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Silling / Selliny: l'età dell'oro

SILLING. IL CASTELLO

4.2. L'âge d'or di Luis Buñuel 1. Il surrealismo, Sade e Buñuel

4.2.3. Silling / Selliny: l'età dell'oro

Il castello di Silling / Selliny viene introdotto da un montaggio analogico che unisce in una dissolvenza due immagini che un cartello dichiara “contemporanee”: un cuscino di piume bianche che Modot lascia cadere dalla finestra della villa e una coltre di neve. Un piccolo movimento di macchina ci fa scoprire, in campo lunghissimo, un castello immerso tra ghiacci perenni, in cima a una roccia inaccessibile. Il suo portone, unica apertura verso l'esterno, accosta un dirupo. Accompagna questa visione il sottofondo musicale percussivo, marziale e metafisico, dei tamburi di Calanda23.

Da un ponte levatoio esce uno dei signori, che il cartello afferma essere il perfido Duca di Blangis. Abbigliamento e acconciatura lo rendono immediatamente identificabile con la figura di Cristo24. È il primo ad uscire dal castello. Lo seguono gli altri tre libertini in abiti settecenteschi. Si sorreggono a bastoni, sembrano spossati. Una ragazza, una delle vittime, che si protende ancora viva dalla soglia del castello, costringe Blangis/Cristo a tornare indietro, a rientrare con lei nella fortezza. La macchina da presa, fissa, rimane all'esterno. Ascoltiamo un urlo di dolore lanciato dalla ragazza. Blangis, ora senza barba, esce da solo e raggiunge gli altri libertini. Si incamminano per un sentiero. L'ultima inquadratura del film, sul fondo musicale di un allegro pasodoble, mostra una croce innevata su cui sono appese delle parrucche.

La scelta del fuori campo per la scena della violenza perpetrata da parte di Cristo/Blangis ai danni dell'ultima vittima è di certo significativa. La macchina da presa non entra nel castello per mostrarci tale violenza. Quello che percepiamo è soltanto un grido.

Difficilmente si può interpretare questa opzione di regia come un'espressione di delicatezza nei confronti della vittima (e dello spettatore): Buñuel ha dimostrato altre volte (anche all'interno de L'âge d'or, ad esempio nella scena in cui il volto di Modot si copre di sangue) di non volersi fermare davanti alla rappresentazione della violenza. Tale gesto ci pare piuttosto rispettoso del libertino, della sua

23 L'accompagnamento riprende il ritmo ossessivo tenuto dai tamburi durante il venerdì santo nel paese natale di Luis Buñuel: “Mi sono servito di quei battiti profondi e indimenticabili in parecchi film, e particolarmente in L'âge d'or e Nazarin” (Buñuel, 1982, p. 29).

24 L'attore che lo interpreta, Lionel Salem, impersona Cristo in diverse altre produzioni dell'epoca.

ricerca di solitudine all'interno del castello, della sua volontà di scarto. Buñuel sembra proteggere la solitudine del libertino dall'intrusione di uno sguardo estraneo, difenderne la brama di chiusura accanita25. Lo sguardo del regista rispetta la separazione che un preciso spazio del castello, la segreta, pretende già etimologicamente. La vittima, privata di visibilità, perde così anche la possibilità di essere compatita.

Il problema della configurazione etica dello sguardo eccede infatti ogni dicotomia: il guardare e il non guardare assumono una diversa connotazione a seconda di come li si inquadra (anche letteralmente) all'interno del racconto. Non mostrare il gesto della violenza non implica necessariamente una relazione etica con l'oggetto dello sguardo, un rifiuto di “restare a guardare”: in questo caso, ad esempio, il fuori campo si conforma al desiderio del personaggio malvagio, che può rimanere solo con la vittima e dare sfogo a una violenza di cui ci perviene solo una traccia acusmatica. Rinunciando ad ogni testimonianza, la violenza sprofonda nello spazio dell'invisibilità. Chiudere gli occhi o girare la testa di fronte al momento della morte è funzionale agli interessi del personaggio sadiano, non un atto pietoso nei confronti della vittima. Lo spettatore si trova costretto a ragionare sul tema dello spettacolo della sofferenza, sull'opportunità o meno di fermare su di essa il suo sguardo26.

Alla solitudine, all'isolamento spaziale, si somma un'altra funzionalità decisiva del castello, ovvero quella della creazione di una sorta di curvatura del tempo. Il particolare tipo di spazio e l'appropriazione del medesimo da parte dei libertini stabiliscono infatti un luogo temporale che non corrisponde a quello del mondo esterno e non risponde alla sua logica. È come se il peso della presenza dei libertini producesse una gravità propria: non solo lo spazio ma anche il tempo

25 In diverse altre occasioni del cinema di Buñuel ritorna l'edificio chiuso in cui il libertino trova riparo, come nelle case-castelli-ville-fortezze di El, Estasi di un delitto, Diario di una

cameriera (Le journal d'une femme de chambre, 1964), Bella di giorno, Tristana (id., 1977), Quell'oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du désir, 1977).

26 Un momento che rappresenta in modo particolarmente drammatico questo dilemma, in cui la presenza dello sguardo diventa un problema teorico, è quello dell'esecuzione capitale. Anche qui l'antinomia tra guardare e non guardare (e l'eticità dell'una e dell'altra opzione) non si risolve in modo facile o univoco: sia la scelta della visibilità sia quella dell'invisibilità si rivelano nei fatti “sbagliate”. Come scrive Brighenti (2007), l'invisibilità contemporanea della pena di morte è inquietante per l'idea di arcana imperii che essa comunica. All'opposto, però, lo spettacolo delle esecuzioni pubbliche non offre certo un'alternativa percorribile: “l'esercizio del potere è sempre un esercizio di attivazione selettiva di in/visibilità. […] Se […] l'invisibilità è sinistra, la visibilità non è forse meno rivoltante” (p. 339).

trovano conseguentemente una conformazione peculiare, una curva. Il tempo del castello si contrappone ad ogni linearità, alla consequenzialità, alla comune percezione dello scorrere dei giorni, degli anni e degli secoli. La perversione del tempo interna allo spazio del castello è la stessa che ritroviamo in numerosi passaggi sadiani, fra cui la notevole Passione 31 citata sopra, in cui l'azione si svolge all'insegna del salto e della simultaneità.

La mancanza di continuità tra i diversi capitoli de L'âge d'or si può leggere proprio come il prodotto della distorsione creata dallo spazio di Selliny. Sarebbe tale piega spazio-temporale creata dall'entrata nel castello sadiano a lasciar intravedere la possibilità di ingresso in un'età dell'oro che, com'è chiaro, non è attribuibile a nessuno dei sei capitoli del film considerato nella sua autonomia, colmi come sono di violenza (che, benché liberata, non garantisce evidentemente nessuna mitica promessa di felicità), insoddisfazione, impossibilità a risolvere l'enigma del proprio desiderio27. L'età dell'oro è invece il prodotto di una curvatura dello spaziotempo che rende indistinguibile presente, passato e futuro. E consente così al libertino di abitare un tempo suo proprio, quello che viene definito da Furio Jesi (1979, p. 127) il “presente assoluto dell'orgia”: “Quando si parla dell'ebbrezza dionisiaca e dell'erotismo orgiastico dionisiaco, non è possibile trascurare questa consacrazione del presente, che è al tempo stesso lacerazione e gioia, passaggio: superamento dei limiti. L'esperienza erotica dell'orgia è, appunto, il più crudo e doloroso presente assoluto”.

In Sade l'organizzazione delle 120 giornate di Sodoma – basata sull'attualità, su una simultaneità che si disinteressa del passato e non ambisce a un proprio

27 Naturalmente il titolo del film – astratto ed enigmatico, senza particolari riferimenti alla trama, come spesso accade nel cinema di Luis Buñuel – rimane aperto a una serie di piste di interpretazione, dai riferimenti al Quijote di Cervantes e alla Gold Rush di Chaplin rilevati da Sánchez Vidal (1993, pp. 20-23) sino alle suggestioni di Salvador Dalì che proprio nel 1930 scrive ne L'âne pourri (cit. in Weiss, 1989, p. 164): “e non sappiamo veramente se la tanto desiderata 'terra dei tesori' non è nascosta sotto i tre grandi simulacri: merda, sangue e putrefazione. Da connoisseur dei simulacri, sappiamo da tempo come riconoscere l'immagine del desiderio dietro i simulacri del terrore, e anche il risveglio delle 'età dell'oro' dietro gli ignominiosi simulacri scatologici”. Riferimenti scatologici sono peraltro esplicitamente presenti in una scena de L'âge d'or che alterna lava e inquadrature della toilette di Lya Lys. In ogni caso, l'età dell'oro di Buñuel non rappresenta certamente un mondo pre-violento in cui il lupo abita con l'agnello. In Sade, e poi in Buñuel, ogni purezza originaria è “violentemente atea, e comunque in nessun modo assimilabile al mito cristiano dell'Eden; anzi in Sade, e perciò in Buñuel, la ricerca dell'anima profonda delle cose e dell'uomo si realizza in senso antireligioso” (Bernardi, 1984, p. 107).

superamento da collocare nel futuro – annulla ogni concezione di tempo. In modo paradossale, questa distanza da ogni idea di ricordo e da ogni volontà di investimento nel domani induce il presente a ibridarsi con il passato più mitico, quello dell'età dell'oro, e allo stesso tempo a proiettarsi in un futuro che Furio Jesi descrive come un aldilà della specie. Il castello di Silling si propone come una macchina del tempo che viaggia contemporaneamente nel passato e nel futuro.

Il castello o il monastero, isolati dal resto del mondo, sono i nuclei del mondo futuro: simboli di una fondazione d'una futura età dell'oro, della quale si può dire soltanto che nascerà dalla contraddizione sistematica dell'umano, e dell'umanità come specie. […] Il passato […], per sopravvivere, dev'essere dimenticato e cioè durare nel presente. Il presente in cui vive Sade ha dimenticato il passato [dell'età dell'oro, NdR], e Sade lo deplora; ma la fatalità di quell'oblio che appare come una degenerazione (i divieti religiosi e sociali) consente a chi si isola dal presente – nel castello o nel monastero – di vivere il passato e di fondare il futuro. Da questo punto di vista, i simboli dei “luoghi inaccessibili” in cui si compiono “mostruosità” permettono a Sade di spiegare quasi didascalicamente il processo dimenticare/sapere, spezzando la simultaneità delle due esperienze e isolando – gli uni nel “mondo”, gli altri nel “castello inaccessibile” – coloro che hanno dimenticato da coloro che sanno. L'elemento di contraddizione nel comportamento dei personaggi di Sade è, come l'essenza del dionisismo, ciò che con la sua sola presenza impone il pensiero dell'aldilà. Ma l'aldilà di Sade non è un convenzionale regno ultraterreno, bensì – in termini temporali – l'aldilà della specie umana: l'età dell'oro o la “forma” alla quale urge il Nulla (Jesi, 1979, pp. 134-135).

Presente, passato e futuro trovano dunque una loro fusione paradossale. Lo schiacciamento che viene prodotto nella Storia permette di sciogliere il presente della rappresentazione (il 1930) nel passato del XVIII secolo in cui scrive Sade e ancora nel passato anteriore, il tempo evangelico in cui vive Cristo.

Buñuel, attraverso l'immagine finale del Cristo-Blangy, fornisce un suo peculiare senso al movimento della storia, al progresso dell'umanità attraverso il tempo. Non esistono un prima e un dopo, Cristo e Blangy si sommano in un'unica persona, i personaggi possono indossare indifferentemente abiti settecenteschi e tuniche dell'era di Cristo. La sequenza finale non sarebbe dunque solo, come rileva Linda Williams (1981, p. 131), “la più condensata di tutte le sezioni del film” ma anche il condensato di tutto il film, l'espressione finale di una visione

che dona coerenza al pensiero cinematografico espresso ne L'âge d'or nella sua interezza e ai salti logici e spazio-temporali cui si assiste lungo tutta la pellicola. Così delineata, l'età dell'oro costituisce, come scrive Gilles Deleuze (1983, p. 149) a proposito del cinema di Buñuel, un mondo originario che si pone al contempo come “inizio radicale e fine assoluta”. Si tratta di un “mondo di una violenza molto particolare (per certi versi, è il male radicale); ma ha il merito di far sorgere un'immagine originaria del tempo, con l'inizio, la fine e la pendenza, cioè con tutta la crudeltà del Crono” (p. 150). Il mondo originario “brontola e tuona” (p. 151) in fondo a tutti gli ambienti in cui si svolge il film, si prolunga sotto di essi, straripa, li assorbe. L'âge d'or scandisce tutti gli sviluppi dell'umanità e li agguanta, appena ne escono, nel suo abbraccio primordiale: “il mondo originario è un inizio di mondo, ma anche una fine di mondo, è la pendenza irresistibile dall'uno all'altro” (ibid.). La pendenza diviene ripetizione, curva, paradosso dello spaziotempo. Il modo in cui, nell'ultima inquadratura del film, i personaggi si sbarazzano dei costumi e dei trucchi sembra ribadire che il futuro, ogni idea di rendere rediviva l'età dell'oro, è un aldilà della specie umana. Ogni comportamento che abbia come prospettiva la sofferenza e la morte (un'uccisione o un'attività sessuale estranea al perpetuarsi della specie) rappresenta in questo senso una sadiana via verso la futura età dell'oro.

L'inquadratura della croce innevata sulla quale stanno appese parrucche come scalpi mostra un futuro da dove l'umanità è sparita. Di essa rimangono solamente dei ricordi posticci. Nello stesso momento in cui suggerisce l'esperienza del nulla, l'“ateo per grazia di Dio” Buñuel depone una croce pietosa sul destino dell'umanità, condannata all'estinzione per lo stesso motivo per cui, alla fine dei conti, la vede condannata Sade. Ogni desiderio è bloccato. A tenere in scacco l'umanità non è solo un ordine sociale stabilito dagli uomini e in quanto tale riformabile (“Francesi, ancora uno sforzo...”), ma la natura stessa dell'essere umano, incapace di dare realtà al proprio desiderio e di essere all'altezza della propria immaginazione.

4.2.4. Reazioni

I visconti de Noailles, proprietari del manoscritto originale delle 120 giornate di Sodoma e finanziatori de L'âge d'or, organizzano a partire dall'estate del 1930, quando Luis Buñuel ha appena terminato di montarlo, alcune proiezioni in anteprima del film da loro sovvenzionato28. Gli intellettuali e aristocratici che lo vedono, in una piccola saletta privata della residenza parigina dei de Noailles in Place des Etats-Units, manifestano il loro apprezzamento. Con il proposito di estendere la capacità della platea il visconte organizza per il 22 ottobre dello stesso anno una matinée presso il Cinéma du Panthéon, anch'essa a invito.

La riproduzione (in Bouhourse e Schoeller, 1993, p. 83) di una mappa della sala con l'indicazione dei nomi degli invitati accanto alle poltrone mostra come si mescolino uno a fianco all'altro le amicizie aristocratiche dei de Noailles e uno schieramento sbalorditivo di intellettuali, scrittori, registi, artisti. Molti di loro appartengono naturalmente all'area surrealista; si notano inoltre le presenze di diversi studiosi di Sade; e vi sono naturalmente nominativi che sommano entrambe le appartenenze. Tra i nomi scritti a mano si decifrano quelli di Pablo Picasso, André Gide, Antonin Artaud, Joan Miró, Georges Braque, Gertrude Stein, Maurice Ravel, Robert Desnos, Max Ernst (anche attore nel film), Constantin Brancusi, André Malraux, Alberto Giacometti, Georges Bataille, Michel Leiris, Carl Dreyer, Yves Tanguy, André Thirion, André Breton, Paul Eluard, Maurice Heine, Salvador Dalì, Gala Eluard, Jean Prévost, Marcel Duchamp, Fernand Leger...

Raccontano le cronache che gli spettatori d'estrazione nobiliare manifestano all'entrata un interesse affettuoso nei confronti dei de Noailles, mentre all'uscita li salutano gelidamente o se ne vanno a sguardo basso. È il primo indizio di uno scandalo creato principalmente dall'ultimo episodio del film. L'indomani Charles De Noailles è messo alla porta dal Jockey Club.

M. de Noailles e Buñuel firmano un contratto con il Cinéma Studio 28 di Montmartre, specializzato nella programmazione d'arte e d'avanguardia, per organizzare un ciclo di proiezioni pubbliche del film, la prima delle quali si tiene

28 La ricostruzione si basa prevalentemente sulla preziosa curatela di Bouhourse e Schoeller (1993), che raccoglie documenti e articoli d'epoca e soprattutto la corrispondenza tra Luis Buñuel e Charles De Noailles.

il 28 novembre 1930. Viene messo in vendita nel foyer un libretto di sala contenente una breve novellizzazione de L'âge d'or (scritta da Salvador Dalì), la trascrizione di didascalie e dialoghi, la lista delle musiche, un piccolo saggio sul film redatto collettivamente dal gruppo surrealista (tra cui Aragon, Breton, Eluard, Sadoul, Tzara...), alcune illustrazioni surrealiste, un elenco degli acquerelli e disegni esposti negli spazi dello Studio 28, un catalogo di libri surrealisti, alcuni precedenti programmi della sala cinematografica.

De Noailles si preoccupa di segnalare al proprietario della sala, Jean Mauclaire, due importanti correzioni al testo del libretto, da ristampare opportunamente emendato: nella scena lungo il mare non viene schiacciato un cane (come scrive Dalì, fedele alla sceneggiatura) ma un insetto; va inoltre eliminata la riga che segnala: “Il conte di Blangis è evidentemente Gesù Cristo”. La reazione alla proiezione privata al Cinéma du Panthéon spinge evidentemente il visconte a cautelarsi. In una lettera (in Bouhourse e Schoeller, 1993, p. 92) che gli scrive Dalì in risposta a questa richiesta, l'esplicitazione del riferimento a Cristo viene motivata dal fatto che la frase è ad uso e consumo di chi avrà modo di leggere il libretto di sala senza vedere il film, dove la constatazione è autoevidente. La ristampa non avrà tuttavia luogo, impedita dai caotici eventi successivi.

Il 3 dicembre 1930 la proiezione allo Studio 28 è infatti sconvolta dall'intervento di un gruppo di giovani – forse della Ligue des Patriotes, forse Camelots du Roi d'ispirazione monarchica, in ogni caso appartenenti a movimenti di estrema destra nazionalista, clericale e antisemita. Una cinquantina di militanti presenti in sala, a partire dal momento in cui nel film si vede un ostensorio in un contesto profano, gettano inchiostro contro lo schermo e distruggono parte delle foto e delle opere d'arte surrealiste. Interviene la polizia. Alcuni manifestanti sono arrestati. Sullo schermo viene incollato un foglio bianco per coprire l'inchiostro. La proiezione riprende.

Nei giorni successivi le rappresentazioni si svolgono sotto la stretta sorveglianza delle forze dell'ordine. Jean Mauclaire esegue i tagli immediatamente richiesti dalla prefettura, nelle due scene in cui compaiono, a bordo mare, dei vescovi e poi i loro scheletri. Successivamente gli viene ordinato di eliminare la scena con Cristo. Il gestore si difende dicendo che non vi è nel film nessun riferimento

diretto a Cristo, così la prefettura si accontenta di chiedere che venga cancellata la citazione presente nel testo del programma, come peraltro auspicato da De Noailles.

A creare ulteriore pressione sull'entourage de L'âge d'or arriva una protesta ufficiale presso il Ministero degli affari esteri da parte del Consigliere dell'Ambasciata italiana a Parigi, che reclama l'intervento della censura a fronte dei panorami di Roma mostrati nel film e soprattutto della presenza di un personaggio con i baffi e di bassa statura che alluderebbe in forma ironica a re Vittorio Emanuele di Savoia.

In seguito all'infondata accusa rivolta a Buñuel di aver presentato una versione mutilata al primo esame della censura, l'11 dicembre il film torna in visione presso una commissione d'appello. Sin dal giorno precedente le proiezioni vengono interrotte. Viene ordinato il sequestro del film.

Nel gennaio 1931 il gruppo surrealista redige collettivamente un breve pamphlet in difesa del film, “L'affaire de 'L'âge d'or'” che si conclude con un “questionario” aperto alle risposte dei sostenitori. Le domande, quasi tutte retoriche, vanno da: “L'interdizione de L'âge d'or costituisce un semplice ulteriore abuso di potere della polizia oppure fornisce la prova dell'incompatibilità del surrealismo con la società borghese?”; a “L'impiego della provocazione per legittimare un intervento ulteriore della polizia non è un segno di fascistizzazione?” (p. 116).

L'affaire, divenuto oramai un caso internazionale, ha implicazioni sulla sfera pubblica come nessun'altra azione surrealista. Il rumore dello scandalo arriva negli Stati Uniti, dove nel frattempo si è trasferito Buñuel, che legge sul Los Angeles Examiner un resoconto delle vicende legate alla sua opera. Il visconte de Noailles e lo stesso Buñuel, preoccupato per il clamore che tocca il buon nome del suo finanziatore29, vogliono porre fine alla vicenda facendo sparire le copie del film, contro l'interesse di Jean Mauclaire, che si era pesantemente indebitato per adeguare la sua sala al sonoro e lotta per il diritto a riproiettarlo. Una clausola del contratto firmato da quest'ultimo prevede però la cessazione del diritto di

29 Si parla persino di una minaccia di scomunica papale, ma David Duez (2000), in base a dei documenti ritrovati nell'archivio dell'arcivescovado di Parigi, dimostra che si tratta solo di una diceria pubblicata sui giornali dell'epoca (e spesso riprodotta nei libri sul cinema di Buñuel).

proiezione in seguito a un'interruzione degli spettacoli. Tale combinazione di eventi segna il fallimento dello Studio 28.

La rassegna stampa sul film30 mostra che L'âge d'or finisce nell'occhio del ciclone per il suo (effettivo) attacco contro “la religione, la patria e la famiglia” e il suo (presunto) “bolscevismo”. In nessun atto d'accusa gli viene imputata l'ascendenza