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Nuove prospettive: dialogo tra Realismo Critico e Sociologia Relazionale

1.2 L’OGGETTO DI STUDIO “FAMIGLIA”: SEMANTICHE A CONFRONTO

1.2.3 Nuove prospettive: dialogo tra Realismo Critico e Sociologia Relazionale

Qualora ci si fermi ad un primo sguardo, la teoria della conflazione centrale potrebbe rappresentare una possibile via d’uscita alla difficoltà di comprendere la famiglia entro le logiche antinomiche individualistiche e oliste che trovano fondamento nella circolarità che lega la persona umana alla società: la persona, infatti, è sia il generato sia il generante, sia il figlio sia il genitore della società. Diversamente dal pensiero classico che nega questo paradosso della persona che è generato da e insieme genera le forme sociali, la modernità lo ha accettato e lo ha alimentato, all’interno di una logica intrinsecamente squilibrata che vede solo una oversocialisation o una undersocialisation, che è a fondamento della distinzione asimmetrica fra homo sociologicus (ipersocializzato) e homo oeconomicus (iposocializzato) (Archer, 1997).

Nella seconda metà del Novecento dominava un discorso sulla famiglia che la concepiva come il prodotto essenzialmente di fattori esterni, che continuamente rimandava fuori di sé, all’analisi delle strutture sociali, dei rapporti e dei modi di produzione, delle condizioni di vita che essi determinano e dei modelli culturali e di valore che su di essi vengono elaborati. Com’è stato evidenziato nel paragrafo precedente, la logica della conflazione centrale, secondo cui agency e struttura si co-determinano perché sono “fatti l’una dall’altro”, si fonda su una loro interazione “orizzontale” nel tempo ove gli elementi oggettivi e soggettivi si mescolano e si fondano (non c’è una sequenza temporale che permetta di distinguere gli apporti causali dell’uno o dell’altro termine) (Archer, 2006).

La studiosa Archer (Archer 2006), in sintonia con il pensiero di Donati (Donati 2006) critica le teorie sociologiche basate sulle tre semantiche della conflazione dall’alto (olismo), della conflazione dal basso (individualismo) e della conflazione centrale, in quanto esse non riescono a cogliere il nodo centrale, ossia che i fatti sociali, e pertanto anche la famiglia, sono di natura relazionale (Prandini 2006). Il fatto sociale non è né un fatto naturalistico (che si riferisca ad entità indipendenti dalla volontà e dalla soggettività), né una pura convenzione o invenzione ideativi. E’, invece, una realtà culturale, che deve fare i conti con gli ordini di realtà, da quella biologica a quella psichica a quella trascendentale ovvero religiosa. Proprio negli interscambi e sui confini con queste realtà, essa incontra alcuni dei suoi problemi più significativi, mentre altri li genera al proprio interno. Secondo il realismo critico di Archer (1997) e la sociologia relazionale di Donati (1991), per vedere la famiglia bisogna vedere le sue relazioni sociali, mentre gran parte delle scienze sociali vedono solo individui e “cose” (oggetti e strutture materializzate). Pertanto non basta conoscere la struttura sociale esistente (che condiziona l’azione con regole, istituzioni, vincoli) e l’agire umano (i comportamenti in atto dai soggetti-agenti): occorre conoscere ciò che intreccia struttura e azione sociale, ciò che si attua come loro interazione e prodotto di tale interazione.

Per Archer (2006), “strutture e agency, sono ontologicamente separabili: sono due poteri distinti. Struttura e azione si influenzano attraverso ciò che viene modificato dentro di esse tramite le relazioni che hanno fra di loro, struttura e agire non sono intrecciati (intertwined) in modo inestricabile, così come sostengono Giddens (1999) e coloro che esprimono una teoria della conflazione centrale, ma giocano fra loro (interplay), nel senso che esercitano un’azione libera reciproca” (Archer 2006, 23). Seguendo sempre la Archer, “l’agire (che richiede intelligenza, deliberazione, riflessività, interessi ultimi) e la struttura socio-culturale sono due ordini di realtà, di proprietà e di poteri, che hanno un nesso: questo nesso è la nostra conversazione interiore, che non ha una natura psicologica, ma relazionale. E tale relazione si chiama riflessività e si caratterizza per un potere emergente degli individui” (Archer 2006, 23).

Proprio queste caratteristiche portano sia il realismo critico che la sociologia relazionale a criticare le teorie correnti, le quali restando legate alle categorie moderne, non vedono i fenomeni emergenti e, come effetto di ciò, non colgono la morfogenesi delle relazioni sociali. La famiglia ne rappresenta un esempio concreto. Essa non è più la

struttura determinata della sociologia classica14, ove si va alla ricerca di una forma ottimale per la sopravvivenza della società, e si suppone che questa abbia strutture e funzioni ben definite. Ma nemmeno una forma necessariamente “im-perfetta” (non perfetta in quanto priva di perfezione, e in tal senso sub-ottimale) che è soggetta alla indeterminazione nelle relazioni tra i sessi e le generazioni, come previsto invece nelle sociologie post-moderne15.

Secondo le prospettive del realismo critico e della sociologia relazionale, le sociologie trans o dopo-moderne debbono trovare una nuova identità di sé stesse e della società senza poter contare né sulle categorie classiche né su quelle post-moderne, ovvero non seguendo più una logica dominante, ma una logica plurale. L’identità “deve essere relazionale: A=r (A, non-A)16, cioè si costituisce come relazione fra il sé e l’altro, laddove tale relazione può essere per separazione, scambio (reciprocità), combinazione (complementarietà), fusione o altro”( Donati 2004, 23).

In quest’ottica la famiglia è pensata in senso “relazionale”: una forma che consente diverse strutturazioni positive della reciprocità fra sessi e fra generazioni, attraverso processi di morfogenesi che valorizzano le dimensioni costitutive delle relazioni di gender e di generazione. La famiglia è quindi “relazione sociale e, in quanto tale, diventa necessaria per l’identità personale e sociale, il necessario punto di passaggio dalla natura alla cultura. […] In altri termini la famiglia esprime una realtà relazionale sovra-individuale e sovra- funzionale” (Donati 2006, 20).

Per entrambi gli approcci, sono centrali i processi di morfostasi/morfogenesi delle relazioni, e non solo delle strutture, della cultura e della agency. La morfogenesi delle relazioni non è vista come la morfogenesi dei suoi elementi, ma avviene in base alle possibilità di differenziazione delle relazioni sociali considerate in sé stesse, quali fenomeni

14Secondo le sociologie moderne (classiche), il mondo sociale è un insieme di strutture sociali determinate e

differenziatesi in competizione fra loro (per il successo evolutivo). La rappresentazione della società è guidata da una logica di tipo analogico e il suo codice simbolico è largamente basato sul principio di identità A=A. Il punto di d’arrivo di questa teorizzazione è certamente Parsons con la sua teoria struttural-funzionalista, basata sulle pattern variables e lo schema AGIL, che rappresentano una grande raffigurazione di questo modo d’intendere la società, quale organismo socio-culturale avente una struttura latente che consente si selezionare le capacità di differenziazione per accrescere le proprie chance di competizione (Donati 2004, 7-47).

15Le sociologie post moderne presentano una rappresentazione del mondo sociale come di un solo sistema

sociale in continua espansione infinitamente “possibile altrimenti”. Gli schematismi sono quelli del sistema/ambiente e delle cibernetiche di secondo ordine. L’evoluzione sociale non è orientata finalisticamente, non deve ottimizzare, per certi versi gira a vuoto, è causale e contingente nelle sue direzioni e arrangiamenti. Queste sociologie pongono fine all’idea del “continuo progresso” della società che aveva dominato la prima modernità. Il codice simbolico di riferimento è dato da [A=non (nonA)], ove l’identità di qualsivoglia ente si costituisce come la negazione di tutto ciò che è altro da sé. Pertanto il sociale è tutto ciò che si costituisce negando ciò che non è sociale,. ricorrono alla logica della negazione (Donati 2004, 7-47).

16 Secondo la sociologia trans e dopo-moderna, ogni attore (A), sia esso individuale o collettivo, si costituisce

emergenti da una proprietà logica distintiva. In questo senso per comprendere i dinamismi della famiglia è necessario adottare una prospettiva morfogenetica, cioè di comprensione e spiegazione di come si generano le forme sociali. La morfogenesi della famiglia è data dal prodotto di processi sociali che, in momenti successivi nel tempo, conducono da certe culture/strutture date in un tempo T1, attraverso le interazioni fra attori in un tempo T2, ad altre culture/strutture familiari in un tempo T3 (Archer 1997).

La famiglia, come la società, si comporta secondo il codice A=r (A, non-A) (Donati, 2004, 23). Ogni famiglia è una pluralità indefinita di sistemi (mondi) sociali “possibili relazionalmente”, se e in quanto realizzano la distinzione-guida che è propria della famiglia concepita e vissuta come relazione sui generis. La sociologia transmoderna concepisce l’umano come relazionale, è nella relazione, laddove la relazione è terreno d’incontro fra ciò che nell’essere umano vi è di pre e di meta sociale (Archer 2006).

Rispetto a ciò, la Archer enfatizza il fatto che la riflessività umana abbia un ruolo autonomo (benché variabile) perché nasce in modo pre-sociale ed eccede il sociale. In tal senso ha una posizione privilegiata rispetto ai fattori strutturali, ossia viene meno esplorata la questione di come le strutture sociali incidono sulla conversazione interiore (ad esempio come le reti strutturali di relazioni in cui la persona è inserita, familiari, amicali, di lavoro, influenzano la riflessività della coscienza).

Questo aspetto rappresenta un punto di divergenza o meglio di distanziamento tra il pensiero archeriano e la sociologia relazionale di Donati. Secondo quest’ultimo, la riflessività interna della persona umana necessita di essere messa in connessione con le proprietà e i poteri delle reti sociali, nel senso che queste ultime possono influire sui modi di riflessività interiore in maniera più potente di quanto Archer sia forse disposta ad ammettere, specie laddove tali reti abbiano una sorta di riflessività interna (come le elaborazioni simboliche “gruppali” delle reti familiari, dei clan, del “branco” fra i ragazzi). Anche se la Archer tende a dare rilievo alla capacità riflessiva delle persone, in realtà ciò può essere collegato alla necessità di porre al centro l’argomentazione secondo cui la coscienza deve essere intesa come fatto emergente nella persona, laddove l’emergenza implica la sua non-rinunciabilità agli elementi che la generano. Il suo realismo critico consente di dare spazio, di pensare e promuovere la capacità delle persone di forgiare una società sempre nuova e quindi possibilmente anche più umana, dopo che la modernità è finita nelle sacche dell’anti-umanesimo.

Nonostante prevalga oggi una società che enfatizza il decentramento, la destrutturazione del soggetto, la perdita e rimozione dei legami sociali, o forse la loro trasformazione in “legami allentati” facilmente scioglibili non appena lo scenario viene a mutare e, come afferma Bauman (Bauman 2003, V), nell’epoca liquido moderna quale quella attuale, ciò accadrà di certo, la Archer da valore alle capacità potenziali delle persone per elaborare nuove identità personali e sociali a partire dalle loro esperienze pratiche.

Sia Donati che la Archer evidenziano come si debba “salvare” la singolarità di ogni persona umana, la sua dignità e irripetibilità, ma allo stesso tempo incorporare questa singolarità nella realtà sociale. Ciò conferma come, a partire dalla fine degli anni Ottanta, la teoria sociologica abbia dovuto prendere atto di una serie di fatti empirici nuovi: nei contesti più modernizzati la famiglia si è certo frammentata, e spesso sbriciolata, ma che ciò è avvenuto senza rispecchiare dei determinismi di tipo marxista o struttural-funzionalista. Pertanto, per capire che cosa c’è di sociale nella famiglia, come essa si modifichi, dove la famiglia “stia andando”, si rende necessaria una teoria sociologica in grado di reinterpretare la famiglia come “relazionamento di relazioni complesse” (Donati 1998, 92).

In questa direzione la svolta relazionale che, nelle scienze sociali, ha i suoi prodromi nei primi decenni del Novecento, ma che solo negli anni Ottanta è pervenuta a una certa maturazione17, sembra offrire un punto di vista massimamente comprendente “di un fatto sociale quale la famiglia in quanto relazione sociale che è fatta di riferimenti simbolici e di legami strutturali i quali danno vita a un fenomeno emergente avente proprietà distinte” (Donati 1998, 93).

Come si vedrà di seguito, Donati sviluppa sistematicamente nei suoi scritti una visione della famiglia come fenomeno sociale specifico e mostra come le relazioni di cui è costituita (relazioni di coppia e relazioni di filiazione) si trasformino in rapporto alle diverse condizioni societarie senza perdere la loro specificità.