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Per l’Islam, il matrimonio è un contratto che può essere preceduto da una promessa, che però non ha valore vincolante. Viene celebrato senza formalità ufficiali ed è valido se tra le due parti non ci sono impedimenti (questi, corrispondono all’incirca a quelli del diritto europeo per quanto concerne le parentele, ma vi si aggiungono molte prescrizioni religiose), se vi è il consenso delle parti, se vi è costituzione di dote maritale da parte dell’uomo e se vengono rispettate le formalità richieste. Per stipulare questo contratto, l’uomo musulmano deve essere sano di mente ed aver raggiunto la pubertà. In assenza di evidenza, la pubertà si presume raggiunta al raggiungimento dei 15 anni, ma questa presunzione è confutabile. Prima del raggiungimento della pubertà un minore può essere dato in matrimonio dal suo tutore e nonostante ciò sia contrario a quanto previsto dall’Atto di Limitazione del Matrimonio Minorile, l’atto non sarebbe giuridicamente nullo. Secondo la Sharia Hanafita, una ragazza data in matrimonio al di sotto dell’età pubere può ripudiare quel matrimonio dopo la sua effettuazione, fino a che non raggiunge i 18 anni, a condizione che il matrimonio non sia stato consumato.

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Attualmente, secondo il codice la pubertà non è più rilevante e la ragazza data in matrimonio prima del compimento dei 18 anni può ripudiare il matrimonio, sia quando compie 16 anni, sia al raggiungimento della pubertà, se il matrimonio è stato effettuato prima. Secondo la Sharia la ragazza è libera dalla tutela al raggiungimento della pubertà ed al 13° anno di età questa è presunta. Ciò, crea un’altra anomalia legislativa, perché la ragazza, volendolo, potrebbe darsi in matrimonio prima dei 16 anni se avesse raggiunto la pubertà ed il matrimonio risulterebbe valido, ma l’officiante e lo sposo, se maggiore di 18 anni, sarebbero perseguibili e punibili in base all’Atto di Limitazione del Matrimonio Minorile. Se una minore è stata data in matrimonio e questo è stato consumato prima della pubertà, la consumazione non depriva la minore dell’opzione di ripudiare il matrimonio al raggiungimento della pubertà. Non sembra però che vi siano disposizioni atte a spiegare alla minore i suoi diritti, sia al momento del matrimonio, sia al raggiungimento della pubertà. Uno degli aspetti più dibattuti del matrimonio islamico, è quello relativo alla poligamia, più esattamente alla poliginia, la poligamia maschile. Per la legge islamica, un uomo musulmano può sposare fino a quattro mogli, mentre una donna musulmana può avere solo un marito, alla volta. Un uomo con già quattro mogli, può sposarne anche una quinta : il matrimonio sarebbe irregolare, ma non nullo. Secondo l’Ordinanza VIII, sezione 6 della Legislazione Familiare Islamica del 1961, nessun uomo, durante la validità del matrimonio che ha in corso, può contrarre un nuovo matrimonio senza il permesso scritto del Consiglio di Arbitrato. La violazione di questa prescrizione può essere perseguita fino ad arrivare all’incarcerazione. Compito del Consiglio di Arbitrato è quello di verificare che l’attuale moglie acconsenta al nuovo matrimonio e se sia necessario e giusto garantire il permesso per contrarre il nuovo matrimonio. Nella pratica, i matrimoni vengono contratti anche senza questo permesso, sia a causa della lentezza con cui eventualmente le Corti giudiziarie seguirebbero i ricorsi delle mogli contrarie ai nuovi matrimoni, sia perché usualmente il Consiglio, che è composto di soli uomini, tende ad accettare tutte le richieste. Un’importante innovazione legislativa è stata compiuta con l’Ordinanza della Legislazione Familiare Islamica del 1961 che ha reso obbligatoria la registrazione dei matrimoni islamici. Ciò è stato reiterato dall’Atto dei Matrimoni e dei Divorzi islamici del 1974. E’ un’innovazione importante perché lo stato civile, nel senso occidentale, è sempre stato estraneo alla civiltà islamica, mentre questo Atto, è un passo in questa direzione. Una parte essenziale del contratto matrimoniale islamico è la dote maritale o legittima, che lo sposo paga, o promette di pagare alla moglie. In lingua Bengali, questa dote maritale è chiamata mohr, e non deve essere confusa con la dote vera e propria, in lingua Bengali dabi, che è quella offerta dal padre e da altri parenti della sposa e che non è

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prevista dalla legislazione Islamica, ma che come vedremo più avanti, sta svolgendo un ruolo sempre più importante nel mercato matrimoniale bengalese. La dote maritale (mohr), è quindi quella somma di denaro o di altra proprietà che la sposa è titolata a ricevere dallo sposo in virtù dell’aver accettato il matrimonio con lui. L’importo può essere fissato prima o al momento del matrimonio e la legge non specifica il suo ammontare. Il suo importo è usualmente diviso in due parti :

a) - la dote pronta, che viene pagata subito su richiesta della sposa e che ricorda la Morgengabe dei popoli germanici (veniva pagata il mattino dopo la prima notte di matrimonio);

b) - la dote differita, che viene pagata solo al momento dello scioglimento del matrimonio, sia a causa del divorzio che della morte del marito.

Attualmente, secondo l’ordinanza della Legislazione Familiare Islamica, l’intero importo è da considerarsi come dote pronta. La moglie non perde il diritto alla dote nemmeno quando il matrimonio viene sciolto da una Corte Giudiziaria su richiesta della moglie o quando la moglie esercita il diritto al divorzio. La dote maritale, istituto giuridico che esisteva anche in Europa presso le tribù germaniche, ma che venne abolito con l’affermarsi della religione Cristiana, ha forse una funzione di freno nei riguardi del ripudio. Inoltre è una garanzia di sostentamento per la sposa ripudiata o per la vedova. Questa dote, non può essere fittizia, pena la nullità del matrimonio. Le più evidenti disuguaglianze nel diritto matrimoniale islamico tra uomo e donna, le troviamo nel caso del divorzio. Il marito, ha diritto al divorzio unilaterale, anche senza nessun motivo valido, diritto che è negato alla moglie. Quando il marito esercita questo suo diritto al divorzio, la moglie non ha diritto ad una riparazione. Le donne possono ottenere la separazione giudiziaria con l’intervento della Corte giudiziaria. L’Ordinanza della Legislazione Familiare Islamica del 1961 ha previsto degli Arbitri, ma il Consiglio di Arbitrato non può impedire il divorzio (Talak) da parte del marito, nemmeno se questo è arbitrario ed ingiustificato. Esso può solo dilazionare nel tempo l’atto, nella speranza che si possa giungere ad una qualche forma di conciliazione. La forma di divorzio più usata dall’uomo è il Bedai Talak (Divorzio Irrevocabile), che ha effetto immediato anche senza la necessità di comunicarlo alla moglie. Il marito pronuncia per tre volte la frase con cui afferma di divorziare dalla moglie e con il terzo pronunciamento il talak diventa irrevocabile. Ha però solo dopo che è passato un certo periodo di tempo. La procedura può essere effettuata anche scrivendo su un foglio di carta le tre frasi. Fino al 1961, una volta esercitato questo diritto, le due parti non potevano risposarsi finché la moglie non si fosse risposata con una terza persona e solo dopo la consumazione di questo matrimonio ed il suo scioglimento per divorzio o morte del

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nuovo marito (Matrimonio Hila). Per avere effetto, il divorzio deve essere comunicato al Presidente dell’Unità Amministrativa Locale, l’Union Parishad. Il marito ha tempo 90 giorni per ritornare sulla sua decisione. Il Presidente dell’Union Parishad nel ricevere la comunicazione istituisce un Consiglio di Arbitrato che tenta una riconciliazione tra i coniugi, che se efficace, rende nullo il divorzio. Le stesse modalità si attuano nel caso di divorzio richiesto dalla donna. Il marito può divorziare in base a delle condizioni e questo è il Talak-e-Tawfeez. Quando vengono stabilite delle condizioni, anche la moglie può divorziare dal marito al verificarsi di quelle condizioni. Il matrimonio musulmano può essere sciolto anche con un accordo tra marito e moglie e può assumere la forma del Khula o del Mubarrat :

a) - Khula = il matrimonio è sciolto da un accordo tra le parti, grazie al pagamento una ricompensa già pagata o che sarà pagata in seguito, dalla moglie al marito, quando il desiderio di separazione proviene dalla moglie;

b) - Mubarrat = il desiderio di separarsi è di entrambi.

La moglie ha diritto al Khula quale diritto di ricompensa dei disagi vissuti a causa del matrimonio, se la Corte Giudiziaria si rende conto che altrimenti sarebbe ingiusto forzarla ad un’unione infelice. Se intende divorziare, la donna musulmana non ha gli stessi diritti dell’uomo, ma deve cercare di ottenere il divorzio giudiziario nei termini permessi dalla Legge Islamica. Può ottenere il divorzio giudiziario a causa della mancata osservanza o dell’incapacità del marito di provvedere al suo mantenimento per almeno due anni. Ma se la moglie si rifiuta sessualmente al marito senza una legittima ragione e lo abbandona o se volontariamente si rifiuta di ottemperare agli obblighi imposti dal matrimonio, non ha il diritto di richiedere il mantenimento e non può ottenere un decreto per lo scioglimento del matrimonio sulla base della motivazione del mancato mantenimento. Il fatto che la donna sia ricca non è una motivazione accettata per il marito nel caso di richiesta di divorzio per mancato mantenimento. La donna musulmana può ottenere il divorzio giudiziario su ogni argomento riconosciuto dalla Legge islamica. Anche l’incompatibilità di carattere di hollywodiana memoria, che risulti in un’unione infelice, è stata accettata quale motivo per richiedere il divorzio giudiziario.

L’apostasia dell’Islam da parte della moglie non scioglie il matrimonio, mentre quella da parte del marito sì.

5.2.2.4) – IL MANTENIMENTO.

In accordo con la Legge islamica, il padre deve mantenere la figlia finché questa non si sposa. Il fatto che la madre abbia la custodia della figlia finché questa non raggiunge la

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pubertà, non libera il padre da questo obbligo. Se il padre è povero ma la madre è benestante, quest’ultima ha l’obbligo di mantenere la figlia. Il padre non ha però l’obbligo di mantenere una figlia che può sostenersi con i suoi mezzi. Una madre musulmana ha il diritto di essere mantenuta dal figlio se è povera o se il figlio è finanziariamente in grado di farlo. Un marito musulmano deve mantenere la moglie finché questa gli rimane fedele ed obbedisce a quei suoi ordini che sono ragionevoli. Ciò non avviene nel caso in cui la moglie si rifiuta sessualmente al marito senza una legittima ragione o lo abbandona o manca di ottemperare ai suoi obblighi matrimoniali, come avviene anche nel caso del divorzio. In questi casi, non ha il diritto di richiedere il mantenimento da parte del marito. L’obbligo del mantenimento rimane invece nel caso in cui la moglie si rifiuti di ottemperare ai suoi obblighi matrimoniali perché il marito non le ha pagato la dote pronta. In caso di divorzio la donna ha il diritto al mantenimento fino allo scadere dei 90 giorni del periodo di Iddat (periodo nel quale può esserci un ripensamento della decisione presa dal marito) e nel caso in cui sia incinta, fino alla fine della gravidanza. Un uomo musulmano deve mantenere sua figlia al meglio delle sue possibilità e lo stesso deve fare il marito con la moglie, finché la relazione è buona, ma se questa peggiora, la condizione della donna diventa difficile. L’ambiente sociale e la procedura giudiziaria lunga e farraginosa, rendono difficile per la moglie ottenere il mantenimento per via giudiziaria. Una vedova musulmana è essenzialmente dipendente dal figlio, poiché usualmente anche la sua parte della proprietà del marito rimane nelle mani del figlio ed ironicamente, il suo destino dipende dall’atteggiamento della nuora nei suoi confronti. Ma se la vedova non ha un figlio da cui dipendere, deve affidarsi ai parenti del marito ed nella gran parte di questi casi, la sua condizione è miserevole.