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La diversità come specificità: una nuova chiave di lettura teorico-metodologica e

3.1 LA DELIMITAZIONE SUL PIANO TEORICO DEL FENOMENO

3.1.4 La diversità come specificità: una nuova chiave di lettura teorico-metodologica e

3.1.4.1 La ricomposizione come proposta definitoria

Nonostante la famiglia, identificata all’interno del modello tradizionale, “risulta a tutt’oggi essere il valore primario per gli italiani, come per tutti gli europei (eccettuati i lituani, che la mettono allo stesso livello del valore-lavoro), in tutto l’arco di tempo per il quale possediamo delle rilevazioni statistiche (grossomodo gli ultimi tre decenni)” (Donati 2007, 23), in tutte le società occidentali nell’arco degli ultimi trent’anni, si è assistito ad un aumento delle separazioni, dei divorzi, delle forme di convivenza più disparate, ben lontane dalla piena reciprocità tra i sessi e le generazioni.

In un mondo globalizzato quale l’attuale, lo studio e il riconoscimento della relazione familiare “non può basarsi su un modello prefissato di “famiglia”, ma deve essere rilegittimato sulla base del valore aggiunto che la famiglia ha rispetto alle altre forme di vita. Il valore aggiunto è ciò che di unico, originario e insostituibile la relazione familiare crea per la persona umana e per la società più ampia (Donati 2007, 29).

Ciò nonostante all’interno dei fenomeni di pluralizzazione delle forme familiari, il tema delle famiglie ricomposte si mantiene radicato in un’area di particolare problematicità. Una recente indagine sulle rappresentazioni sociali di famiglia (Fruggeri, Mancini 2001) ha messo in evidenza infatti come, mentre si assiste ad una maggiore accettazione sociale della crescente eterogeneità delle forme familiari, delimitando un quadro molto diverso da quello emergente nelle ricerche degli anni novanta, ha confermato però che le forme familiari post-separazione, che si configurano come plurinucleari, non vengano infatti riconosciute come famiglie. Come è stato da più parti riconosciuto, “la plurinuclearità costituisce, attualmente, l’elemento più dirompete e di maggiore impatto rispetto al modello tradizionale di famiglia, l’elemento dunque più estraneo e di più difficile integrazione nelle categorie già acquisite. L’idea di plurinuclearità comporta infatti una ridefinizione degli stessi confini della famiglia che, da chiaramente tracciabili e individuabili, diventano mobili e sfumati” (Fruggeri 2005, 37).

Nella consapevolezza della complessità di questa forma familiare, le prospettive che abbiamo delineato, pur avendo il valore di aver ampliato il campo conoscitivo dell’oggetto di studio, non sono state in grado di far emergere e spiegare le sue caratteristiche peculiari, rimanendo ancorate a quell’idea di processo disfunzionale, o sostitutivo e alternativo. In realtà oggi, le famiglie ricostituite devono fare i conti con processi di tipo aggiuntivo, cumulativo ed integrativo, in cui la funzione coniugale si innesta su una già esistente funzione genitoriale e non un mero processo riparativo della separazione di coppia (Coleman e Ganong 1994).

Queste riflessioni portato a spostare il focus, anche in chiave definitoria, dalla separazione dei coniugi e dal conseguente bisogno di superarla, alla “complessa articolazione emergente tra legami biologici e legami simbolici, tra relazioni affettive ed interazioni familiari e sociali.” (Fruggeri 2005,109). La peculiarità di questa forma familiare sta negli intrecci relazionali che si creano: “mentre la relazione coniugale si può risolvere (con la vedovanza o con la separazione/divorzio), la relazione di filiazione non si risolve mai, configurando dunque una situazione in cui i figli diventano il punto di convergenza di

una molteplicità di appartenenze familiari e relazionali: la relazione con il genitore naturale, la relazione con il genitore acquisito, la relazione con i fratelli di sangue, la relazione con i fratellastri e/o figli del compagno del genitore affidatario, la relazione con i nonni paterni, materni e con la famiglia d’origine del partner del genitore naturale con cui si vive” (Di Nicola 2008, 174-175).

In questa logica, prende piede il concetto di “ricomposizione familiare” il quale, a differenza di quello di “ricostituzione”, allarga il campo di osservazione, non si ferma alla struttura, arriva ad inglobare l’intera rete in cui si articola la costellazione familiare che, a seguito della separazione e delle nuove unioni, non ha più la forma nucleare, bensì plurinucleare (Théry 2002). Definiamo perciò la famiglia ricomposta a partire dai figli e dallo spazio i cui si muovono.

In considerazione di ciò, secondo la sociologa francese Théry, il termine “famiglia ricomposta” detiene due vantaggi: “evidenzia la continuità nel tempo di una stessa struttura che cambia configurazione dove alcune relazioni vengono distrutte, altre vengono aggiunte e queste ultime vanno a ricomporre l’insieme del sistema e influiscono su tutte le relazioni precedenti. Anche la relazione che sembrava più semplice come quella genitore/figlio, viene a trasformarsi nel momento in cui si stabilisce la relazione tra genitore acquisito e figlio. Tutti dunque ricompongono qualcosa e il termine può indicare la dinamica familiare che va a modificare nel tempo tutte le relazioni” (Théry 2002, 16). In tal senso il termine “ricomposizione” appare adeguato in quanto rimanda al senso della combinazione di parti diverse in un certo ordine.

3.1.4.2. Una nuova prospettiva di analisi

Assumendo la logica della ricomposizione come chiave di lettura per guardare le complessità addizionale delle famiglie, che chiamiamo appunto, “ricomposte”, la prospettiva relazionale appare come quella che ci consente di guardare e studiare l’oggetto di studio (Donati 1991).

Questa prospettiva offre una alternativa tra coloro i quali considerano le forme familiari ricomposte come devianti rispetto ad un modello standard, e coloro invece che interpretano la famiglia come un aggregato di individui che spinti da qualcosa che viene chiamato “amore” convivono senza che vi siano dei precisi requisiti relativi alla qualità delle persone e delle loro relazioni. L’assunto di base è quello di partire dall’idea della famiglia

come “forma specifica sui generis” (Donati 1998) che ha una natura proteiforme, dinamica, sia sotto l’aspetto strutturale che relazionale (Di Nicola 1993).

In questo modo, non si nega la possibilità che vi siano delle difficoltà nelle famiglie ricomposte né si preclude la possibilità di compiere comparazioni con le altre forme familiari, ma si guarda ad entrambe le dimensioni positive e negative della vita nelle famiglie ricomposte. Quest’ultime sono concettualizzate come forme familiari legittime seppur con numerose variazioni che ne costituiscono la peculiarità, tutte degne di considerazione e di analisi.

Di fatto, il focus d’attenzione principale non è sui problemi, né sull’evidenziare come le famiglie ricomposte e i suoi membri si riorganizzano rispetto agli standard della famiglia nucleare, ma sulle relazioni al fine di capire come i componenti si aggiungono gli uni agli altri, quali processi di negoziazione vengono compiuti ai vari livelli.

Quindi si parla in termini di “rete” e non semplicemente di struttura. L’attenzione quindi non riguarda solo il funzionamento della famiglia tra i membri che vivono sotto lo stesso tetto, ma anche la relazione tra i diversi nuclei familiari che compongono la costellazione familiare ricomposta. Le relazioni all’interno di ciascun nucleo vengono anzi percepite come ampiamente dipendenti dalla qualità delle relazioni nella costellazione e a loro volta responsabili del buon funzionamento.

La considerazione di questa complessità degli intrecci relazionali comporta la necessità di uscire da una consuetudine fondata su una visione statica, fotografica e strutturalista di famiglia, sostituendola con una visione dinamica, processuale, che muta nel tempo.