ne in via diretta o surrogatoria
7. L’azione suppletoria del diritto romano giustinianeo
Per tutelare la legittima e al tempo stesso salvaguardare l’autonomia te- stamentaria evitando gli esiti aberranti dell’invalidità del testamento, con una costituzione di Costanzo II fu introdotta l’actio ad supplendam legiti-
mam 82, poi implementata in epoca giustinianea con l’actio ad implendam
legitimam, antesignana dell’attuale azione di riduzione ex art. 553 c.c.
In base a tale azione, il legittimario non del tutto pretermesso aveva di- ritto, non già ad impugnare il testamento, ma ad integrare la legittima con il ricorso ad un arbìtrium bòni vìri, divenendo creditore degli eredi istituiti di un importo pari al tantundem della quota di legittima, al netto di quan- to già conseguito dallo stesso legittimario. Per contro, il figlio o fratello pretermesso o leso – se in questa seconda ipotesi al contempo espressa- mente accusato di ingratitudine – avrebbe dovuto ricorrere alla querela
inofficiosi testamenti con conseguente “rescissione” del testamento e aper-
tura della successione legittima 83. Pertanto, fatta salva la tutela accordata
con l’azione suppletoria, il testatore poteva diseredare o pretermettere i legittimari a condizione che prevedesse a loro favore un minimo lascito: il bilanciamento nel diritto successorio tornava così a favorire la volontà te- stamentaria del de cuius.
ne necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma, in Riv. not., 2007, p. 806 e A.
SANGUINETTI, Dalla «querela» alla «portio legitima». Aspetti della successione necessaria nel-
l’epoca tardo imperiale e giustinianea, cit., passim.
82 Si veda rescritto del 361 d.C. conservato in C.Th. 2,19,4, su cui A. S
ANGUINETTI, Dalla
«querela» alla «portio legitima». Aspetti della successione necessaria nell’epoca tardo imperia- le e giustinianea, cit., p. 78.
83 Si veda la costituzione del 528 d.C. (in C. 3, 28, 30 pr.) e quella del 529 d.C. (in C. 3,
È utile al proposito il ricorso al seguente esempio: Tizio muore lascian- do un relictum di 100 e avendo disposto in favore dell’unico figlio Caio beni per 10, ossia meno di un quarto (ammontante a 25) della quota che avrebbe ottenuto in ipotesi di successione intestata (ossia 100). Con il ri- corso alla querela Caio avrebbe potuto conseguire – in seguito alla rescis- sione del testamento e alla conseguente apertura della successione ab inte-
stato – l’intera quota (100), invece con l’introduzione dell’actio ad supplen- dam legitimam Caio avrebbe ottenuto solo 15, pari all’integrazione neces-
saria al conseguimento della porzione legittima (15 + 10 = 25).
Pertanto, con tale rimedio suppletorio la legittima assumeva la natura non di quota di eredità ma di diritto di credito consistente in una frazione dovuta (una portio debita) del patrimonio del defunto, calcolata in rela- zione all’utile netto che gli aventi diritto avrebbero ottenuto in caso di suc- cessione intestata.
Con la rilevante novella 115 del 542 d.C., Giustiniano – oltre ad esten- dere la tutela della legittima agli ascendenti – stabilì l’indicazione tassativa dei motivi che avrebbero potuto consentire al testatore la diseredazione dei legittimari (non era dunque più necessaria la diseredazione nominatim ma era sufficiente l’indicazione esplicita della causa di diseredazione): al di fuori di tali motivi, in caso di totale pretermissione del legittimario, l’im- pugnazione del testamento poteva aver luogo mediante la querela nei limi- ti del suo diritto ab intestato, anche qualora il testatore avesse soddisfatto la legittima attraverso legati o donazioni 84.
La querela, dunque, si configurava quale mezzo di reazione unicamente alla totale pretermissione o all’ingiusta diseredazione che comportava cer- to la lesione della legittima, invece qualora il legittimario fosse stato me- ramente leso la portio legittima sarebbe stata tutelata dall’actio ad implen-
dam legitimam.
Contrariamente a quanto sostenuto da autorevole dottrina 85, la novella
115 non intese attribuire ai discendenti e ascendenti il diritto ad essere isti- tuiti eredi o a non essere ingiustamente diseredati 86, ma perseguì l’obiettivo
di porre al riparo i parenti in linea retta dall’onta della diseredazione, con- sentendo al legittimario di succedere ab intestato contro la volontà del de
cuius, allo scopo di evitare che la diseredazione fosse causa di disonore.
L’accento si spostava così dalla persona del testatore a quella dei legit- timari, considerati tali in quanto soggetti bisognosi, atteso che l’actio ad
84 Si vedano in proposito le riflessioni di P.B
ONFANTE, Istituzioni di diritto romano, cit.,
p. 615.
85 In tal senso, su tutti, si veda E.W
EISS, Institutionen des römischen Privatrechts, Basi- lea, 1949, p. 569, citato da L.MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Suc-
cessione necessaria, cit., p. 9, nota 30.
86 Utilizza tale formula negativa B.B
RUGI, Hereditatis petitio de inofficioso secondo i
implemendam legitimam era concessa non più sulla base del supposto co- lor insaniae mentis del testatore, ma della iniuria che lui avrebbe compiu-
to abbandonando i prossimi congiunti alla miseria. Pertanto, il diritto a richiedere l’integrazione della legittima si riconobbe anche contro l’espres- sa volontà del testatore, di talché il fondamento del diritto all’integrazione divenne da essere convenzionale – ossia la tutela della voluntas testantis da errori nella valutazione della legittima – ad essere legale, vale a dire la liberazione dei genitori e dei figli del testatore dall’ingiuria della preter- missione e della ingiusta diseredazione.
Si era così giunti a limitare la successione testamentaria riconoscendo, in capo ai legittimari istituiti eredi in una porzione inferiore a quella do- vuta, la possibilità di agire per il recupero del supplemento tramite un’a- zione reintegrativa con la quale avrebbero fatto valere esclusivamente un diritto di credito nei confronti degli eredi testamentari 87.
Data l’incompatibilità tra delazione legittima e testamentaria (secondo l’adagio «nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest»), l’e- rede necessario che aveva ricevuto per via testamentaria un patrimonio in- feriore a quello riservatogli dalla legge poteva non più agire chiedendo la “rescissione” del testamento e l’apertura della successione intestata, bensì ottenere quella pars bonorum utile ad integrare la quota di legittima, sen- za poter rivendicare il diritto ad una quota ereditaria 88.
Diritto alla legittima e diritto alla qualità di erede rimanevano tuttavia concettualmente distinti e in rapporto di alternatività giacché la legittima non assurgeva a quota di eredità ma si configurava come “credito verso l’eredità” 89 avente per oggetto una portio bonorum del patrimonio familia-
re, rispetto alla quale il pater familias poteva compiere atti dispositivi solo in caso di diseredazione.
Sintomatico del descritto iato tra legittima e qualità di erede era altresì la disciplina della tutela contro le donazioni lesive della legittima.
Al fine di evitare che i vincoli testamentari a salvaguardia degli eredi ne- cessari fossero elusi attraverso atti di liberalità tra vivi, Alessandro Severo all’inizio del III sec. aveva introdotto la «querela inofficiosae donationis seu
dotis» (D. 31, 87, 3 Paul. 14 resp.) che sanzionava le liberalità lesive della le-
gittima qualora tale pregiudizio risultasse già con riferimento alla consi- stenza del patrimonio al momento della donazione. Benché tale tutela fosse stata prevista «ad instar (ad exemplum) inofficiosi testamenti querelae 90», si
87 Si leggano sul punto le riflessioni di F.FERRARASEN., La figura del legittimario, cit., c.
114 e G. AMADIO, La successione necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma, cit., p. 804.
88 Si veda A.C
ICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., p. 152.
89 In proposito si veda F.FERRARASEN., La figura del legittimario, cit., c. 118. 90 Vat. Fr. 270, 271. Si veda sul punto le riflessioni di L.M
ENGONI, Successioni per causa
trattava in realtà di una domanda affine all’actio suppletoria, atteso che la donazione o la costituzione di dote inofficiosa era revocata non già fino a concorrenza del diritto ab intestato in capo al legittimario, bensì limita- tamente alla lesione della legittima.
Il concetto di legittima come credito verso l’eredità comportava che nel- l’ipotesi in cui il donatario fosse stato istituito erede testamentario dal do- nante, il legittimario, al fine di ottenere l’integrazione della legittima, avreb- be potuto agire con tale querela direttamente contro il donatario, revocan- do la donazione che, in parte qua, avesse intaccato la legittima, ma senza dover impugnare il testamento poiché l’acquisto della legittima non pre- supponeva la qualità di erede. Coerentemente, all’esito della revoca della donazione, i beni non sarebbero stati devoluti al legittimario ma acquisiti attraverso un legato ex lege.
Concludendo, è possibile osservare che l’arco evolutivo del diritto roma- no vede dunque la libertà del testatore assicurata al massimo grado nell’e- tà pre-classica, temperata nell’età classica dall’opera di mediazione nor- mativo-giurisdizionale del collegio centumvirale e infine limitata in epoca giustinianea con la previsione della pretesa del legittimario leso di esigere non già l’istituzione di erede ma il complemento della legittima quale pars
bonorum, senza prevedere un vincolo di indisponibilità di parte del patri-
monio familiare ma assicurando ai congiunti il loro sostentamento 91.