• Non ci sono risultati.

La riunione di Villorba, segna l’apogeo del progetto di cooperativa, il suo culmine, ma anche il punto d’inizio del suo declino. Inspiegabilmente infatti, da quel momento l’iniziativa è andata disperdendosi. La domenica successiva avrebbe dovuto esserci un incontro con il gruppo delle donne promotrici, che è stato rinviato perché io stavo male e da allora, le cinque donne promotrici, tutte assieme, non le ho più riviste. Mokarrom non ha più prodotto il Business Plan sull’attività della cooperativa ed all’interno dell’associazione BASCO si sono sviluppati dei conflitti intestini che ne hanno quasi minato l’esistenza. Che tutto questo sia accaduto contemporaneamente alla possibilità di iniziare un’attività produttiva femminile, ci indica come il tema fosse scottante per i membri dell’associazione, per la comunità intera.

La persona di Mokarrom, promotore dell’iniziativa e che in qualche modo avrebbe dovuto gestirla amministrativamente, sembra diventare il punto focale di questi conflitti. Le tensioni che da tempo covavano all’interno della BASCO, legate ai conflitti tra i gruppi che si formano su base locale (vedremo più avanti l’importanza di queste aggregazioni basate su “lealtà primordiali” nella cultura bangladese), esplodono. I membri che provengono dalla zona di Narayanganj, una forte componente della comunità locale e dell’associazione, criticano fortemente Mokarrom per la sua gestione dell’attività associativa. Alla base di queste critiche c’è anche la sua sponsorizzazione del progetto di cooperativa ed anche la mia partecipazione ad esso. Sembra che alcuni membri lo accusino addirittura di prendere dei soldi da me, che vengo scambiato per un funzionario di qualche struttura regionale e di tenerseli tutti per sé. Se il progetto di cooperativa era inizialmente un desiderio comune di donne ed uomini e come vedremo più avanti, nel capitolo conclusivo, una rappresentazione simbolica comune di un tipo di lavoro desiderato, sognato, ad un certo punto un gruppo sostanziale di uomini abbandona il progetto, che le donne da sole non hanno la forza di portare avanti. La mancata redazione del Business Plan diventa l’evidenza simbolica di questa impossibilità di procedere, un atto

55

mancato e del conflitto di genere che è nato all’interno dell’associazione, in stretta interazione con il conflitto istituzionale sulla gestione delle attività associative. Ma in ogni caso la gestione di queste attività è una questione da uomini, un’attività esterna alla casa, appartenente all’ambito di competenza maschile, quasi a rimarcare un ritorno anche della produzione simbolica all’interno degli schemi tradizionali della divisione dei ruoli di genere. Da allora il rapporto con Mokarrom e con l’associazione BASCO va avanti in modo discontinuo, senza finalità ed indirizzo precisi. Ho iniziato in quel momento a fare delle interviste, ma la cosa si è trascinata lentamente e dopo un anno, sono riuscito a fare solo 10 interviste. Con Mokarrom, decidiamo allora di passare ad una fase di intensificazione di questa attività, ma la comunità pone il veto : i soci dell’associazione fanno sapere a Mokarrom che non considerano corretto che una persona esterna alla comunità intervisti loro e le donne.

Come vedremo più avanti, questo mi ha poi spinto a modificare il mio progetto di lavoro : ormai assodato che la cooperativa non si sarebbe più fatta, pensavo di indagare le motivazioni di questa impossibilità a procedere, di questo rifiuto, attraverso delle interviste non strutturate, che potessero in qualche modo orientare la ricerca sull’analisi delle cause che avevano portato a questo risultato negativo. A questo punto, l’unica alternativa praticabile, se non si poteva ascoltare la voce delle persone interessate, era quella di sviluppare una ricerca di tipo antropologico e sociale sulla condizione della donna nel Bangladesh, sul suo ruolo nel mondo del lavoro, sui rapporti di genere in Bangladesh, basandomi su ricerche di più ampio respiro svolte da altri. Questo avrebbe dovuto permettere di individuare degli schemi interpretativi con l’ausilio dei quali, leggere ed interpretare le interviste a disposizione e il corso degli avvenimenti ai quali avevo assistito. Utilizzando la terminologia di Bourdieu, si trattava di indagare l’habitus femminile nella cultura bengalese e bangladese, anche se forse l’utilizzo di questo termine può apparire improprio : per Bourdieu, l’habitus ha una connotazione di classe, si sviluppa all’interno di una dialettica sociale nella quale le classi sociali perpetuano sé stesse, si creano e si ricreano ricostituendo i loro habitus, i loro schemi comportamentali “inconsci”. In questo caso invece l’analisi si limita apparentemente ad un genere, quello femminile, che attraversa trasversalmente tutte le classi sociali della società bangladese. Ma se la condizione di genere conserva delle invarianti, che la caratterizzano al di là della classe di appartenenza delle singole donne, proprio queste invarianze sono caratteristiche della produzione di un habitus particolare, quello di genere, che si coniuga poi in modo diverso a seconda delle classi sociali di appartenenza. Il concetto di habitus è utile anche perché ci permette di uscire da una visione strettamente oggettivistica , per ritrovare un orizzonte

56

soggettivo all’azione umana : se le classi sociali, gli habitus si creano e si ricreano nella dialettica sociale, ciò avviene perché le azioni dei singoli debordano e rientrano, in opposizione dialettica tra questi due momenti, negli schemi soggiacenti agli habitus. Non siamo così condizionati dalla nostra cultura da agire come degli automi programmati interamente dalle norme sociali e culturali interiorizzate, attraverso l’azione, che si sviluppa nel continuo mutamento sociale, trascendiamo la situazione data e la superiamo, colorando i nostri habitus di tonalità individuali, pur rimanendo all’interno di schemi in qualche modo prefissati, pur non cambiando del tutto il nostro colore.

Qui il processo di modificazione e di conservazione dell’habitus ricorda quanto abbiamo affermato a proposito dei presupposti teorici della nostra ricerca : analizzare come una cultura viva all’interno della dialettica tra conservazione e mutamento, specialmente in un ambito migratorio, dove le condizioni esterne sono particolarmente minacciose. In termini sartriani, utilizzeremo ilo metodo regressivo-progressivo, che consiste nell’esaminare le condizioni dell’oggettivazione dell’esistenza, dell’esperienza (è l’aspetto regressivo del metodo e qui si materializza nell’analisi delle condizioni di partenza della cultura, nel suo background d’origine), per verificare se queste possono essere superate, attraverso una totalizzazione soggettiva e portare a nuove forme di prassi (questo invece è l’aspetto progressivo del metodo e qui si materializza nella verifica dei cambiamenti nella prassi degli immigrati, nell’accettazione o meno di una strutturazione diversa dei ruoli di genere all’interno della cultura), quindi ad una nuova oggettivazione dell’esperienza, ma ad un livello superiore, che implica un aumentato grado di libertà della prassi individuale e di gruppo. In questa visione, la serie di totalizzazioni soggettive ed oggettivanti è teoricamente infinita, ma in realtà le totalizzazioni sia soggettive che oggettivanti, sono limitate dalla qualità della prassi esistente. Oppure, possono essere teoricamente infinite le totalizzazioni soggettive, ma solo alcune di esse, possono oggettivarsi in un nuovo livello di oggettivazione, che è determinato, nel modello sartriano, dal modo di produzione e dallo sviluppo delle forze produttive. In questo caso, un’ulteriore variabile “indipendente” è costituita dalla specificità della cultura esaminata. Di per sé lo schema sartriano non è “culture-free”, ma nasce all’interno della cultura individualistica occidentale ed ha dei limiti ad adattarsi ad una cultura con modelli di costruzione interdipendente del sé, sebbene l’imperativo “sociale” dell’impostazione sartriana ed il suo prendere in considerazione l’oggettivazione come caratteristica di classe, possano in qualche modo sopperire a questo vizio originario. Nelle scienze sociali assistiamo ad un progressivo sviluppo delle metodologie soggettive e qualitative, all’interno delle quali l’esperienza individuale, soggettiva, viene validata dal modello interpretativo utilizzato. In parte è anche questo il

57

nostro approccio, ma abbiamo visto anche come in parte il nostro soggetto (le donne della comunità bangladese), sia muto, non parli o non possa parlare liberamente. Come verificare allora la validità di quanto raccolto ?

Se l’esito della ricerca sociale è essenzialmente una lettura, un’interpretazione del mondo attraverso degli schemi che riflettono la nostra visione del mondo e le ideologie che la informano, quanto sarà vera un’indagine di questo tipo ? Se inizialmente la verifica della validità della ricerca sarebbe stata basata sull’estensione del campione di donne intervistate e quindi su un supporto di tipo quantitativo-matematico, venendo a mancare questo criterio di valutazione della validità, come possiamo procedere ? L’impostazione regressiva-progressiva ci permette in parte di superare questo ostacolo, permettendoci di delineare un contesto storico-sociale, un oggetto di ricerca, dal quale desumere degli schemi interpretativi da verificare nell’analisi interpretativa delle interviste. In questo caso la validità epistemologica dell’analisi non è più ricavabile dal dato numerico, matematico, ma nemmeno solo dal criterio interpretativo di tipo ermeneutico. In qualche modo viene definito un oggetto, un campo di validità epistemologica, la cui esistenza è di solo tipo logico, nel senso che risiede all’interno delle definizioni di questo campo dell’oggetto, ma che finché rimane all’interno di questo campo, può permettere delle interpretazioni che verranno validate dalla loro verifica empirica, dalla loro possibilità di aprire dei nuovi criteri di lettura del fenomeno indagato. Una simile procedura epistemologica veniva descritta anche da Althusser e Balibar in “Leggere il Capitale”, nel quale la validità dell’analisi marxiana del modo di produzione capitalistico veniva verificata dalla possibilità di costituire un campo di analisi, un oggetto di analisi all’interno del quale si formavano e potevano essere compresi concetti quali il modo di produzione, i rapporti di produzione, le forze produttive e così via.

Ritornando agli eventi reali attinenti al progetto di cooperativa, quando questo appare di fatto irrealizzabile, Mokarrom non si dà comunque per vinto. Poiché è sfumato il progetto di imprenditoria collettiva, nel corso del 2005 egli cerca di realizzare dei progetti individuali : ottiene l’iscrizione al REC, il Registro degli Esercenti del Commercio, per poter iniziare assieme al fratello più giovane un’attività di ristorazione ambulante, da svolgere durante i week-end, quando è libero dal suo lavoro dipendente. Inoltre, cerca delle aziende italiane che possano avere un interesse ad importare dei tessuti semi-lavorati dal Bangladesh, per completarne qui la lavorazione. E’ una delle ipotesi di lavoro della cooperativa, che a questo punto Mokarrom decide di sviluppare individualmente. Nel frattempo, la sua leadership è messa sotto accusa all’interno della BASCO, specialmente dai membri provenienti dalla zona di Narayanganj. Nel corso dell’anno sia la BASCO che la BATI,

58

l’altra principale associazione bangladese, saranno interessate a delle defezioni originate da motivazioni di tipo localistico, portate avanti da membri provenienti dalle zone di Narayanganj e Tangail, due città della Dhaka Division, la regione di Dhaka. La crisi della BASCO durerà fino al 27/03/2005, quando presso la sede dell’Istituto Comprensivo di Pieve di Soligo, verrà celebrata la Festa dell’Indipendenza del Bangladesh, alla presenza di un Consigliere dell’Ambasciata del Bangladesh in Italia. Alla presenza del Vice-sindaco di Pieve di Soligo, di rappresentanti sindacali e della stampa locale, il Consigliere richiama i membri dell’associazione all’unità ed a cercare di sviluppare i progetti della stessa, sancendo in questo modo la leadership di Mokarrom. Questo richiamo all’unità ed alla riconferma della leadership esistente, viene rinforzato dall’elevato numero di pratiche burocratiche ed amministrative (rinnovo passaporti ed altre), che grazie al lavoro preparatorio di Mokarrom, l’Ambasciata di Roma ha portato a compimento.

Successivamente Mokarrom tira fuori un altro asso dalla manica : per finanziare l’attività iniziale della cooperativa, che a suo dire necessita di almeno 50.000 euro, progetta di pubblicare una guida del Bangladesh, che dovrebbe servire agli italiani per conoscere il loro paese, anche in vista di investimenti produttivi in quel paese ed ai bangladesi, come souvenir della loro patria lontana. Pensa di stamparne circa 10.000 copie, da vendere a 5 o 10 euro, andando porta a porta nei paesi della zona. Inizialmente sono diffidente, mi sembra una delle mille iniziative che la mente vulcanica di Mokarrom partorisce in continuazione, ma poi penso che effettivamente non esistono molte pubblicazioni sul Bangladesh e che forse avviare questa iniziativa potrebbe servire a far ripartire il progetto di cooperativa. Accetto quindi di collaborare. Io dovrei occuparmi della traduzione in italiano del testo, che sarà in tre lingue : inglese, italiano e bengali. La guida dovrebbe essere pubblicata in occasione della ricorrenza del Victory Day, il giorno della vittoria dei partigiani bangladesi sulle truppe di occupazione del Bangladesh, il 16 dicembre. Per far fronte alle spese di pubblicazione, Mokarrom pensa di chiedere dei contributi a delle aziende e banche locali, che in cambio avranno un’inserzione pubblicitaria nella guida. Ci incontriamo alcune volte anche con altri membri del Consiglio Direttivo della BASCO, ma il progetto muore da solo, si rivela velleitario e non perseguibile. Con Mokarrom mi sento periodicamente, si è creato tra noi un rapporto personale, ma con la fine del progetto, finisce anche la nostra collaborazione. Mi chiede in alcune occasioni di stendere delle richieste di sovvenzione rivolte alla Regione Veneto per le attività dell’Associazione, oppure di aiutarlo negli adempimenti burocratici della sua attività di ristorazione ambulante, ma niente di più.

59

L’ultimo incontro ufficiale con l’Associazione BASCO avviene di domenica, il 09/10/2005, a Pieve di Soligo. Mokarrom è assente, perché impegnato col fratello nella sua attività lavorativa ambulante. Io mi ritrovo con un gruppo di uomini dell’associazione, tra i quali c’è Hossain Alamgir, uno dei Co-segretari. Chiedo loro di sapermi dire una volta per tutte se il progetto di cooperativa sia da considerarsi definitivamente chiuso o se invece ci siano ancora delle possibilità di farlo ripartire. Chiedo loro se sia possibile anche riprendere a fare delle interviste, ma ciò viene da loro subordinato all’esito di un loro incontro con le donne, per verificare se queste hanno intenzione di continuare o meno il progetto di cooperativa. Affrontiamo anche un altro argomento legato al progetto : il tipo di lavoro che la cooperativa può svolgere e ne è risulta che loro trovano difficile iniziare un’attività lavorativa nel settore tessile, mentre pensano che forse si può fare qualcosa nel settore delle pulizie di uffici ed edifici in generale. Spiego loro che anche in questo caso ci sarebbero delle spese : sarebbe necessario un furgone, le donne dovrebbero acquisire la patente di guida, dovrebbero acquistare delle attrezzature e dei materiali per il lavoro, contattare le ditte, ecc. Mi rispondono che nel giro di 15 giorni mi sapranno dire cosa avranno risposto le donne ed in ogni caso organizzeranno un incontro con loro, in modo da chiudere definitivamente il progetto o da iniziarlo con altre finalità.

Da allora non ho più saputo nulla di loro. Ho continuato ad incontrare saltuariamente Mokarrom, che tra l’altro mi ha detto di non sapere nulla di questo tipo di proposta dei suoi colleghi dell’associazione. Un po’ alla volta anche Mokarrom si è allontanato dall’Associazione, ne rimane formalmente il Presidente, ma non partecipa più attivamente alle sue attività come un tempo. Si è trasferito da Follina a Conegliano e quindi frequenta meno assiduamente gli altri connazionali del Quartier del Piave.

60