TABLEAUX. CONFIGURAZIONI DELLO SGUARDO NELL'OPERA
2.1. Le figure dell'immaginazione
“Quanto mi offrite è soltanto bello, ciò che invento è sublime” (Juliette, vol. 1, p. 373).
Il ruolo svolto dalle quattro narratrici delle 120 giornate di Sodoma rivela la peculiarità della concezione sadiana di piacere. La sala del castello di Silling mette letteralmente le narratrici – e metaforicamente, suggerisce Barthes (1971, p. 134), la Parola – su un trono. Dominato dal racconto, lo spazio si trasforma in un teatro che fornisce occasione non solo di mimesis ma anche di praxis: le passioni, le pratiche fisiche dei libertini si legano indissolubilmente all'estasi
dell'immaginazione, al piacere mimetico cui i signori sono indotti dalla condizione di uditori dei racconti delle attrici. Sono le storie a eccitare la fantasia, a creare nella mente dei libertini lo stimolo da soddisfare nel contatto con le vittime.
In diversi punti della sua opera Sade ribadisce che l'immaginazione vale più dell'esperienza, che ciò che si trova nella natura è solo un simulacro rispetto a quel che può produrre la mente quando essa viene lasciata correre libera1. L'esaltazione dell'immaginazione – “quasi [...] la parola sadiana per linguaggio” (Barthes, 1971, p. 20) – ribadisce la sovranità assoluta della mente libertina, che non dipende da nessun elemento esterno per la ricerca del proprio piacere2.
Manifestazione di un potere interiore assoluto e incontenibile, l'immaginazione si presenta come un criterio di elitismo che distingue l'eroe sadiano da quello che Georges Bataille (1957b, p. 169) definisce l'“uomo normale”. L'immaginazione del libertino è superiore a quella ordinaria sia perché riconosce in se stessa la fonte del piacere del soggetto sia perché è capace di adeguare qualsiasi realtà alla propria volontà e interpretazione. Come racconta padre Clément ne La nuova Justine, per il libertino l'immaginazione è uno specchio deformante, un'ottica attraverso la quale può appropriarsi a piacimento, rileggendolo e rimodulandolo, del mondo che lo circonda. Ciò che appare brutto, eccentrico, sbagliato, immorale, disgustoso o perverso per l'uomo normale, passando attraverso il filtro di un'immaginazione superiore diventa meraviglioso e eccitante3.
1 Un rapido esempio da La nuova Justine (vol. 2, p. 194): “Lasciando tutto all'immaginazione, l'eccitamento è stato maggiore”.
2 In tali rivendicazioni si percepisce naturalmente la voce di uno scrittore costretto per ventisette anni in prigione, ma la loro caparbietà e insistenza (anche al di là dei periodi di detenzione) non permette di ricondurle a una motivazione solamente biografica o psicologica.
3 La pur lunga citazione merita forse di essere riportata in nota: “Gli oggetti hanno valore ai nostri occhi unicamente e in proporzione a quello che vi mette l'immaginazione: è dunque assai possibile […] che non soltanto le cose più stravaganti ma anche le più vili e orrende, possano agire su noi assai sensibilmente. L'immaginazione dell'uomo è una facoltà della sua mente, in cui, tramite l'organo dei sensi, vengono rappresentati, modificati gli oggetti, e quindi formati i pensieri, in base alla prima impressione di quegli oggetti. Ma l'immaginazione, essa stessa risultato del tipo di organizzazione di cui è dotato l'uomo, adotta gli oggetti ricevuti in questo o quel modo, e crea quindi i pensieri in base agli effetti prodotti dall'urto degli oggetti percepiti. […] Non hai mai visto, Justine, degli specchi di forme diverse? alcuni rimpiccioliscono gli oggetti, altri li ingrandiscono, questi li rendono brutti, quelli bellissimi. Ora, non credi che, se ognuno di quegli specchi unisse la facoltà creatrice a quella oggettiva, darebbe dello stesso uomo che si specchiasse in esso un'immagine totalmente diversa? e tale immagine non sarebbe secondo il modo con il quale lo specchio ha visto l'oggetto? Se alle due facoltà che abbiamo attribuito allo specchio, sommassimo quella della sensibilità, non avrebbe esso per quest'uomo, visto in tale o talaltra maniera, la specie di sentimento che gli sarebbe possibile concepire in
Davanti a Padre Clément Justine mantiene il solito contegno di chi insiste a non capire. Justine non è all'altezza della vertigine della filosofia libertina. La sua principale funzione diegetica come personaggio è di rappresentare la prospettiva limitata dell'essere umano senza immaginazione, costretto a scontrarsi con la forza imperiosa di energie fisiche e mentali al di fuori della sua portata.
Di fronte alla potenza dell'immaginazione la scrittura stessa si pone come ostacolo. Sono frequenti i momenti in cui Sade riflette sull'inadeguatezza del piano dell'espressione, incapace di tradurre le sue visioni. Il passaggio dall'immaginazione alla parola finisce per dimostrare quanto limitata sia la seconda rispetto alla prima. Oltre al narratore, anche i personaggi di Sade denunciano la medesima impotenza a rendere l'idea di ciò che vedono o hanno visto, di ciò che provano o hanno provato. Il flusso libidinale oltrepassa in ogni caso le capacità del dire.
Non si tratta tuttavia di sancire solamente le difficoltà della scrittura. Anche la comunicazione per immagini viene convocata, per essere bocciata, all'esame dell'immaginazione sadiana. Il passaggio chiave a questo riguardo è contenuto in Juliette, dove, di fronte a uno dei tableaux vivants che i libertini si apprestano a progettare, la protagonista del romanzo esclama:
Ah! Qui sarebbe stato necessario un illustratore, per trasmettere alla posterità questo quadro voluttuoso e divino; ma la lussuria, che troppo rapidamente colmò i nostri attori, non avrebbe forse concesso all'artista il tempo di coglierla. Non è facile per l'arte che non ha movimento realizzare un'azione di cui il movimento costituisce l'anima, ed ecco ciò che fa dell'illustrazione l'arte più difficile e ingrata (vol. 1, p. 183, traduzione modificata).
Secondo Juliette, quindi, la pittura possiede dei requisiti (la capacità di visualizzare i quadri composti dai libertini) che la narrazione scritta non può
base al tipo di soggetto che esso ha percepito? Lo specchio che lo avrà visto brutto lo odierà; quello che lo ha visto bello lo amerà; e tuttavia si tratterebbe dello stesso individuo. Tale è l'immaginazione dell'uomo, Justine: il medesimo oggetto si presenta sotto tante forme quanti sono i differenti modi; e, secondo l'effetto ricevuto dall'immaginazione, e non ha importanza quale sia l'oggetto, essa è spinta ad amarlo o ad odiarlo. […] Non è assolutamente strano, quindi, che ciò che piace agli uni possa spiacere agli altri e, reversibilmente, che la cosa più straordinaria e la cosa più mostruosa trovi i suoi adepti” (La nuova Justine, vol. 1, pp. 258-259,
restituire, ma in compenso perde la caratteristica fondamentale del movimento (l'“anima” dell'azione) che il romanzo sa conferire alle scene4.
Se tanto il linguaggio scritto quanto l'immagine appaiono inadeguati a restituire la potenza delle visioni che popolano la mente di Sade, una prima strategia per uscire dall'impasse è tentare di combinare i due linguaggi: è lo stesso linguaggio scritto che deve farsi immagine, quadro, tableau: “Il gruppo sadiano frequente è un oggetto pittorico o scultoreo: il discorso coglie le figure di lussuria non solo disposte, architettate, ma soprattutto, fissate, inquadrate, illuminate; le tratta da tableaux vivants” (Barthes, 1971, p. 141).
Con il termine “tableaux” (“quadri”, “figure”, “scene”, “spettacoli”) vengono denominati in Sade dei raggruppamenti di persone che praticano atti voluttuosi o si dispongono collettivamente per la soddisfazione di una passione. Proponendosi di dare una connotazione plastica e figurativa alle scene erotiche, il tableau si basa sull'iscrizione del corpo all'interno dello spazio dello sguardo e su una configurazione architettonica nella disposizione dei corpi: “i gruppi erotici sadiani, con i loro corpi portanti, le loro verticali, le aggiunte e le loro articolazioni si dispongono spazialmente attraverso una rete di metafore che trasmutano le loro parti in elementi di fortificazione o di architettura sacra” (Kozul, 2005, p. 44).
Alla base della concezione dei tableaux vi è la teorizzazione teatrale di Denis Diderot (v. Champarnaud, 1992) per la quale, in una rappresentazione equilibrata e ben concepita, ogni scena si può fermare e fissare in un quadro5. Secondo la definizione dello stesso Diderot (cit. in Champarnaud, 1992, p. 111), “una disposizione di personaggi sulla scena così naturale e così vera che, resa fedelmente da un pittore, mi piacerebbe sulla tela, è un tableau”. Oltre al teatro anche il romanzo, cercando il piacere estetico “in una certa forma di immobilità pitturale” (ibid.), può fare riferimento a questa teoria estetica.
Alcuni esempi di tableaux sadiani:
4 Avremo modo di approfondire quest'aspetto, ma è già il caso di rilevare come, in questo senso, il cinema, arte delle immagini in movimento, sembrerebbe costituire la forma espressiva ideale per rispondere alle richieste di Juliette.
5 Sade possedeva nella sua biblioteca privata le Oeuvres de Théâtre de M. Diderot, avec un
A seguito delle mie cure, le ragazze fanno tornare in tiro gli uomini e io vengo fottuto ancora due volte da ognuno. Faccio passare il cazzo in ogni culo, sistemo diversi quadri [tableaux], e Caterina si tocca mentre mi guarda (Juliette, vol 2, p. 189, traduzione
modificata).
“Che gruppo delizioso!” dice la sgualdrina presentando il suo didietro a un quinto personaggio. “Tieni, amico, eccoti il culo, uniamoci al tableau, formiamo uno dei suoi episodi” (Juliette, vol. 2, p. 294, traduzione modificata).
Mi sembra che ci debbano entrare due o tre cazzi in più nel tableau che disponete (cit. in Champarnaud, 1992, p. 115).
“Andiamo bene così, Dolmancé?” DOLMANCÉ: “Augustin si volti un po' a destra, non vedo abbastanza il culo, si pieghi in avanti: voglio vedere il buco” (La filosofia nel boudoir, p. 235).
“Ma manca qualcosa al quadro [tableau]: Rosalie, monta Marthe, e mettiti in modo che possa manipolare insieme i vostri due culi”. Per un attimo il quadro [tableau] resta fisso. Ma Rodin aveva troppi desideri, troppa immaginazione per non variarlo prontamente. Ed ecco come si sistemano (La nuova Justine, vol. 1, p. 133, traduzione modificata).
Attraverso i tableaux il corso della narrazione sadiana viene dirottato, immobilizzato: le figure intervengono a interrompere la logica discorsiva per “disegnare” un quadro. Si assiste a un passaggio continuo dal racconto a forme di didascalia che fermano la narrazione per svolgere una funzione pittorica. Permettendo una cristallizzazione, una brevissima pausa contemplativa, tale fissità sembra un requisito indispensabile al godimento libertino:
Una volta che la composizione è equilibrata e fissata, il tableau permette al personaggio di arretrare per vedere, di testimoniare di una fase della messa in scena del proprio fantasma. In questo movimento dove indietreggia per vedere e vedersi, il soggetto è doppiamente presente: il desiderio appare come un surplus dell'essere. La fissazione sull'immagine, sia nel senso psicologico sia statico della parola, e la sua iscrizione narrativa permettono l'articolazione della coscienza e del godimento, della riflessione e della sensazione. Il
tableau iscrive il fantasma sulla scena e sottomette alle sue leggi gli elementi di realtà che
essa contiene. In Sade non si tratta più della teatralità di fare scendere il fantasma nel paese della realtà ma di promuovere quest'ultima sottomettendola all'impero del fantasma (Kozul, 2005, pp. 193-194).
Il movimento narrativo che, dopo l'attimo di contemplazione, sblocca la fissità del tableau riattiva la dinamica del desiderio e costringe il quadro a variare e la scena ad assumere la forma di una suite di figure: “Non si immagina con quale leggerezza... con quale rapidità si eseguivano tutte le varianti della scena: non dovevamo aspettare un minuto. Sotto le nostre bocche, le fiche, i cazzi, i culi si succedevano tanto prontamente quanto il desiderio” (Juliette, vol. 2, p. 150, traduzione modificata).
Per permettere alla narrazione di specificare tutte le possibili percezioni provate dai corpi, è richiesto un principio d'ordine che ne sorregga la base. Il tableau viene disposto, organizzato e variato all'interno di un regime rigoroso, razionale rispetto allo scopo. È l'ordine a sorreggere il movimento. L'edificazione estetica è pianificata e diretta, non lasciata all'arbitrio di un'improvvisazione casuale.
La funzione del mantenimento dell'ordine è spesso svolta da uno dei protagonisti dei romanzi, che svolge il compito del regista teatrale. Questo ruolo è evidenziato in modo particolare ne La filosofia nel boudoir, dove Dolmancé assume allo stesso tempo l'incarico dell'educatore sessuale, dell'istruttore filosofico e del metteur en scène. La necessità di tale mansione, del disciplinamento del gesto, è esplicitamente riconosciuta dai protagonisti dei romanzi. La signora di Saint-Ange (La filosofia nel boudoir, p. 90) esclama: “Mettiamo, vi prego, un po' d'ordine in queste orge, ci vuole, anche nel delitto e nell'infamia”; Delbène (Juliette, vol. 1, p. 53): “Mettiamo ordine ai nostri piaceri, che non se ne gioisce che fissandoli”. La regia calibrata e la regolamentazione (come insegnano i numerosi regolamenti libertini, a partire dal più famoso, contenuto nelle 120 giornate di Sodoma) sono condizioni indispensabili per il piacere.
L'esatta concatenazione dei quadri erotici trasmette l'“energia visuale” (Sauvage, 2007, p. 11) del testo pornografico anche grazie a strumenti ottici che mettono costantemente in scena lo sguardo dei personaggi e il loro punto di vista sui tableaux. Per facilitare e allo stesso tempo complicare il gioco riflessivo, gli spazi sadiani prevedono la presenza di specchi attraverso i quali i libertini possono vedere inquadrati in una rifrazione esterna se stessi, il quadro nel suo complesso, oppure dei particolari che non sarebbero visibili senza l'utilizzo di dispositivi ottici. Amplificando gli effetti spettacolari della composizione, la godibilità della
scena diventa totale. Un dialogo da La filosofia nel boudoir (p. 47, traduzione modificata) spiega in modo didattico all'inesperta Eugénie questa funzione:
EUGÉNIE: Mio Dio! che deliziosa nicchia! Ma perché tutti questi specchi?
SIGNORA DI SAINT-ANGE: Perché, ripetendo i gesti in mille prospettive diverse, moltiplicano all'infinito gli stessi piaceri agli occhi di chi li gusta su questa ottomana. Nessuna parte dei corpi in questo modo può rimanere nascosta: bisogna che tutto sia in vista; sono altrettanti gruppi raccolti intorno a coloro che l'amore unisce, altrettanti imitatori dei loro piaceri, altrettanti quadri deliziosi, di cui la loro lubricità si inebria e che servono per completarla.
EUGÉNIE: Che invenzione deliziosa!
Le parole d'ordine sono moltiplicazione (dei punti di vista e dei raggruppamenti di corpi) e onnivisibilità (Hénaff, 1978, p. 129). Gli eroi sadiani dimostrano di essere dei bulimici della visione, ansiosi di vedere tutto e di trovare nelle immagini nuove motivazioni per la loro lussuria. La riflessività serve inoltre a riprodurre quadri nel quadro, a inserire nella rappresentazione ricercati effetti di mise en abyme:
Parallelamente alla sovrapposizione dei livelli di rappresentazione (enunciazione del progetto o del modello da seguire, esecuzione o imitazione – immediata o differita –, rendiconto) si mette in opera una mise en abyme delle passioni. La Nouvelle Justine gioca, come Le centoventi giornate di Sodoma, su questo effetto di imbottigliamento e di moltiplicazione grazie alla presenza di specchi e di altri soggetti di arredamento che stabiliscono dei legami tra il dire e il fare, tra il fare e la ripetizione del fare (Sauvage, 2007, p. 90).
Il libertino – cui piace porsi al centro del salone, “condurre la sua orgia in mezzo ai riflessi” (Barthes, 1971, p. 126) – ha dunque a disposizione sia la visione diretta del tableau sia la riproduzione che gli forniscono gli specchi. Si viene a creare “una sorta di cubismo” (Champarnaud, 1992, p. 120): l'immagine è vista sotto tutti gli angoli, simultaneamente. “Il dispositivo mira [...] a rendere lo spazio assolutamente circolare nell'onnivisibilità, a garantire la chiusura della scena e il suo dominio da parte dell'occhio libertino” (Hénaff, 1978, p. 129). Il cerchio, che prevede il corpo di una vittima posta al centro con i libertini che vi si dispongono
attorno, si afferma inoltre come una figura sadiana ricorrente. Esso dimostra simbolicamente la coesione della sfera libertina e delimita precisamente lo spazio dell'interazione, distinguendo tra ciò che è interno al loro circolo e ciò che rimane al di fuori.
Quali sostituti testuali di descrizioni iconiche, i tableaux si presentano come una proposta di lettura, un modo per rendere leggibile il desiderio. Lo scritto si appoggia al visuale per creare immediatamente una percezione nella mente del lettore. La scrittura ambisce in questo modo a realizzarsi come un “prodotto dell'immaginazione dotato dello spessore e dell'immediatezza del reale, una rappresentazione mentale […] la cui chiarezza rivaleggi con la realtà vissuta come lo fanno il sogno o il fantasma” (Kozul, 2005, p. 27). Sade scommette in un superamento della pittura per mezzo della scrittura, considerata definitivamente come una forma espressiva superiore6.
Il testo originale (pubblicato nel 1797 in dieci volumi) de La nouvelle Justine ou les Malheurs de la vertu suivie de l'Histoire de Juliette, sa soeur contiene cento incisioni erotiche che ritraggono dei gruppi sessuali. Omologhe ai tableaux scritti, le illustrazioni si rivelano tuttavia inadeguate a confrontarsi con la vertigine della parola stampata, caratterizzate come sono dalla staticità del loro essere “in posa”: “l'immobilizzazione dei corpi dentro l'immagine asfissia il movimento nell'estetizzazione, edulcora la scena rappresentata” (Abramovici, 2001, p. 131). Fornendo poche o nessuna informazione aggiuntiva rispetto al testo, le figure restituiscono la sensazione che non ci sia “niente da vedere al di là del potente linguaggio di Sade” (Airaksinen, 1995, p. 140). I “quadri di parole” si dimostrano più evocativi delle illustrazioni, che soddisfano solamente una curiosità grafica. Le incisioni, con la loro “simbolizzazione incitativa” (Kozul, 2005, p. 191), risentono inoltre di un problema generale della comunicazione pornografica, ovvero quello di forzare l'impianto rappresentativo e il punto di vista al fine di mostrare, in modo spesso inverosimile e contraffatto, le zone erogene.
6 Felicitandosi di un passaggio contenuto in un libro (scritto dallo zio, l'Abbé De Sade, sulla loro antenata Laura amata da Petrarca), Sade, in una lettera, esalta la poesia in contrapposizione al ritratto: una “giusta gerarchia” delle arti – così si esprime Sade – pone la letteratura in una posizione di superiorità rispetto alla pittura (cit. in Roger, 1976, p. 116).
Con la loro inadeguatezza, le figure finiscono quindi per confermare la direzione verso cui si muove la scrittura sadiana: non lo sguardo di uno spettatore esteriore ma la luce interiore che Sade chiama immaginazione.