7.1. Il riservatario quale legatario ex lege
Sulla scorta della concezione romanistica della legittima, un orienta- mento trae origine dalla presa d’atto della differenza tra il riservatario fran- cese e la figura del legittimario come tratteggiata dal codice civile, anco- randosi, sul piano del diritto positivo, soprattutto alle norme relative alla determinazione della porzione disponibile.
Invero, il riservatario del Code civil è erede in quanto parente prossimo del de cuius: l’investitura ereditaria immediata deriva infatti dal vinculo
sanguinis, atteso che la riserva del Code napoleonico corrisponde alla quo-
ta fissata dalla successione ab intestato detratta la quota di eredità com- misurata al valore della porzione disponibile, come risulta dopo la detra- zione delle donazioni ad essa imputabili. Al contrario, al riservatario del codice civile, ove pretermesso, non sarebbe riconosciuto un autonomo ti- tolo alla pretesa ereditaria, data la norma di cui al comma 2 dell’art. 720 del codice Pisanelli, riprodotta tel quel al comma 2 dell’art. 457 del codice vigente, secondo la quale non si fa luogo alla successione legittima se non quando manchi in tutto o in parte la successione testamentaria 51: di con-
seguenza, l’esistenza di un erede è assicurata in ogni caso dall’insieme del- le norme che disciplinano il fenomeno successorio.
Muovendo da queste premesse, Azzariti nega l’esistenza di un’autono- ma delazione necessaria e l’automatica attribuzione della qualifica di ere- de in capo al legittimario, considerando invece questi un successore a tito- lo particolare, vale a dire un legatario ex lege, attesa la ritenuta natura del- la legittima quale pars bonorum ovvero quota di utile netto 52.
51 La relazione al codice all’art. 457 c.c. afferma espressamente che «ammessa nel nostro
ordinamento l’esistenza delle due forme di delazione, è evidente che si deve far luogo alla successione legittima solo quando il defunto non abbia altrimenti disposto, e cioè quando manchi la successione testamentaria. È certo peraltro che la volontà testamentaria, pur prevalendo sulla successione legittima, deve mantenersi entro i limiti fissati dalla legge. Per- ciò è stato suggerito di affermare semplicemente che la delazione avviene per legge o per testamento, ponendo ambedue le forme di successione sullo stesso piano. Aderendo a que- ste considerazioni, ho modificato la formula del progetto e ho riprodotto la norma del se- condo comma dell’art. 720 del codice del 1865, che dichiara non potersi far luogo alla suc- cessione legittima se non quando manchi in tutto o in parte la testamentaria». È singolare che il Code civil, nella corrispondente norma di cui all’art. 721 preveda che «Les successions
sont dévolues selon la loi lorsque le défunt n’a pas disposé de ses biens par des libéralités. Elles peuvent être dévolues par les libéralités du défunt dans la mesure compatible avec la réserve héréditaire».
52 In tal senso si veda G.A
ZZARITI, Sul legato a tacitazione di legittima, in Riv. dir. priv.,
Tale tesi sarebbe in particolare corroborata dal tenore letterale degli artt. 537 e ss. del codice vigente i quali, disciplinando la porzione di riser- va, parlano di “patrimonio” (al pari dei corrispondenti artt. 805 e ss. del codice Pisanelli i quali si limitavano a fare riferimento ai “beni” del testa- tore), senza precisare che in ipotesi di pretermissione dei legittimari l’eser- cizio dell’azione di riduzione sarebbe idoneo a modificare le heredis insti-
tutiones. Invero, l’art. 536 c.c., introducendo la sezione sulle prerogative
dei legittimari, prescrive che ad essi sia riservata «una quota di eredità o altri diritti nella successione» 53.
Ulteriore indizio della mancata acquisizione da parte dei legittimari della qualifica di erede è individuato nel disposto dell’art. 556 c.c. (analo- go all’art. 822 del codice del 1865 54) che nel regolare la c.d. riunione fitti-
zia dispone che dal relictum occorre detrarre i debiti ereditari, autorizzan- do a ritenere che i legittimari otterrebbero il solo attivo netto mentre gli eredi testamentari si farebbero carico delle passività: in altri termini, tale sistema di calcolo non determina una quota dell’eredità che è comprensi- va dei debiti ma l’individuazione di una quota di utile netto.
Inoltre, tale norma fa riferimento ai beni del testatore «al tempo della morte», rivelando la volontà del legislatore di ritenere la quota riservata come una porzione del solo attivo ereditario, con il riconoscimento di una devoluzione in favore del legittimario non universale ma a titolo partico- lare, anche in contrasto con le disposizioni testamentarie 55. Invero, qualo-
ra il riservatario fosse automaticamente erede e dunque partecipe della comunione ereditaria, si determinerebbe una comproprietà dei beni eredi- tari fin dall’apertura della successione, con il risultato che per individuare la legittima occorrerebbe avere riguardo ai valori dei beni relitti e donati
53 Si veda G.A
ZZARITI, La successione necessaria?, cit., p. 145.
54 L’art. 822 del codice del 1865 così dispone: «Per determinare la riduzione si forma una
massa di tutti i beni del testatore al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui è stato disposto a titolo di donazione, quanto ai beni mobi- li secondo il loro valore al tempo delle donazioni, e quanto ai beni immobili secondo il loro stato al tempo delle donazioni ed il loro valore al tempo della morte del donatore, e sull’asse così formato si calcola quale sia la porzione di cui il testatore ha potuto disporre, avuto ri- guardo alla qualità degli eredi aventi diritto a riserva». Analogamente, il corrispondente art. 922 del Code civil stabilisce che «La réduction se détermine en formant une masse de tous les
biens existant au décès du donateur ou testateur. Les biens dont il a été disposé par donation entre vifs sont fictivement réunis à cette masse, d’après leur état à l’époque de la donation et leur valeur à l’ouverture de la succession, après qu’en ont été déduites les dettes ou les charges les grevant. Si les biens ont été aliénés, il est tenu compte de leur valeur à l’époque de l’aliéna- tion. S’il y a eu subrogation, il est tenu compte de la valeur des nouveaux biens au jour de l’ouverture de la succession, d’après leur état à l’époque de l’acquisition. Toutefois, si la dépré- ciation des nouveaux biens était, en raison de leur nature, inéluctable au jour de leur acquisi- tion, il n’est pas tenu compte de la subrogation. On calcule sur tous ces biens, eu égard à la qualité des héritiers qu’il laisse, quelle est la quotité dont le défunt a pu disposer».
55 Sul punto, si vedano le riflessioni di G.A
ZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli,
al momento dello scioglimento di tale comunione e non già al momento della morte del testatore 56.
Di conseguenza, il riferimento all’apertura della successione sarebbe in- dice dell’opzione normativa di assicurare al legittimario non una quota di eredità che comprenda sia l’attivo sia il peso dei debiti, ma unicamente un valore economico la cui esistenza è dunque subordinata al risultato positivo dell’operazione di c.d. riunione fittizia (il relictum meno i debiti più il dona-
tum). Pertanto, il riservatario pretermesso, poiché non potrebbe mai essere
investito del passivo ereditario, potrebbe promuovere l’azione di riduzione esclusivamente qualora l’attivo ereditario sia maggiore del passivo 57.
Coerentemente, l’art. 588 c.c. (in cui sono stati trasfusi gli artt. 760 e 827 del codice Pisanelli 58) confermerebbe che l’acquisto della qualità eredi-
taria è caratterizzato da un’attribuzione di carattere patrimoniale: il legit- timario sarà erede solo in caso di successione legittima o qualora il testato- re lo istituisca erede, ma giammai in presenza di disposizioni testamenta- rie che conferiscono l’universum ius ad altri soggetti. Questi ultimi sareb- bero gli unici successori nel complesso dei rapporti giuridici del de cuius, nonostante la riduzione dell’attivo netto ereditario in seguito all’azione esperita dal riservatario leso 59.
Si configurerebbe in tal caso in capo al legittimario pretermesso un di- ritto di credito assimilabile agli effetti dell’actio ad supplendam legitimam, atteso che l’esperimento dell’azione di riduzione gli farebbe conseguire una parte dell’attivo ereditario, ossia la pars bonorum pari al valore della riser- va prevista dalla legge, senza che possa acquisire la qualità di erede, né prima né dopo l’esercizio dell’azione di riduzione.
56 In proposito, si vedano le osservazioni di V.E.CANTELMO, L’istituto della riserva, cit., p.
483, secondo il quale «col disporre che l’operazione di calcolo vada operata sui beni che ap- partenevano al defunto al tempo della morte viene a riconoscersi che non si devolva al legit- timario (sia in via preliminare alla morte sia in via successiva alla sentenza) una quota dell’universalità ereditaria giacché, in tal caso, egli si sarebbe trovato in comunione con gli eredi istituiti nel compendio ereditario, e la determinazione della legittima si sarebbe fatta valutando i beni al tempo in cui si fosse posto termine alla comunione».
57 A tale prospettazione si replicava sulla base della valenza meramente contabile delle
operazioni volte alla c.d. riunione fittizia di cui all’art. 822 del codice Pisanelli nonché al lo- ro risvolto esclusivamente sul profilo interno dei rapporti tra gli eredi, senza alcuna inci- denza sulle prerogative dei creditori. Pertanto, si ribadiva la qualità di erede del legittimario il quale avrebbe dunque dovuto rispondere dei debiti ereditari (in tal senso si veda L.CO-
VIELLO, Il legittimario e la sua qualità di erede, in Giur. it., 1935, I, 2, p. 314 e F.SANTORO-
PASSARELLI, Legato privativo di legittima, cit., nota 10).
58 Tali norme prevedevano rispettivamente: «Le disposizioni testamentarie che compren-
dono l’universalità od una quota dei beni del testatore, sono a titolo universale e attribui- scono la qualità di erede. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario»; «Le disposizioni testamentarie si possono fare a titolo di istituzione d’erede o di legato, o sotto qualsivoglia altra denominazione atta a manifestare la volontà del testatore».
59 Si veda G.A
Azzariti mitiga tale prospettazione precisando che tale attivo sarebbe comunque parte del patrimonio direttamente o indirettamente riferibile al
de cuius e che l’acquisto da parte del riservatario di tale aes proprium in
beni di valore pari alla riserva di legge configurerebbe comunque un’acqui- sizione mortis causa, realizzandosi una successione a titolo particolare in relazione ai beni necessari a reintegrare la legittima, sia in caso di esperi- mento dell’azione di riduzione sia in ipotesi di riconoscimento convenzio- nale da parte dell’erede testamentario 60.
Si riporta il seguente esempio: Tizio muore dopo aver istituito erede universale un fraterno amico, lasciando debiti per un importo di 100 pari all’attivo. Secondo la dottrina esposta, ove si qualificasse la legittima come quota di eredità, l’unico figlio, pretermesso, avrebbe diritto a conseguire un attivo per 50 su cui graverebbe un passivo di uguale valore. Poiché, tut- tavia, in seguito all’operazione della c.d. riunione fittizia, sottraendo al re-
lictum i debiti, non residuerebbe un attivo ereditario, il figlio non conse-
guirebbe alcunché mediante l’azione di riduzione e dunque non divente- rebbe erede data la mancanza di attivo netto.
7.2. Il legittimario quale titolare di un ius in re
La teoria testé descritta che identifica il legittimario quale successore a titolo particolare, avendo questi diritto in caso di pretermissione ad una mera portio bonorum in relazione alla quale si realizzerebbe una succes- sione a titolo particolare, è stata successivamente ribadita da un’autorevo- le dottrina. Invero, Ferri, sottolineando la mancata funzionalità dell’espe- rimento dell’azione di riduzione all’acquisizione della qualifica di erede, ha ritenuto che «l’antica questione se la quota di legittima sia quota here-
ditatis o pars bonorum sembra inequivocabilmente risolta dal nostro dirit-
to in favore della seconda ipotesi» 61.
A sostegno si osserva come la riduzione delle disposizioni testamenta- rie avvenga tramite un meccanismo proporzionale che espressamente non distingue tra disposizioni a titolo di erede e a titolo di legatario (art. 558 c.c.): qualora si ammettesse l’acquisto della qualifica di erede da parte del riservatario pretermesso, con conseguente attribuzione di una quota ere- ditaria, egli dovrebbe esercitare l’azione di riduzione unicamente nei con- fronti delle disposizioni contro gli eredi istituiti, giacché solo diminuendo tali quote potrebbe ottenere una propria quota d’eredità, escludendo inve- ce i successori a titolo particolare dal “bersaglio” della riduzione 62.
Infatti, non potendosi invocare quale titolo di delazione la successione
60 In tal senso si veda G.A
ZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., p. 226.
61 Si veda in proposito L.F
ERRI, Dei legittimari, Libro II – Art. 536-564, cit., p. 91.
necessaria, il legittimario leso da donazioni o da disposizioni a titolo par- ticolare non modificherà la propria posizione in seguito alla sentenza che dispone la riduzione. Di conseguenza, l’azione volta alla reintegrazione della legittima assumerebbe valenza di mezzo di natura unicamente eco- nomica, avendo quale effetto quello di sottrarre beni all’erede testamenta- rio o al legatario, ma senza far assumere la qualifica di erede al riservata- rio attore in riduzione 63.
La non necessaria natura ereditaria della legittima emergerebbe consi- derando l’esempio di Tizio che, dopo aver effettuato a favore dell’unico fi- glio una donazione di valore pari o superiore alla legittima (o disposto un legato in conto di legittima) istituisca erede universale un fraterno amico: in tal caso, l’istituto dell’imputazione ex se, di cui all’art. 564, comma 2, c.c., impone all’unico legittimario, prima di poter chiedere la riduzione del- le disposizioni che assume essere lesive della sua quota di legittima, l’ob- bligo di imputare alla propria porzione legittima le donazioni a lui effet- tuate (salvo che sia stato espressamente dispensato). Pertanto, nella fatti- specie dell’esempio, poiché il valore di dette liberalità è tale da integrare il valore della legittima, dovrà presumersi che esse siano delle anticipazioni della quota di legittima con conseguente esclusione della lesione e manca- ta investitura ereditaria del figlio legittimario.
Del resto, la divaricazione tra legittima – che rileverebbe unicamente ai fini del conseguimento dell’utile netto – e acquisto della qualità ereditaria si manifesterebbe altresì nell’eventualità in cui Tizio avesse istituito erede universale l’unico figlio dopo aver donato l’intero patrimonio ad un amico: in questa ipotesi, l’acquisizione della qualifica di erede di per sé non sa- rebbe idonea a soddisfare i diritti del riservatario, essendo necessaria la promozione dell’azione di riduzione per ottenere un valore attivo. Allo stesso modo, il legittimario leso che in seguito al rimedio della riduzione ottenesse la caducazione di una donazione, conseguendo così l’intero be- ne, non parteciperebbe alla comunione ereditaria 64.
Attesa l’asserita inidoneità dell’impugnativa giudiziale a far conseguire
63 In proposito, App. Roma, 12 luglio 2000, in Vita not., 2001, p. 87 ha affermato che
«l’azione di riduzione risulta apprestata al fine esclusivo di assicurare al legittimario l’attri- buzione del solo attivo della quota (impropriamente definita tale) a lui riservata. In realtà detta azione non fa recuperare la qualità di erede – per l’intero “all’erede preterito”, in parte “all’erede leso” – in quanto capace di assicurare solo l’attribuzione dell’attivo di quanto cor- rispondente all’attribuzione fatta dalla legge (erede preterito), o di integrare la minore attri- buzione (erede leso), e non anche di attribuire la quota (o parte di essa) di eredità, quale complesso di situazioni attive e passive».
64 Al pari, nell’ipotesi in cui si dovesse creare una comunione fra gli eredi istituiti e il le-
gittimario pretermesso, tale comunione non sarebbe equivalente alla fattispecie della co- munione sui beni ereditari in caso di delazione a favore di più eredi in quanto sarebbe «solo relativa alla percentuale determinata nella sua entità, da distaccarsi dai beni attribuiti in misura maggiore di quella disponibile» (così, G.AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit.,
una quota di eredità bensì solo un utile netto, tale dottrina definisce il ri- servatario un successore a titolo particolare, nonostante l’art. 536 c.c. a proposito dei diritti che la legge gli riserva parli espressamente anche di “quota dell’eredità”. A differenza, tuttavia, dell’affine tesi sostenuta da Az- zariti – con cui condivide la natura di pars bonorum della legittima – per Ferri il legittimario pretermesso non è titolare di un legato ex lege obbliga- torio ovvero un mero creditore dell’eredità che deve esperire un’actio ad
supplendam legittimam di natura personale (come nel diritto romano e
negli ordinamenti ispirati al diritto tedesco).
Invero, questa autorevole dottrina tratteggia invece la legittima come un legato attributivo di un diritto reale sui beni ereditari a carico dei be- neficiari delle liberalità eccedenti. Di talché il riservatario sarebbe titolare della pretesa al conseguimento di beni ereditari in natura, essendo questi – qualora siano oggetto di disposizione da parte del de cuius per testamen- to o donazione – automaticamente gravati da tale diritto reale a favore del legittimario. In altri termini, il de cuius avrebbe la facoltà di disporre libe- ramente dei propri beni ma, ove ne disponga in misura superiore alla por- zione disponibile, farebbe sorgerebbe sui beni trasmessi un diritto reale a favore del riservatario che con l’apertura della successione acquisterebbe
ope legis la proprietà su una parte dei beni ereditari fino a conseguire la
quota spettantegli per legge.
La sentenza che conclude positivamente l’azione di riduzione esperita dal legittimario non avrebbe quale effetto quello di rendere inefficaci gli atti di disposizione posti in essere dal defunto, eccedenti la legittima, in quanto questi sono per loro natura ab initio di per sé stessi validi e efficaci, sebbene inopponibili al legittimario in forza dell’art. 457, comma 3, c.c. L’accoglimento dell’azione di riduzione permetterebbe, tuttavia, al riser- vatario di conseguire i beni concreti sciogliendo la comunione non eredi- taria.
Di conseguenza, secondo tale orientamento, l’azione di riduzione non costituirebbe un’azione di impugnativa negoziale, essendo funzionale a far valere un diritto di cui il legittimario sarebbe già titolare, con conse- guente inefficacia ipso iure al momento dell’apertura della successione della disposizione testamentaria lesiva del diritto di legittima 65. Il riser-
vatario promuoverebbe l’azione di riduzione allo scopo di accertare l’e- sistenza di tale diritto di proprietà sui beni relitti o donati e di trasfor- marlo in virtù della sentenza che accoglie la domanda di riduzione «da diritto che cade su tutti i beni relitti (o donati) per una quota del loro va-
65 Secondo L.F
ERRI, Dei legittimari, Libro II – Art. 536-564, cit., p. 157, «Quando vi sono
dei legittimari, i beni relitti sono da considerare gravati da un diritto reale. Il testatore non perde il potere di disporre mortis causa o tra vivi dei suoi beni, ma ne dispone come di beni gravati da un onere o diritto a favore dei legittimari. L’erede e il legatario li ricevono così gravati e, se ne dispongono a loro volta, li trasferiscono con inerente all’onere o al diritto, così come se si trattasse di beni ipotecati o soggetti al vincolo del pignoramento».
lore, in diritto esclusivo su beni determinati o porzioni concrete di que- sti, se divisibili» 66.
Tale ricostruzione dell’azione di riduzione quale azione di accertamen- to – volta a far acclarare l’inefficacia della disposizione lesiva in ossequio all’art. 457, comma 3, c.c. che vieta di «pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari» – spiegherebbe, per tale autore, la legittimazione ad agire in surrogatoria in capo non solo agli eredi del legittimario ma anche ai suoi creditori e aventi causa (art. 557 c.c.).
Tale configurazione della posizione del legittimario si riverbera inevi- tabilmente sulla disciplina applicabile. Invero, se la legittima non integra una quota d’eredità, la rinuncia alla legittima assume le vesti di un atto di- spositivo di un diritto già acquistato dal legittimario, differenziandosi per- tanto dalla rinuncia all’eredità, con conseguente impossibilità di applica- zione della disciplina relativa a quest’ultimo istituto in relazione alla for- ma (art. 519 c.c.), alla revocabilità (art. 523 c.c.) e all’impugnazione (art. 524 c.c.), per assumere invece la natura e gli effetti di una rinuncia al lega- to (ex lege) attributivo della legittima.
In senso contrario, è stato osservato che l’orientamento che ricostruisce la quota legittima come pars bonorum sconta critiche sia sul piano storico