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II. 3. Gli atti da motivare

II. 3.2. Le esclusioni: gli atti normativi e quelli a contenuto generale

227 V. MASCELLO, La motivazione nel pubblico impiego, in La motivazione del provvedimento

amministrativo. Raccolta di dottrina giurisprudenza e legislazione, op. cit., p 31.

228 V. MASCELLO, La motivazione nel pubblico impiego, in La motivazione del provvedimento

amministrativo. Raccolta di dottrina giurisprudenza e legislazione, op. cit., p 31.

229 In senso contrario invece parte della dottrina ha fatto leva sulle ragioni di carattere tecnico e produttivo

che improntano le scelte del datore di lavoro, inapplicabili alla pubblica amministrazione, la quale sarebbe comunque preposta allo svolgimento di un’attività a favore della collettività. Si veda A. CORPACI, La tutela giurisdizionale dei dipendenti pubblici, in Giorn. dir. lav. e relaz. industriali, p. 611.

230 Cons. Stato, Commissione Speciale del pubblico impiego, 5 febbraio 2001, n. 471 in Giust. Amm.,

2001, 6, 619.

231 G. MASUCCI, Motivazione, in Procedimento amministrativo, a cura di M. CLARICH, G.

L’art. 3 co. 1 della legge n. 241/90 prevede che dall’obbligo di motivazione, disposto per tutti i provvedimenti, siano esclusi quelli previsi dal comma 2. Questo dispone: “La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto

generale.”. Entrambe le categorie di atti non appartengono sicuramente a quella del

provvedimento, pertanto, più che vere e proprie esclusioni volte a definire l’ambito applicativo del primo comma, si potrebbe credere che si tratti di una specificazione ridondante, volta a rimarcare quanto già affermato dal primo comma e senza innovare, non differentemente da quanto avviene con le categorie citate espressamente nel provvedimento.

È invece preferibile sostenere che, facendo leva sul comma 2, emerga, ancor più chiaramente, come il riferimento del comma 1 al termine provvedimento abbia il generico significato di atto o atto amministrativo, così il testo del comma 2 dovrebbe essere letto congiuntamente a quello del comma 1, permettendo di delimitarne precisamente l’ambito applicativo.

La scelta di escludere gli atti generali è stata oggetto di un dibattito particolare in sede di redazione, dovuto principalmente alla difficoltà di dare una nozione unitaria alla categoria. È stato infatti osservato che rientrano nella nozione una vasta serie di atti con caratteristiche differenti tra loro. Inoltre la propensione della giurisprudenza e della dottrina dell’epoca era quella di ritenere necessaria la motivazione per la maggior parte di questi atti, tra cui il piano regolatore generale, mentre veniva esclusa solo in pochi e marginali casi, quali le circolari. Anche L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con Parere 2 febbraio 1987 evidenziò il contrasto della bozza legislativa rispetto ai principali indirizzi giurisprudenziali. Vennero allora prospettate due soluzioni, la prima quella di distinguere tra atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione 232. La seconda quella di lasciare intatta l’espressione di atti generali, ma di accompagnarla con una convenzione interpretativa da far valere in sede di

232 La soluzione è stata accolta dall’art. 13 della legge n. 241/1990 (Ambito di applicazione delle norme

sulla partecipazione), che dispone: “Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.”

dichiarazione del voto del relatore: l’obbligo di motivazione è escluso soltanto per gli atti generali a contenuto normativo233.

Nonostante la seconda soluzione sia prevalsa, dottrina e giurisprudenza hanno sostanzialmente ignorato la convenzione. La giurisprudenza in un primo momento ha argomentato che non si potrebbe attribuire alla legge sul procedimento amministrativo la volontà di ridurre l’ambito applicativo dell’obbligo di motivazione, riducendo pertanto le garanzie che già la giurisprudenza precedente aveva già riconosciuto al privato. L’obbligo di motivazione infatti «deve essere inteso in coerenza con il sistema»

«al momento dell’entrata in vigore della legge».234 La dottrina invece, facendo leva sul

recepimento espresso all’art. 13 della distinzione tra atti amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, ha ritenuto che soltanto quelli generali non dovessero essere motivati, mentre l’obbligo continuerebbe a sussistere per quelli di pianificazione e programmazione235. Ciò sembra in linea con la scelta legislativa operata nel 2005 con l’art. 16 comma 1 legge 11 febbraio 2005, n. 15, la quale, modificando il testo dell’art. 24 comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Esclusione dal diritto d’accesso) ha distinto alla lettera c) tra atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione.

Mentre su questa linea sembra essersi attestata la giurisprudenza più recente, un diverso filone dottrinale, il quale ha recentemente avuto un discreto seguito, ha reinterpretato la disposizione alla luce del testo del comma 1 dello stesso articolo, il quale dispone che il contenuto della motivazione deve essere redatto in relazione alle risultanze dell’istruttoria che hanno determinato la decisione dell’amministrazione236. È stato quindi osservato che l’obbligo dovrebbe riguardare soltanto i provvedimenti finali di un procedimento, i quali sono in grado di incidere immediatamente nella sfera giuridica di un soggetto determinato, espressione di un «concreto provvedere». Al contrario, quando l’atto è finalizzato al previo «disporre», in via generale ed astratta per tutti i casi futuri ed eventuali, non vi sarebbe alcun onere di motivazione da sostenere, in quanto questo sarebbe rimandato al momento successivo attraverso l’adozione di atti

233 Per una ricostruzione più approfondita sulla vicenda storica R. SCARCIGLIA, La motivazione

dell’atto amministrativo. Profili ricostruttivi e analisi comparatistica, op. cit., pp. 201-202.

234 Consiglio di Stato, sez. V, 6 febbraio 2001, n. 475 in M.A. SANDULLI, Codice dell’azione

amministrativa, op. cit., p. 382.

235 Tra gli altri, l’opinione è espressa in G. DELLA CANANEA, Gli atti amministrativi generali, Padova,

CEDAM, 2000, p. 284.

puntuali. Pertanto l’ambito oggettivo dell’obbligo di motivazione non ruoterebbe tanto intorno alle categorie dell’atto, quanto piuttosto al contenuto dell’atto stesso e alle concrete modalità di esercizio del potere, nel senso che anche un atto generale, nel dettare regole generali ed astratte, ben potrebbe in realtà applicarsi direttamente a casi singoli e determinati in maniera definitiva, comportando in questo caso un obbligo di motivazione. Pertanto il riferimento normativo ai provvedimenti e agli atti amministrativi generali e normativi non avrebbe carattere pregnante, ma sarebbe soltanto un’esemplificazione di ausilio all’interprete, giacché di regola sono i primi a provvedere ed i secondi a disporre237.

La tesi prospettata coglie nel segno qualora si voglia riconoscere alla motivazione essenzialmente una funzione di garanzia. Così, se è la situazione giuridica del privato destinatario del provvedimento ad orientare l’onere motivazionale, rimangono invece prive di tutela le aspettative di coloro che nell’articolo 3 della legge n. 241/1990 ricercano un cambiamento di rotta netto con il passato, o tramite il recepimento delle istanze di quella dottrina che alla fine degli anni ’80 ribadiva la funzione democratica della motivazione, oppure perché comunque il rinnovato interesse alla trasparenza avrebbe portato a rivalutare proprio questa funzione. In particolare l’esclusione dall’obbligo di motivazione degli atti amministrativi generali, da intendere come comprensivi di quelli di programmazione e pianificazione, mal si concilia proprio con la funzione di trasparenza e con i principi enunciati dall’art. 1 comma 1 della stessa legge. Ancora, l’adozione di questa prospettiva comporterebbe uno svilimento del principio di imparzialità della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione, nonché del diritto ad una buona amministrazione di cui all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il quale richiederebbe invece di rivedere la motivazione in una funzione di trasparenza.

Peraltro va avvertito che la situazione è più variegata di quanto a prima vista si possa credere, non essendo sempre agevole incasellare in modo netto un atto in una categoria piuttosto che in un’altra.

237 Quindi non devono essere oggetto di motivazione «la delibera comunale contenente misure di

regolamentazione del traffico, il piano di dimensionamento scolastico, il bando di concorso, neppure quando riguardi posti riservati dell'organico, il bando di gara, l'atto di regolamentazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi pubblici, anche se l'atto riguarda un unico esercizio di tipo C presente nel Comune, la revisione della pianta organica delle farmacie», si veda M. RAMAJOLI, B. TONOLETTI, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, in Dir. amm., 1-2, 2013, pp. 53 ss.