ne in via diretta o surrogatoria
6. Dal principio di autonomia testamentaria alla querela inofficio si testament
Nel diritto successorio romano, fondato sul principio di libertà del te- statore, la legittima era qualificata come pars bonorum – da attribuire al legittimario non solo con la sua istituzione di erede ma altresì tramite le- gati o donazioni in vita del de cuius – e pari ad una frazione dell’utile net-
l’eredità, in R. CALVO-G.PERLINGIERI (a cura di), Diritto delle successioni e donazioni, I, Napo-
li, 2013; G.AZZARITI, L’accettazione dell’eredità, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto
privato, 5, Torino, 1982, p. 143; M.DIMARZIO, L’accettazione dell’eredità con beneficio di in-
ventario, Milano, 2012; C.ROMEO, L’accettazione dell’eredità, in G. BONILINI (diretto da), Trat-
tato di diritto delle successioni e donazioni, I, Milano, 2009, p. 1215; G. SAPORITO, L’accet-
tazione dell’eredità, in P. RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p.
to che l’erede necessario (inteso come chi eredita contro la propria volon- tà senza bisogno di accettazione) avrebbe conseguito se il de cuius fosse morto intestato. Invero, le XII Tavole attribuivano forza vincolante alla sua volontà 63, assegnando alle disposizioni dell’ereditando forza giuridica.
In epoca pre-classica, impregnata di rigore formale, l’unica limitazione all’autonomia testamentaria era posta a tutela dei filii familias, privi di ca- pacità patrimoniale autonoma fino alla morte del pater: i sui heredes dove- vano essere istituiti o diseredati espressamente 64, rendendo così pubblica
davanti alla civitas l’interruzione nella catena di trasmissione familiare del patrimonio, sì da sottoporre l’esclusione dell’erede al giudizio del tribuna- le dei centumviri (composto da giudici popolari chiamati a pronunciarsi sulle controversie ereditarie) 65. Pertanto, la latissima potestas del testatore
(così espressamente definita in D. 50.16.120, Pomp. 5 ad Q. Muc.) era quindi intesa anzitutto come “autodeterminazione” e “responsabilità” 66, di
talché le deviazioni rispetto alla trasmissione endofamiliare della ricchez- za erano valutate criticamente.
Qualora il testatore non avesse contemplato i figli, il testamento era considerato inofficiòsum, ossia non conforme all’officium pietatis che il te- statore aveva verso i propri congiunti 67.
Poiché la successione mortis causa era funzionalmente volta ad assicu- rare la prosecuzione della potestas della famiglia, l’elemento essenziale del
63 Paradigmatica è la Tavola 5.3 – indicata come la «magna charta della successione te-
stamentaria» da P.VOCI, Diritto ereditario romano, I, Introduzione. Parte generale, Milano, 1967, p. 11 – che riporta le icastiche parole “uti legassit ita ius esto”. Secondo P.ARCES, Ri-
flessioni sulla norma «uti legassit» (Tab. V.3), in Riv. dir. rom., IV, 2004, la formulazione del-
la norma “uti legassit” potrebbe indicare «l’idoneo atto mortis causa (che testamento ancora non era) con cui stabilire la sorte delle proprie sostanze per il periodo successivo alla pro- pria morte, e cioè la mancipatio familiae. Del resto, il segno “testor”, derivando pacificamen- te da “testis”, è correlato alle origini con il concetto di «rendere testimonianza»: aspetto, questo, senz’altro meno rilevante (perché afferente alla contestualità dell’atto) rispetto a quell’altro, riguardante l’essenza stessa dell’atto, tralucentesi nel “legem dicere” e, quindi, nel “legare super familia pecuniaque”».
64 Declamando pubblicamente l’esclusione nelle forme solenni di testamento pubblico “ca-
lamitis comitiis” (davanti ai comizi) o “in procinctu” della battaglia (si veda GAIO, II, 101).
65 Si vedano in proposito le osservazioni di L. GAGLIARDI, Decemviri e centumviri. Origini
e competenze, Milano, 2002, p. 200.
66 Sul punto si veda quanto lucidamente osservato da F. SCHULZ, Principi di diritto roma-
no, Firenze, 1946, p. 95.
67 In altre parole, il testatore, non poteva lasciare totalmente pretermessi i filii familias o
i filii sui (e poi gli schiavi manomessi nel testamento e istituiti eredi) pena la nullità insana- bile del testamento. Tuttavia, per evitare l’invalidità era sufficiente che questi fossero espres- samente diseredati. Si veda MARCIANO, 4 inst. in D. 5.2.2. e l. 2.18 pr. Con il diritto pretorio, tali garanzie furono estese fino a comprendere anche i figli usciti dalla potestà del pater, con la differenza che la loro preterizione aveva come conseguenza la bonorum possessio
contra tabulas e non la nullità del testamento (si veda in proposito, P.BONFANTE, Istituzioni
di diritto romano, Milano, 1932, p. 611 e F.FERRARASEN., La figura del legittimario, in Giur.
testamento era l’istituzione di un erede: «caput atque fundamentum intelli-
gitur totius testamenti heredis institutio» 68, per cui il testatore non poteva
alterare l’ordine naturale della vicenda successoria fatta salva la disereda- zione, pena la nullità del testamento.
I chiamati (sia ex testamento che ab intestato) acquistavano dunque la qualità di erede a prescindere dall’accettazione, bensì «omni modo, sive
velint sive nolint» 69, da cui la denominazione di heredes necessarii che qua-
lificava anche l’erede testamentario, utilizzando il termine “successione necessaria” non già nel senso di successione contro la volontà del testatore bensì contro la volontà del chiamato, per esprimere l’irrilevanza della sua accettazione o della sua rinunzia, secondo una prospettiva diametralmen- te opposta a quella attuale 70. La qualifica di heres necessarius caratteriz-
zava i filii sui (heredes sui et necessarii) che non erano stati espressamente diserdedati nonché gli schiavi manomessi con il testamento e istituiti ere- di (heredes necessarii).
La conformità all’officium pietatis era valutata dal tribunale centumvi- rale il quale, allorché il soggetto pretermesso esperiva l’hereditas petitio, sindacava il testamento su basi equitative, operando inizialmente un con- fronto tra le qualità personali del soggetto agente e quelle del soggetto isti- tuito erede, alla luce dei vincoli di sangue con il de cuius, delle doti morali e di qualsiasi rapporto personale di ciascuno dei due, in modo da accerta- re chi fosse maggiormente degno di succedere 71.
Il tribunale dei Centumviri era dunque chiamato ad operare una valu- tazione ex post con cui si sarebbe potuto invalidare il testamento in esito a uno scrutinio delle ragioni della diseredazione. Qualora la pretermissione fosse stata giudicata iniqua, operava una finzione giurisprudenziale volta ad invalidare il testamento «hoc colore quasi non sanae mentis fuerint» 72,
con la conseguente apertura della successione intestata e l’acquisto dell’e- redità da parte del soggetto in precedenza pretermesso 73.
68 Si veda G
AIO, Institutiones, 2.20.34.
69 Così, ancora G
AIO, Institutiones, 2.152.
70 Unica residua traccia di tale concezione si rintraccia nel nostro ordinamento con ri-
ferimento allo Stato, il quale, in mancanza di altri successibili, acquista l’eredità di dirit- to, senza bisogno di accettazione e senza poter esercitare alcuna rinunzia, ma risponden- do dei debiti ereditari e dei legati nel limite del valore dei beni acquistati ai sensi dell’art. 586 c.c.
71 Sul punto si vedano le riflessioni di L. D
ILELLA, voce «Successione necessaria (dir.
rom.)», in Enc. dir., XVIII, Milano, 1990, p. 1341.
72 Si veda G
AIO, Institutiones, 2.18. In dottrina si sottolinea come le fonti si preoccupino
di evidenziare la differenza tra follia vera e propria, che determina la nullità del testamento, e la finzione di essa, utilizzata in via strumentale per la rescissione del testamento inofficio- so. Si veda P.VOCI, Diritto ereditario romano, cit., p. 374; L.DILELLA, Querela inofficiosi te- stamenti. Contributi allo studio della successione necessaria, Napoli 1972, p. 143.
L’ampia autonomia testamentaria in capo ai patres, che consentiva loro un amplissimo controllo anche sugli individui adulti, mise a repentaglio l’istituzione familiare inducendo, in epoca di guerra civile, i figli esaspera- ti a praticare la delazione e finanche il parricidio.
L’evoluzione dei costumi, anche influenzata dai principi del cristiane- simo e dall’espansione degli orizzonti del mondo romano, indusse dunque ad attenuare la potestà del pater familias anche in materia successoria. Co- sì, negli ultimi anni della repubblica romana le remore alle diseredazioni ingiustificate, dovute in epoca arcaica al timore del giudizio della pubbli- ca opinione, vennero sempre meno, sicché si diffuse il ricorso a espedienti retorici per non disattendere il dovere sociale e morale in capo al testatore di provvedere alle esigenze dei congiunti.
La prassi della giurisdizione dei centumviri sulle cause di petizione d’eredità riconobbe così ai figli che si ritenevano discriminati la querela
inofficiosi testamenti 74 che introdusse nel sistema civilistico la c.d.
“successione necessaria materiale”, intesa come acquisto ereditario contro l’ultima volontà del de cuius («Erbfolge gegen das Testament,
oder richtiger: gegen den letzten Willen» 75) che si conseguiva su impulso
dell’interessato, realizzando così un argine all’esercizio di libertà del- l’ereditando.
Tale rimedio – diretto all’accertamento giudiziale dell’inofficiositas del- le disposizioni testamentarie e dunque a stimolare una valutazione ex post delle ragioni della diseredazione – ove accolto, non avrebbe attribuito al figlio una quota dell’asse ereditario. Avrebbe invece comportato sempli- cemente la “rescissione” 76 ipso iure del testamento – totale o parziale a se-
conda se la querela fosse stata proposta contro tutti gli eredi testamentari o solo contro alcuni – in quanto ritenuto formalmente redatto da un testa-
testamentario attraverso l’esercizio della legis actio sacramento in rem chiedendo che i cen- tumviri riconoscessero il testamento inofficiosum dunque inoperante.
74 Definita «rimedio all’abuso della libertà di testare» da P.R
ESCIGNO, L’abuso del diritto,
in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 285. Su tale istituto si veda D.DIOTTAVIO, Ricerche in tema di querela inofficiosi testamenti, vol. 1, Le origini, Napoli, 2012; A. SANGUINETTI, Dalla «quere-
la» alla «portio legitima». Aspetti della successione necessaria nell’epoca tardo imperiale e giu- stinianea, Milano, 1996, passim; L. DILELLA, voce «Successione necessaria (dir. rom.)», cit., p. 1338; ID., «Querela inofficiosi testamenti». Contributo allo studio della successione neces-
saria, Napoli, 1972; M. MARRONE, Querela inofficiosi testamenti, in Enc. dir., XIV, Torino,
1967, p. 670; ID., Sulla natura della «querela inofficiosi testamenti», in Studia et doc. hist.
iur., 1955, p. 74.
75 Così, in termini, J.C.B
LUNTSCHLI, Entwicklung der Erbfolge gegen den Willen nach rö-
mischem Recht, Bonn, 1829, p. 7. L’espressione è liberamente traducibile con “successione
contro il testamento, o più correttamente: contro le ultime volontà”.
76 Si sottolinea che la natura della querela non è univoca essendo qualificata azione di
rescissione o di risoluzione o di nullità. Si veda in proposito la sintesi di L.MENGONI, Suc-
tore in stato d’incapacità d’intendere e volere (color insaniae) 77 con la con-
seguente apertura della successione intestata a favore del querelante vitto- rioso 78.
Il congiunto avrebbe, tuttavia, ottenuto una quota di eredità solo in se- guito alla caducazione del testamento impugnato e la successiva apertura della successione intestata, unica forma di delazione a provocare l’acqui- sto della qualità di erede in capo al legittimario. La pretermissione dei fi- gli comportava quindi la totale obliterazione del testamento e la devolu- zione dell’eredità ab intestato non già nei limiti della parte per la quale il testatore aveva travalicato la quota disponibile.
La legittima – definita in epoca classica «quarta debitae (ab intestato) por-
tionis» (D. 5, 2, 8, 8; C. 3, 29, 2) e «quarta pars ab intestato successionis» (C.
3, 28, 31) e poi in epoca giustinianea come «quarta legitimae partis» (J., 2, 18, 3) – fu così prevista sotto l’impero di Domiziano alla fine del I secolo d.C., introducendo per la prima volta un limite alla libertà testamentaria, con l’obbligo di lasciare ai figli il quarto della quota intestata sub specie di pars
bonorum (sul modello della quarta Falcidia) calcolata sul solo relictum 79.
La misura della porzione spettante ai figli originava dalla progressiva riduzione della potestà di disporre del testatore ed era connotata da una funzione alimentare ed assistenziale, basandosi sull’idea morale dell’offi-
cium pietatis di modo che i prossimi congiunti del testatore «quotidianum habeant cibum» (secondo quanto poi affermato dalla novella 18, C. III, di
Giustiniano) 80: non era pertanto oggetto di un diritto soggettivo del legit-
timario. Tale portio debita, inizialmente quantificata in maniera fissa co- me la quarta parte dell’asse ereditario, fu determinata in epoca giustinia- nea sulla base del numero degli aventi diritto: se gli eredi necessari erano in numero non superiore a quattro avevano diritto ad un terzo, altrimenti ad essi spettava la metà 81.
77 Dopo il III secolo d.C. la legittimazione a proporre la querela, precedentemente ricono-
sciuta solo ai figli, si estende in assenza di discendenti agli ascendenti (qualora non avessero avuto il testatore in potestà) e – solo nel caso in cui gli eredi istituiti fossero stati persone turpi – ai fratelli e alle sorelle consanguinei (si veda ULPIANO, 14 ad ed. in D. 5.2.1. e I. 2.18.1-2).
78 In caso di accoglimento della querela cadevano anche i legati, i fedecommessi, le ma-
nomissioni, i cui beneficiari erano rimasti estranei al processo cui era convenuto solo il be- neficiario istituito erede.
79 Si veda F.VONWOESS, Das römische Erbrecht und die Erbanwärter, Berlin, 1911, pp.
200, 231, 244, citato da L.MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Succes-
sione necessaria, cit., p. 4, nota 8.
80 La legittimazione ad agire con la querela era riconosciuta a tutti i figli, anche non in
potestà, e in loro assenza i genitori e i fratelli e sorelle. Come riportato da L. DILELLA, voce
«Successione necessaria (dir. rom.)», cit., p. 1343, in caso di pluralità di legittimati si discu-
teva se il rimedio dovesse essere esercitato pro parte o se, attesa l’impossibilità della coesi- stenza di successione testamentaria e intestata, la caducazione del testamento dovesse esse- re comunque totale.
81 Nov. 18.1,2 del 537. Si vedano in proposito le osservazioni di G.A
Poiché legittimati ad esperire la querela erano – oltre agli heredes neces-
sarii pretermessi – anche coloro i quali avevano ricevuto un lascito inferio-
re al quarto dei beni, il sistema in vigore nell’età classica conduceva per- tanto ad esiti paradossali: il congiunto che aveva ricevuto dal testatore un quarto o più del suo patrimonio avrebbe dovuto accontentarsi del lascito, mentre quello che aveva ricevuto appena meno del quarto o che era stato pretermesso avrebbe potuto ottenere, a seguito del positivo esperimento della querela, non già solo quanto necessario ad integrare la lesione bensì l’intera porzione ab intestato. Inoltre, tale meccanismo comportava che anche in presenza di una minima lesione dei diritti del parente, l’erede te- stamentario veniva comunque privato dell’intero lascito, in totale spregio della volontà del de cuius.