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La pubblica amministrazione nello svolgimento della propria attività fa regolarmente uso di uno strumentario costituito da differenti atti amministrativi, distinti tra loro per natura, presupposti e fini, ed emanati per la concreta realizzazione dell’interesse pubblico cui è preordinata. Per questi atti la legge può o meno imporre un obbligo di motivazione, mentre, indipendentemente dall’imposizione di una previsione di legislativa, la pubblica amministrazione può apporre o meno una motivazione. Ciò può originare una serie di situazioni giuridiche e fattuali differenti.

La prima è quella in cui vi è un obbligo di motivazione imposto da una norma di legge, si parla in questo caso di motivazione necessaria117. In questo caso, se la pubblica amministrazione emana un provvedimento regolarmente motivato non si pongono problemi particolari. È tuttavia necessario che la motivazione rispetti pienamente le previsioni di legge, tanto nel soggetto tenuto a motivare, quanto negli atti e fatti che devono essere coperti dalla motivazione.

È al contrario possibile che nessuna motivazione sia stata apposta o che questa, nonostante regolarmente presente, non sia sufficiente a coprire tutti gli elementi di cui deve dare atto. In questo caso il provvedimento deve essere considerato viziato. Ciò tuttavia non significa necessariamente che questo sia inidoneo alla produzione di effetti e che pertanto non debba essere comunque eseguito: ogni ordinamento appresta una propria disciplina per i vizi dell’atto. Sembra comunque opportuno rilevare che il legislatore gode qui di un’ulteriore margine di discrezionalità, nel senso che è tendenzialmente libero di dare alla motivazione, e quindi alla sua mancanza, la rilevanza che preferisce. Dunque esiste un rapporto diretto tra la disciplina del vizio sulla motivazione e la sua rilevanza: più gravi saranno le conseguenze previste dall’ordinamento in caso di vizio, maggiore sarà la rilevanza che il legislatore ha voluto dare alla motivazione.

117 M.S. GIANNINI, Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. Dir., vol. XXVII, Milano, Giuffrè,

Il legislatore può disporre che alla mancanza della motivazione corrisponda la radicale inidoneità dell’atto alla produzione di effetti giuridici118, in questo senso si tratta di una situazione tendenzialmente accertabile di fronte al giudice in ogni momento. Al contrario può disporre che l’atto sia comunque idoneo a produrre temporaneamente gli effetti previsti dalla legge, fintantoché, cioè, non intervenga un accertamento del vizio e la declaratoria che disponga la cessazione degli effetti119. L’ordinamento può anche limitare in vario modo la possibilità di ottenere la declaratoria, ad esempio temporalmente, ponendo un termine di decadenza. Da ultimo, è possibile che il vizio della motivazione non sia tale da estendersi all’intero provvedimento, o perché l’ordinamento potrebbe disporre di rimedi alternativi che non incidano sulla validità dell’atto120, oppure sul presupposto della intrinseca validità della soluzione adottata, attribuendo al vizio sulla motivazione scarsa rilevanza121. In queste ultime ipotesi formalmente rimane ferma la previsione dell’obbligo di motivazione, lo stesso però viene sostanzialmente svuotato di contenuto, non essendo possibile per il privato esercitare alcuna azione utile122.

La seconda possibilità è quella in cui l’ordinamento123 nulla disponga riguardo un obbligo per la pubblica amministrazione di motivare i propri atti. Se si aderisce alle considerazioni svolte nel paragrafo 3, sull’impossibilità di argomentare in via generale

118 Si tratta della categoria della nullità dell’ordinamento italiano, comminata dall’art. 21-septies della l. n.

241/1990. Tra i presupposti vi è proprio la mancanza degli elementi essenziali del provvedimento, anche se tra questi la dottrina e la giurisprudenza tendono a non ricomprendervi anche la motivazione, la quale è sì considerata elemento, ma non essenziale del provvedimento. Si veda M.A. SANDULLI, Codice dell’azione amministrativa, op. cit., p.345. Anche se, in senso contrario, L. FERRARA, Motivazione e impugnabilità degli atti amministrativi, in Foro Amm. TAR 2008, p. 1197.

119 Si tratta della categoria dell’annullabilità nell’ordinamento italiano, prevista dall’art. 21-octies, della l.

n. 241/1990 il quale prevede tra le cause che possono originare il vizio la violazione di legge.

120 Si pensi alla possibilità per il privato di venire a conoscenza della motivazione di cui un

provvedimento è carente tramite una sua successiva istanza. La vicenda presenta affinità con alcuni orientamenti giurisprudenziali italiani che si sono formati prima dell’imposizione dell’obbligo di motivazione. Così, riconoscendo la legittimità della motivazione postuma fornita direttamente in udienza, il privato formalmente poteva adire il giudice unicamente per sindacare le ragioni dell’amministrazione, nella sostanza tuttavia poteva essere interessato a proporre ricorso al fine di venire a conoscenza della motivazione stessa, e per il tramite di questa dei motivi, per poi decidere nuovamente se continuare il ricorso o rinunciare.

121 Si pensi, ad esempio, ad un provvedimento interamente vincolato. L’ordinamento italiano evita

l’annullabilità se «sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.»

122 Non è esclusa la possibilità di agire per il risarcimento del danno, qualora l’ordinamento lo preveda. 123 Ci si riferisce all’insieme delle norme vigenti in un ordinamento. Principalmente da ricondurre alle

legge in sistemi di civil law, mentre se si discute di sistemi di common law non vi è dubbio che esista anche un «judicial law-making», si veda N. ROSCOE POUND, Common law and legislation, in Harvard Law Review, 1908, 21 p. 403.

un obbligo di motivazione che parta da premesse diverse da quelle normative, allora si potrà considerare questa ipotesi come quella definita di motivazione non necessaria, o anche facoltativa124. L’espressione intende sottolineare il punto di vista della pubblica amministrazione, la quale è infatti libera di apporre o meno la motivazione ad un provvedimento che sia stato emanato, ciò tuttavia non è sicuramente privo di conseguenze. Infatti una volta che la motivazione è stata apposta, in caso di successivo sindacato giurisdizionale, la stessa potrà essere acquisita e considerata tra gli elementi su cui basare la decisione, divenendo quindi una porta attraverso cui indagare i motivi che hanno indotto l’amministrazione a decidere.

Vi sono invece situazione ove, in mancanza di un obbligo di motivazione, l’apposizione o meno di una motivazione non produce alcun risultato pratico concreto, si parla in questo caso di motivazione superflua. Si tratta di situazioni dove per il carattere del provvedimento, o la natura del rapporto considerato, l’enunciazione dei motivi non risulta in alcun modo utile125.

Infine è possibile che l’ordinamento vieti espressamente l’apposizione della motivazione ad un atto amministrativo. Un primo filone dottrinale sostiene che in questo caso ne deriverebbe un vizio al provvedimento126. Un secondo orientamento pone invece l’accento sul risarcimento del danno, da garantire a favore del soggetto nel cui interesse il divieto di motivazione era posto, ed i cui dati sensibili sarebbero stati pubblicati127. Rimane invece dubbio il caso in cui il divieto non sia stato posto al fine di tutelare l’interesse privato di un soggetto, ma sia invece posto a garanzia dell’ordine pubblico. In questo caso oltre all’eventuale invalidità del provvedimento, i rimedi più appropriati sembrano quelli di natura disciplinare ed eventualmente penale nei confronti del funzionario che ha violato il divieto.

124 M.S. GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, op. cit., paragrafo 4.

125 Un esempio attualmente vigente nel diritto italiano è quello degli ordini nell’ambito

dell’organizzazione militare. Si veda G. MASUCCI, Procedimento amministrativo, a cura di M. CLARICH, G. FONDERICO, Milanofiori-Assago, Wolters Kluwer, 2015, p. 104.

126 M. RIVALTA, La motivazione degli atti amministrativi in relazione al pubblico e privato interesse,

Milano, Giuffrè 1960, p. 191

127 A. ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità,

I. 7. La forma della motivazione. Esternazione del motivo e