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stato reso necessario anche dall’estrema differenziazione della popolazione immigrata in provincia di Treviso : decine di nazionalità e culture sulla totalità delle quali è difficile fare delle considerazioni di valore generale. L’occasione pratica del cambiamento di prospettiva è nata sia dalla discussione col relatore della tesi nella fase organizzativa del lavoro, sia dagli incontri istituzionali nel territorio. Nel corso di un incontro con un’insegnante che operava in una rete territoriale finalizzata all’inserimento scolastico dei giovani immigrati, ho scoperto l’esistenza nella zona del Quartier del Piave, di una nutrita comunità di immigrati provenienti dal Bangladesh. L’insegnante era in contatto con la comunità perché un buon numero di bambini bangladesi frequentava le scuole elementari della zona e mi ha indicato le persone da contattare.

La professoressa Marchi mi mette in contatto con il Vice-Sindaco di Pieve di Soligo, il dr. Luca Mazzero, che mi fornisce il recapito telefonico dei presidenti di due Associazioni bangladesi : la BASCO, presieduta da Hossain Mokarrom e la BATI, presieduta da Abdul Rahman. Riesco a prendere contatto col signor Hossain Mokarrom.

4.2) – IL PRIMO INCONTRO CON HOSSAIN MOKARROM.

L’appuntamento con Hossain Mokarrom è per il giorno 24 agosto del 2004, a casa sua, a Follina. L’accoglienza è gentile e mi chiede di spiegargli come sono arrivato fino a lui. Dopo questi primi convenevoli, mi spiega perché molti bangladesi arrivano in Italia : la situazione generale nel Bangladesh è molto difficile, c’è una pesante situazione economica ed anche una lotta politica dai toni estremamente estremizzati, sfociata in un attentato a Dhaka, la capitale del paese, che ha causato la morte di 19 persone.

Mi dice che i bangladesi presenti nella zona del Quartier del Piave, tra Pieve di Soligo, Follina ed i Comuni limitrofi, sono circa 700-900, con almeno 500 uomini che lavorano. Dice che la zona è buona per gli immigrati, perché la polizia non ha mai ecceduto in controlli e quindi anche chi arrivava clandestinamente, poteva poi approfittare delle sanatorie governative per regolarizzarsi. In altre zone d’Italia o nelle grandi città invece, non è così e la Polizia fa più controlli. E’ laureato, ha conseguito un Master in Economia presso l’Università di Dhaka, titolo che è riconosciuto negli USA e nel Regno Unito, ma non qui in Italia. Ora, lavora come operaio all’Electrolux di Susegana, un’industria multinazionale di elettrodomestici (ex Zanussi - Zoppas), dove è anche delegato sindacale della CISL. Gli racconto della mia conversazione telefonica col dottor Mazzero, il vice-sindaco di Pieve di Soligo e mi dice che i rapporti col Comune di Pieve di Soligo sono buoni, sebbene lui ed altri membri della comunità bangladese si aspetterebbero qualcosa di più. Gli spiego brevemente che tipo di aiuto vorrei ottenere da lui e dagli altri associati

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alla sua Associazione : poter svolgere un lavoro di indagine su una numerosa comunità di immigrati, in modo da poter esaminare alcune fasi del suo processo di adattamento/insediamento.

Vorrei esaminare principalmente due processi :

1) - la conservazione della cultura tradizionale, le strategie adottate per conservare la propria identità in una situazione di migrazione, verificando le ipotesi di Leach e Gluckman, secondo i quali una cultura corre sempre il rischio di dissolversi, nonostante la sua apparente invincibilità e la vera lotta da compiersi è quella per la sua riproduzione, per la sua perpetuazione;

2) - l’integrazione con la cultura ospitante avviene attraverso l’esplorazione di una zona di confine, che non appartiene a nessuna delle due culture ed è il luogo dove possono avvenire gli scambi culturali, le integrazioni e le contaminazioni.

Gli spiego che per svolgere questo lavoro d’indagine dovrò fare delle interviste a dei membri della sua associazione, ma che concorderò con lui quali argomenti trattare nel corso delle interviste. Lui non sembra avere tutte queste remore e mi dice che dopo che avrà parlato con i suoi connazionali, potrò cominciare a fare le mie interviste, anche a delle donne. Passa poi ad espormi quelli che ritiene siano i quattro principali problemi della sua comunità, secondo gli appartenenti alla sua associazione.

Il primo problema è quello della trasmissione della lingua Bengali. I bambini l’imparano e la parlano in casa, ma hanno bisogno di apprenderne anche la scrittura, che usa un alfabeto diverso da quello latino e simile invece a quello utilizzato da altre lingue del subcontinente indiano, quali l’Hindi o il Punjabi, ad esempio.

A questo proposito, l’associazione BASCO vorrebbe che a scuola fossero disponibili almeno 1 o 2 ore alla settimana, dedicate a questa attività di apprendimento. Hanno chiesto alle scuole locali di poter usufruire di questo servizio didattico, ma finora la risposta è sempre stata negativa. Vorrebbero chiedere al Comune la disponibilità di un locale per lo svolgimento di questa attività. Mi fa anche capire che vorrebbero che il Comune si accollasse questa spesa, perché afferma che i lavoratori bangladesi versano già le tasse che vengono detratte dalle loro buste paga e che quindi un ritorno, un piccolo fiscal drag, potrebbe essere fatto. Gli rispondo che sarebbe opportuno inviare una richiesta scritta al Comune, magari chiedendo l’utilizzo di un locale scolastico il sabato o la domenica, in modo che il suo utilizzo non interferisca con le normali attività didattiche. Mokarrom aggiunge che da parte loro sono disponibili a fornire gli insegnanti.

Il secondo problema che si trovano ad affrontare è quello della condizione lavorativa delle donne della comunità, che nella quasi totalità, sono casalinghe. Mi dice che lui ed i suoi

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connazionali, vorrebbero che le donne potessero lavorare, ma si rendono conto che non hanno delle esperienze e delle abilità lavorative sufficienti. Loro non desiderano che le loro mogli trovino dei lavori comuni in fabbrica o come domestiche, come collaboratrici familiari. Sono esperte nel ricamo e nella lavorazione dei tessuti. Mi mostra anche dei ricami tradizionali, che sono molto belli. Gli accenno alla possibilità di organizzare dei corsi di formazione per l’inserimento lavorativo delle donne, eventualmente verificando la possibilità di usufruire delle agevolazioni offerte dalla legislazione sull’imprenditoria femminile. Lui mi dice che sarebbe favorevole anche alla costituzione di una cooperativa di donne che si dedicasse alla produzione di tessuti.

Il terzo problema è legato alla loro identità alimentare, all’approvvigionamento del loro cibo tradizionale. Vorrebbero fare dell’acquacoltura in zona, allevando dei pesci che vivono naturalmente nel Bangladesh. Qui questi pesci non ci sono e farli arrivare dal loro paese, per la sola alimentazione è troppo costoso. Nella loro dieta tradizionale ci sono anche i gamberi d’acqua dolce, che vorrebbero allevare. Gli faccio presente che in Italia le acque dei fiumi sono di competenza del Demanio, che le gestisce attraverso il Genio Civile e che non è facile ottenere delle concessioni di tipo commerciale. Lui però insiste, dice che alcuni suoi connazionali che vivono vicino a Jesolo, il cui territorio comunale comprende parte della Laguna di Venezia e che loro sarebbero interessati allo sfruttamento delle valli da pesca per questi fini.

Il quarto ed ultimo problema è legato all’attività della mediazione culturale. I bangladesi hanno problemi di linguaggio ed anche in uffici pubblici quali la Questura, hanno dei problemi di traduzione. Gli parlo dell’Associazione Mondo Insieme, diretta da Thiam Massamba, un immigrato senegalese, che da diversi anni è attivo nel mondo del volontariato per gli immigrati, ma lui è scettico nei confronti di questa organizzazione e mi dice che nell’ultimo corso che hanno tenuto per la formazione dei mediatori culturali, hanno inserito solo senegalesi. Gli dico che bisognerebbe contattare chi organizza questo tipo di corsi, perché le circa 1.000 persone che compongono la comunità bangladese hanno veramente bisogno delle risorse fornite dal servizio di mediazione culturale.

4.2.1) – CONSIDERAZIONI.

L’incontro è stato estremamente importante, per 2 ragioni :

1) - perché Mokarrom si è dimostrato disponibile ad accettare la mia “intrusione” nella comunità ed a farmi incontrare altri suoi connazionali;

2) - perché il tipo di problemi che mi ha illustrato avvalorano la mia ipotesi iniziale di lavoro, che una comunità, una cultura, che si insedia in un territorio straniero, si trova