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Procedimento e motivazione: iniziativa Il problema della motivazione sintetica.

La struttura del procedimento amministrativo può essere distinta in tre fasi: iniziativa, istruttoria e conclusione.

L’iniziativa può provenire tanto dalla pubblica amministrazione quanto dall’istanza di un privato. A tal proposito dispone l’art. 2 comma 1 della legge n. 241/1990 (Conclusione del procedimento) “Ove il procedimento consegua

obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso.” L’art. 1 comma 38 della Legge 6 novembre 2012, n. 190

(Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.) ha introdotto un ulteriore periodo: “Se ravvisano la

manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”. La dottrina ha definito la

fattispecie come motivazione sintetica306.

A differenza della prima parte del comma richiamato, la seconda, attraverso il riferimento alla domanda del rilascio di un provvedimento, si riferisce unicamente all’ipotesi dell’istanza di un privato, mentre esclude che possa essere applicata ad un procedimento su iniziativa d’ufficio. Inoltre la disposizione fa espresso riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, il che permette di operare una distinzione. Questa espressione sembra infatti riferirsi alla macrostruttura della motivazione, pertanto motivare sul punto risolutivo della questione significa esonerare dall’obbligo di motivare gli altri punti, i quali pure potrebbero essere controversi, ma non richiedono un’approfondita motivazione specifica. Ciò può essere spiegato nel senso per cui, l’istanza volta ad ottenere il bene della vita cui il privato aspira, legittima l’emanazione di un provvedimento soltanto al verificarsi di una pluralità di presupposti, pertanto, una

volta accertata la carenza di un presupposto, non vi sarà alcuna necessità di indagare su presupposti ulteriori, in quanto il provvedimento potrà già essere negato307.

La possibilità di escludere dall’apparato motivazionale alcuni punti, tuttavia, non riguarda tutti gli elementi della motivazione. La disposizione può sicuramente riferirsi alle ragioni giuridiche e fattuali, comprensive pertanto dell’iter logico seguito e dei motivi che hanno spinto l’amministrazione a decidere. La disposizione, tuttavia, non esonera dal motivare anche i presupposti fattuali, i quali non possono essere in alcun caso omessi, pertanto “devono comunque essere esternati i presupposti della decisione

(fattuali) che caratterizzano la fattispecie e la differenziano dalle altre”308, almeno, in misura tale da permette al destinatario del provvedimento di intuire il contenuto della decisione del provvedimento.

Per quanto concerne invece la questione della frattura verticale della motivazione, cioè quanto profondamente dovrà essere motivato il punto risolutivo della questione, la soluzione è data dal carattere manifesto che devono assumere le fattispecie di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda. Questa disposizione, non diversamente da quanto previsto dall’art. 21 octies comma 2 della legge sul procedimento amministrativo (vedi supra paragrafo 6), svolge una duplice funzione: da un lato tutela il privato, destinatario di una motivazione sintetica, limitandola ai casi in cui il perché del contenuto del provvedimento sia autoevidente, dall’altro estende alla disciplina della motivazione l’applicazione dei principi generali di economicità ed efficacia previsti dall’art. 1 della legge. Pertanto sembra possibile rilevare anche in questo caso una funzione essenzialmente di garanzia della motivazione.

307 L’istituto presenta caratteri di forte analogia con la sentenza in forma semplificata nel processo

amministrativo. Dispone l’art. 77 del codice del processo amministrativo: “Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.”. Si veda A. TRAVI, Giustizia amministrativa, op. cit., pp. 275-276. Va rilevato tuttavia che dal principio di doverosità dell’esercizio della funzione amministrativa ne deriva che la pubblica amministrazione, qualora fosse in dubbio sulla manifesta infondatezza dell’istanza, dovrebbe comunque richiedere al privato l’integrazione dei documenti necessari, al fine di massimizzare la tutela del pubblico interesse cui l’amministrazione procedente è preposta. Nel processo amministrativo, al contrario, la struttura contraddittoria ha come conseguenza che l’amministrazione potrà volgere a proprio favore eventuali carenze del materiale proposto dal privato.

308 TAR Ancona, (Marche), sez. I, 28 gennaio 2014, n. 180. Nel caso di specie la Corte annulla un

provvedimento di diniego emanato sulla base dell’insussistenza di un rapporto di lavoro, mentre il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 era stato basato su un diverso presupposto fattuale: l’insussitenza del reddito.

Va segnalata un’ulteriore giurisprudenza che ha fatto leva sull’obbligo di motivazione in forma semplificata per riconoscere un obbligo di provvedere anche per le domande manifestamente inammissibili309. Infatti, in vista della previsione normativa, se sussiste un obbligo di provvedere, non può più negarsi che, di fronte ad un’istanza, l’amministrazione possa evitare di provvedere in maniera espressa, e pertanto anche di motivare. Ciò, sembrerebbe, senza alcun margine di discrezionalità. L’amministrazione pertanto non potrà selezionare alcune istanze, apparentemente maggiormente fondate, a cui rispondere rispetto ad altre310.

L’assunto è invece stato fortemente criticato da parte della dottrina. In particolare, la giurisprudenza precedente distingueva due diversi tipi di atti di impulso provenienti da privati. Il primo tipo è l’istanza o domanda, la quale corrisponde a quell’atto di impulso di natura privata, e non amministrativa, emanato dal privato in quanto espressione di una facoltà oggetto di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento. Dall’istanza deriva un obbligo di procedere e di provvedere, adottanto un provvedimento espresso a conclusione del procedimento, pertanto non si potrebbe in nessun caso negare l’esistenza di un procedimento e la necessità dello svolgimento della fase istruttoria. Diversa è invece la situazione nel caso di denunce, le quali sono istanze di un privato non oggetto di alcuna situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento. In questo caso il funzionario deve dar luogo ad una delibazione sulla fondatezza della denuncia, ma ciò si pone in una fase preliminare a quella dell’inizio del procedimento amministrativo, definita pre-istruttoria, pertanto non è retta da alcuno dei principi che disciplinano il procedimento amministrativo, né sussiste alcun obbligo di procedere, concludere o motivare. L’eventuale successiva apertura del procedimento e il correlato esercizio di un potere sarebbero unicamente espressione di un procedimento ad iniziativa d’ufficio, anche se su sollecitazione di un privato. La differenza tra le due situazioni viene individuata nell’esistenza di una situazione giuridica soggetiva. La giurisprudenza più recente ha traslato, in forza della modifica dell’art. 2, la seconda categoria nella prima, ritenendo che anche la mancanza di una situazione giuridica

309 «Ai sensi del vigente art. 2 comma 1, l. n. 241 del 7 agosto 1990 […] l'obbligo di provvedere su una

richiesta di autorizzazione (nella fattispecie, una richiesta di autorizzazione a lottizzare dei terreni) sussiste anche laddove la pretesa sia manifestamente inaccoglibile.» TAR Cagliari, (Sardegna), sez. II, 12 dicembre 2013, n. 879.

310 Sul punto si veda la ricostruzione operata in M. MONTEDURO, Sul processo come schema di

interpretazione del procedimento: l'obbligo di provvedere su domande «inammissibili» o «manifestamente infondate», in Dir. amm., fasc. 1, 2010, p. 103.

soggettiva originerebbe un obbligo di adottare un provvedimento in forma semplificata. In realtà la dottrina ha osservato come la posizione della nuova disposizione dovrebbe lasciar intendere che il legislatore non ha voluto ampliare l’ambito del dovere di provvedere, ma ha unicamente voluto restringere quello del dovere di motivare311. Pertanto in caso di istanza può ritenersi ammissibile una motivazione sintetica, mentre in caso di domanda non vi dovrebbe essere un dovere di motivare. Il principio cardine rimane comunque quello della motivazione come elemento conclusivo del procedimento, mentre non è ammissibile una motivazione in mancanza di un procedimento.

Un caso distinto ed opposto dal precedente è quello di un procedimento ad iniziativa d’ufficio. In questo caso il primo atto di contatto tra l’amministrazione ed il privato sarà la comunicazione di avvio del procedimento, imposta dall’art. 7 della legge sul procedimento, da inviare “ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale

è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi”,

nonché “a soggetti individuati o facilmente individuabili”, “qualora da un

provvedimento possa derivare un pregiudizio”. Il contenuto della comunicazione di

avvio del procedimento è prevista dal successivo art. 8 comma 2 della legge n. 241/1990: “Nella comunicazione debbono essere indicati: a) l'amministrazione

competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti.” Nessuna delle disposizioni previste, in effetti, pone un espresso obbligo di

motivazione della comunicazione, né questo deriva direttamente dalla previsione dell’articolo 3 della legge sul procedimento, infatti la comunicazione non ha natura provvedimentale. L’oggetto può avere un contenuto parzialmente coincidente con quello della motivazione, tra cui l’enunciazione dei principali presupposti di fatto e di diritto, ma non sembra che si possa parlare di una vera e propria motivazione. Sul punto è concorde anche la giurisprudenza, la quale non ritiene necessaria una motivazione,

311 Si veda N. POSTERARO, Considerazioni critiche sul generalizzato dovere di provvedere della p.a., in

sottolineando come l’avviso di inizio del procedimento «può essere legittimamente

redatto in forma sintetica, atteso che l'obbligo di esaustiva motivazione si riferisce al provvedimento nella sua stesura definitiva»312.

La comunicazione di avvio del procedimento può inoltre essere omessa, ai sensi dello stesso art. 7 comma 1 della legge sul procedimento ove “sussistano ragioni di

impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”. La norma

nulla dispone riguardo un eventuale successivo controllo su dette esigenze. La giurisprudenza sul punto sembra mossa in due direzioni contrastanti, da un lato evidenzia come le particolari esigenze di celerità del procedimento «devono essere

esternate mediante motivazione idonea a dimostrare che a causa dell'adempimento dell'obbligo di comunicazione potrebbe essere compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico cui il provvedimento è rivolto»313 mentre, dall’altro, che «la

comunicazione di avvio del procedimento non può ridursi ad un rituale formalistico, con la conseguenza che il privato non può limitarsi a denunciare la mancata o incompleta comunicazione e la conseguente lesione della propria pretesa partecipativa, ma è anche tenuto ad indicare o allegare gli elementi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento»314.

Pertanto viene riconosciuto un obbligo di motivazione, senza che lo stesso possa da solo essere impugnato dal privato con effetti invalidanti del provvedimento, senza addurre anche elementi sostanziali che avrebbero permesso un diverso esito del procedimento315. Vista la dissociazione che si verifica tra previsione dell’obbligo e legittimazione ad agire, sembrerebbe poter qui rilevare i tratti di una motivazione che si esplica maggiormente in funzione di trasparenza, piuttosto che di garanzia.

II. 7. Procedimento e motivazione: istruttoria.

312 La principale finalità della comunicazione «va individuata nell'esigenza di assicurare piena visibilità

all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire, al contempo, la partecipazione del destinatario dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, specie quando il provvedimento conclusivo produce effetti pregiudizievoli nella sfera del destinatario» TAR Perugia, (Umbria), sez. I, 04 agosto 2011, n. 266.

313 Cons. di St., sez. V, 10 gennaio 2013, n. 91 in Foro amm. CDS 2013, 1, 182 (s.m). 314 Cons. St., sez. IV, 09 dicembre 2015, n. 5577.

315 Vanno comunque esclusi dalla fattispecie i provvedimenti interamente vincolati, i quali, anche in

mancanza di obbligo di motivazione, sono assoggettati alla dequotazione formale del vizio operata dall’art. 21-octies comma 2, (si veda supra paragrafo 6).