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5.2.4.6) – L’OSSERVANZA DEL PURDAH IN BASE ALLA CLASSE SOCIALE DI APPARTENENZA

Generalmente, si considera il purdah un’usanza delle classi superiori, che possono permettersi di mantenere le donne in una condizione di segregazione. Questo sembra essere il caso in alcuni villaggi studiati dagli autori citati dalla Papanek. A.F.A. Husain, in una ricerca su donne della classe media di Dhaka, in Bangladesh, che lavoravano, aveva notato come il purdah sembrasse essere osservato maggiormente nelle famiglie a basso reddito che non in quelle delle donne di classe media che lavoravano. Se nelle famiglie ad alto reddito l’osservanza era del 10%, in quelle a basso reddito era di circa il 50%. E’ probabile che più che a variabili legate alla classe sociale di appartenenza, l’osservanza del purdah sia correlata ad un habitus di credenze, da parte dei soggetti interessati (marito, moglie, famiglie di origine, gruppi sociali di appartenenza, regione geografica di provenienza), habitus visto come insieme di pratiche strutturate di conoscenze implicite, alla base del quale c’è la convinzione che la protezione simbolica possa essere vista come un successo da parte dell’uomo, che con i propri guadagni può dimostrare di poter mantenere tutta la famiglia, senza che la moglie sia costretta a lavorare. Diversi soggetti si posizioneranno su diversi punti delle diverse griglie a cui le varie dimensioni della struttura dell’habitus danno origine. Sarebbe interessante valutare su scale diverse, queste diverse strutture dell’habitus e come ciò si rifletta sulla pratica del purdah. Questa credenza di base, sulla necessità di proteggere la moglie, è analoga alla riluttanza degli uomini di altre società a permettere alle loro mogli di lavorare, perché in questo modo potrebbero essere visti come non interamente capaci di sostenere il loro nucleo familiare.

5.2.4.7) – LE DONNE NON PROTETTE.

In una società nella quale la gran parte delle donne è protetta ed isolata, dove è valorizzata la privacy della famiglia e dove non è possibile alcuna attività sessuale “lecita” al di fuori del matrimonio, ci si deve aspettare che esistano delle donne al di fuori del sistema familiare e che queste donne seguano un insieme di regole molto diverso. Prostitute e ballerine costituiscono una parte importante del sistema sociale del sub-continente indiano e giocano un ruolo, almeno potenzialmente, altrettanto importante, rispetto a quello giocato dalle donne protette, nella vita degli uomini. La loro posizione rappresenta il contrappunto alla vita delle donne protette e spesso, queste donne non protette sono donne che precedentemente lo erano, ma che a seguito di vari casi della vita, tra i quali la vedovanza o il divorzio, seguiti dall’abbandono da parte della famiglia di origine, non trovano altra soluzione occupazionale al mendicare o al prostituirsi. Oltre alle

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donne che diventano prostitute per i motivi appena descritti, in India, Pakistan e Bangladesh, un grave problema è quello delle donne che vengono rapite e molestate contro la loro volontà e che non vengono poi riaccettate dai loro mariti o familiari. Allora, l’unica strada per loro aperta è quella della prostituzione.

Per quanto riguarda il Bangladesh, diverse ONG hanno richiamato l’attenzione sul traffico di donne che origina in questo paese, con destinazioni varie, dal Medio all’estremo oriente. Sempre in bangladesh, abbiamo ancora il problema delle donne bangladesi rapite e violentate dai soldati pakistani nel 1971, durante la Guerra di Liberazione. Alcune famiglie non accettarono il ritorno delle loro ragazze o donne, o non accettarono i loro figli illegittimi. Ciò, si riallaccia al problema delle donne rapite durante i disordini e le migrazioni durante la Partition, del 1947. In ogni caso, non possiamo non notare come l’esistenza di gruppi riconosciuti di prostitute, sia il corollario logico dei concetti di mondi separati e di protezione simbolica. Ciò può essere collegato al fatto che le condizioni di vita di una famiglia numerosa ed il tipo di relazioni affettive che si sviluppano in molti matrimoni combinati, possano limitare l’espressione della sessualità e degli affetti all’interno della famiglia. Molte richieste sociali tendono a minimizzare l’importanza di una forte relazione positiva tra marito e moglie, mentre tendono a sottolineare l’importanza della solidarietà tra i membri della famiglia. Il sistema dei matrimoni combinati sottintende una valutazione particolare dell’amore romantico e sensuale. L’attrazione emotiva e sentimentale, l’innamoramento, non è considerato una ragione valida per il matrimonio. Ci si aspetta invece che l’attrazione sentimentale debba svilupparsi gradualmente dopo il matrimonio. Rispetto ai nostri canoni occidentali, assistiamo ad uno spostamento temporale dell’attrazione sentimentale a dopo il matrimonio, come nelle nostre società avveniva un tempo (almeno “ufficialmente”), per i rapporti sessuali. Questi due elementi :

a) – rapporto emotivo-sentimentale; b) – e rapporto sessuale,

che nelle nostre società occidentali sono diventati parte integrante della relazione interpersonale di coppia, anche prima della sua legittimazione sociale attraverso il matrimonio o l’unione di fatto, nell’ambiente sociale e culturale del sub-continente indiano, vengono invece scissi dalla relazione e spostati ad un tempo posteriore al matrimonio.

Società occidentali Società del sub-continente indiano Ci siamo innamorati e quindi ci

sposiamo.

Ci siamo sposati e quindi ci innamoreremo.

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Assistiamo ad una specie di inversione sintattica del momento e del luogo in cui può svilupparsi l’innamoramento. Ma in ogni caso, ci si innamora. Ciò che si apprende quindi è la censura degli eventuali innamoramenti pre-matrimoniali e la libera espressione dell’amore matrimoniale. Sempre che questa relazione assuma poi la profondità che assume nel caso delle relazioni che nascono dall’innamoramento pre-matrimoniale. Ma non sembra che i destini matrimoniali, in fondo, siano molto diversi nei due sistemi. Una delle implicazioni più evidenti del sistema della protezione simbolica e che abbiamo già visto nell’analisi della Rozario, è quella della distinzione tra donne “buone” e donne “cattive”, così persistente in molte culture. Nell’Inghilterra Vittoriana, esisteva una contrapposizione di questo tipo :

Donne cattive Donne buone

- che si godono la sessualità - che non godono la sessualità

Ciò, serviva alla creazione di un potente sistema psicologico di repressione sessuale, che operava congiuntamente ai concetti di :

- onore; - rispettabilità; - controllo maschile.

Tutto ciò, non era molto diverso da ciò che abbiamo riscontrato nel sistema del purdah, nell’Asia del Sud. Ciò che differenzia il sistema del purdah da quello occidentale è, come abbiamo visto, la modalità sociale del controllo, il locus attributivo del controllo. La Papanek suggerisce che i meccanismi di controllo sociale e psicologico siano in qualche modo alternativi. Essa, si spinge fino ad affermare che il sistema del purdah operi abbastanza sufficientemente da rendere non necessario il meccanismo difensivo, in senso freudiano, della repressione sessuale. Ciò non ci convince, perché questo meccanismo di difesa, la repressione, funziona in ogni caso, anche quando il controllo è esterno. Ciò che più ci convincerebbe è invece una formulazione con cui si affermasse che l’istanza del Super-io, che mobiliterebbe il meccanismo della repressione, funzionasse ad un livello di gruppo. Sarebbero dei messaggi impliciti interni al gruppo a funzionare da Super-io collettivo, facendo così scattare il meccanismo della repressione nei momenti necessari. Se rammentiamo come Freud ritenesse che la donna avesse un’implicita difficoltà a sviluppare un Super-io come quello maschile, possiamo se non altro riconoscere una certa prudenza da parte del legislatore inconscio collettivo sud-asiatico, che ha ben pensato di by-passare il controllo interiore per affidarlo del tutto alla comunità sociale. Quindi, la

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differenza tra sistema basato sul senso di colpa e sistema basato sui sentimenti di vergogna, si originerebbe in una diversa genealogia del Super-io :

- interiorizzato nelle società aperte;

- interiorizzato, ma “appoggiato” ad un controllo sociale, attivato dall’istanza osservativi del gruppo sociale, nelle società chiuse in cui l’interazione è limitata al livello faccia-a-faccia.