinunzia dall’estinzione in quanto la prima è caratterizzata esclusivamente dalla dismissione dalla propria sfera giuridica del diritto, a prescindere dall’estinzione di quest’ultimo, il quale potrebbe essere acquistato in capo ad altri soggetti ovvero sopravvivere per la sussistenza dell’interesse al- trui 15.

Sebbene una posizione dottrinaria ravvisi nell’atto di rinunzia in sé la sussistenza di una causa tipica consistente nella pura e semplice dismis- sione del diritto 16, le opinioni maggioritarie si sono concentrate sulla pre-

sunta atipicità di questo istituto. Infatti l’assenza in tale figura iuris di un riferimento ad un fenomeno di attribuzione patrimoniale farebbe propen- dere per una causa connotata dal carattere dell’astrattezza 17 ovvero per un

negozio incompleto con una causa indeterminata, che in maniera “cama- leontica” assuma le vesti del negozio in cui in concreto venga inserito 18. Di

conseguenza, qualora le parti includessero in un più ampio regolamento d’interessi la rinunzia ad un diritto reale, tale atto di rinunzia non perde- rebbe la propria rilevanza causale.

Non pare tuttavia infondata la tesi che riconosce alla rinunzia un fon- damento giustificativo autonomo laddove comunque si individua un inte- resse negoziale nella dismissione del diritto soggettivo assoluto mediante un atto unilaterale, anche senza la volontà di arricchire un altro soggetto o ottenere una controprestazione. Tale atto si inscrive, infatti, nella più

14 La tesi si legge già in G. O

PPO, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 291; A. PINO,

Contratto aleatorio, contratto commutativo e alea, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, p. 1221;

F.SANTOROPASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, p. 224. Più recente-

mente, si veda F.MACIOCE, voce Rinunzia (diritto privato), cit., p. 929, pur premettendo che

il «difetto di un’attribuzione patrimoniale [consenta di] negare alla rinuncia la qualifica di atto oneroso o gratuito, [impedendo, di massima,] la possibilità di un riferimento ad una causa onerosa o gratuita dell’atto», ritiene che non faccia venire «meno la rilevanza dell’ele- mento causale, senz’altro riferibile a qualsiasi negozio giuridico patrimoniale quale è quello dispositivo».

15 Su tale distinzione si vedano le riflessioni di P.PERLINGIERI, Appunti sulla rinunzia, in

Riv. not., 1968, p. 348, per il quale «L’effetto essenziale e costante che caratterizza la rinun-

zia è la perdita del diritto da parte del soggetto rinunziante, mentre l’estinzione dello stesso è effetto secondario, riflesso, eventuale. Rinunziare non vuol dire estinguere il diritto, anche se, normalmente, il diritto in occasione della dismissione si estingue; rinunziare vuol dire solo dismettere il diritto, escluderlo dal proprio patrimonio».

16 In tal senso A.B

OZZI, voce Rinunzia (diritto pubblico e privato), cit., p. 1147.

17 Così, G.G

ORLA, L’atto di disposizione di diritti, cit., p. 72.

18 Si veda M. G

ampia facoltà di disposizione che caratterizza il diritto soggettivo, purché il soggetto, nell’ambito di un complesso assetto di interessi, si sia avvalso della rinunzia unicamente al fine di conseguire il suo effetto tipico, vale a dire la mera perdita del diritto, realizzando un risultato economico meri- tevole di tutela secondo l’ordinamento.

Risulta dunque improprio rispetto alla causa tipica della rinunzia qua- lificare tale negozio come connotato da gratuità o onerosità, e conseguen- temente una sua assimilazione ad una donazione indiretta 19. Giova invero

osservare che mentre è del tutto possibile che al negozio di rinunzia segua un effetto ulteriore rispetto alla semplice perdita del diritto come mero ef- fetto indiretto, si esulerebbe dallo schema rinunziativo qualora quest’effet- to riflesso fosse connotato dalla liberalità, posto che lo scopo liberale può essere realizzato solamente in presenza di una volontà del soggetto. In al- tri termini, il negozio di rinunzia si rivela irriducibile ad un atto di libera- lità, in quanto la manifestazione unilaterale di volontà ha il semplice effet- to della perdita del diritto che modifica o estingue il rapporto giuridico anteriore, per cui ogni altro effetto che influisce direttamente sulla sfera giuridica di un soggetto terzo, facendogli acquistare un diritto o liberan- dolo da un obbligo, avviene in maniera mediata e si pone quindi al di fuo- ri dello schema tipico della rinunzia.

Conformemente a tale visione, la dottrina maggioritaria 20 ammette so-

19 In tale categoria infatti rientrano quelle attività o atti giuridici che producono il de-

pauperamento del patrimonio di un soggetto e il corrispondente arricchimento di quello di un altro, anche senza integrare il vero e proprio contratto di donazione, pur presentando l’animus donandi.

20 In maniera particolarmente critica sulla rinuncia c.d. traslativa in ragione dell’irridu-

cibilità della rinunzia abdicativa ad una causa attributiva si è espressa la dottrina: L. CARIO-

TAFERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949, p. 668; C.COPPOLA,

La rinunzia ai diritti futuri, cit., p. 82; G.GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, cit., p. 86;

G. SCIANCALEPORE, La rinunzia, in P.STANZIONE-G.SCIANCALEPORE, Remissione e rinunzia,

Milano, 2003, p. 321, secondo i quali l’ordinamento non lascerebbe spazio ad una rinunzia contrattuale che realizzi una funzione traslativa. In particolare, secondo P. PERLINGIERI,

Remissione del debito e rinunzia al credito, cit., p. 86, l’effetto che la rinuncia «direttamente

attua è la perdita considerata in sé e per sé. Quindi non si ha rinunzia là dove la perdita del diritto si giustifica nell’ambito di un altro effetto […]. Questa perdita, pensata nel trasferi- mento, non è come nella rinunzia-perdita e basta, […], ma è perdita inscindibilmente colle- gata all’acquisto altrui: in altri termini, è perdita nel trasferimento […]. È quindi facile com- prendere che la c.d. rinunzia traslativa non è rinunzia». La Suprema Corte (Cass., 3 maggio 2005, n. 9173, in Mass. Giur. it., 2005), in una fattispecie di occupazione c.d. usurpativa, ha ritenuto che l’accessione invertita non determina la perdita della proprietà da parte del pri- vato, mentre l’opzione del proprietario per una tutela risarcitoria, in luogo della pur possi- bile tutela restitutoria comporta un’implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irre- versibilmente trasformato, senza realizzare l’automatico effetto acquisitivo della proprietà del fondo da parte dell’ente pubblico. Pertanto, qualificando la rinuncia alla proprietà atto abdicativo e non traslativo, la Corte di Cassazione ha escluso che vi fosse contraddizione tra il riconoscimento al proprietario del risarcimento integrale per la perdita della proprietà e la negazione dell’acquisizione della proprietà stessa in capo all’ente pubblico occupante.

lo la rinunzia c.d. abdicativa, negando tale qualifica alla fattispecie detta “traslativa” in cui alla rinunzia consegue quale effetto immediato il trasfe- rimento ad un altro soggetto della titolarità di un rapporto giuridico. In- fatti, in questo ultimo caso la rinunzia non sarebbe una perdita tout court cui segue un occasionale vantaggio, bensì sarebbe intenzionalmente fun- zionale a procurare direttamente un profitto in capo ad un terzo, integran- do quindi lo schema dell’alienazione o della donazione 21.

Certa dottrina ha tentato di individuare una terza categoria al fine di col- locare i casi in cui l’acquisto del diritto oggetto di rinunzia deriva ex lege come effetto indiretto 22. Tale tipologia è definita ugualmente “traslativa”,

pur distinguendola dall’ipotesi più propriamente traslativa in cui l’acquisi- zione deriva immediatamente dall’atto dismissivo. Sarebbe, tuttavia, più op- portuno parlare di rinunzia “satisfattivo-liberatoria” giacché la funzione liberatoria riguarda sia l’obbligazione che grava sul rinunziante sia quella che grava sul beneficiario dell’atto.

Tale categoria includerebbe indistintamente sia la rinunzia alla quota del bene in comunione sia le fattispecie ove la rinunzia ha come oggetto i c.d. diritti parziari, quali la proprietà del fondo servente ai sensi dell’art. 1070 c.c. (dove si parla di abbandono liberatorio) ovvero la rinunzia del- l’usufruttuario in favore del nudo proprietario. Queste figure sono acco- munate dal conseguimento, mediante la dichiarazione di rinunzia, della liberazione da un obbligo in capo al rinunziante, per cui il diretto effetto estintivo in tal caso riguarderebbe una sua precedente situazione attiva e non una posizione passiva altrui, e sarebbe affiancato dall’effetto satisfat- tivo della dichiarazione nei confronti del destinatario dell’atto che acqui- sterebbe il diritto di proprietà.

L’analogia è, nondimeno, limitata al mero fondamento dell’effetto sati- sfattivo e liberatorio per il rinunziante, arrestandosi davanti al fondamento dell’effetto acquisitivo in capo, rispettivamente, ai comunisti superstiti, al ti- tolare del fondo dominante o al nudo proprietario. È infatti importante pre- cisare che l’abbandono ai sensi dell’art. 1070 c.c. non rappresenta una vera e propria rinunzia, in quanto l’acquisto della proprietà da parte del proprie- tario del fondo dominante avviene per esplicita previsione legislativa 23, evi-

21 Si veda in proposito: V.A.B

OTERA, Il codice civile italiano commentato. Successioni e

donazioni, Torino, 1940, p. 119, secondo il quale «la rinunzia traslativa, a titolo oneroso o

gratuito, è un vero e proprio contratto, non un negozio giuridico unilaterale».

22 In tal senso si veda S.P

IRAS, La rinunzia nel diritto privato, cit., p. 199; A.BOZZI, voce

Rinunzia (diritto pubblico e privato), cit., p. 1147.

23 Per la tesi secondo cui il trasferimento della proprietà al titolare del fondo dominante

si verificherebbe grazie all’atto unilaterale dismissivo-traslativo del proprietario del fondo servente, L. BIGLIAZZIGERI, L’abbandono liberatorio, in Rapporti giuridici e dinamiche sociali.

Scritti giuridici, Milano 1998, p. 560; C.M.BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano 1999,

p. 653. Tuttavia la dottrina dominante sostiene che la rinunzia ha natura ambivalente: da un lato ha il valore di rinunzia ad effetto liberatorio immediato dalle obbligazioni propter rem,

tando l’altrimenti operante regola dell’art. 827 c.c. per cui i beni immobili vacanti sono acquistati dallo Stato 24.

Nel documento La tutela dei creditori del legittimario (pagine 179-186)