SILLING. IL CASTELLO
5.2. Marquis di Henri Xhonneux
Assumendo come punto di riferimento la figura di un Marchese rinchiuso alla Bastiglia, Marquis celebra in modo del tutto particolare, nel 1989, il bicentenario della Rivoluzione francese. Diretto da Henri Xhonneux, il film è co-sceneggiato dallo stesso regista belga e dal pittore e illustratore francese Roland Topor, che cura anche la direzione artistica e disegna le “creature originali”: Marquis è infatti interpretato da attori che recitano con delle maschere e dei costumi animali, che conferiscono al racconto una forte carica allegorica e grottesca. Le maschere mobili, animate con la tecnica dell'animatronics, permettono agli interpreti di
assumere diverse fisionomie facciali e arricchiscono la recitazione di una grande libertà espressiva. Forse per motivo di questo riferimento al mondo animale, il film è dedicato, oltre che al marchese de Sade, al conte di Buffon, il grande naturalista settecentesco. In Marquis sono inserite anche cinque brevi sequenze di pura animazione, con dei pupazzi in plastilina che si muovono in stop-motion. L'azione iniziale si svolge nel 1788. Nella Bastiglia è detenuto un personaggio, detto il Marchese (presentato sotto l'aspetto di un cane), incarcerato per aver defecato su un crocifisso. La fortezza ospita inoltre Justine, una mucca arrestata via lettre de cachet dopo che è stata ingravidata dal re; un criminale comune, un porco accusato di traffico di salumi; e l'ex capo della polizia del re, sulla cui liberazione contano le forze rivoluzionarie per portare avanti la loro causa. Tra gli altri personaggi, il governatore della Bastiglia (un gallo); l'Abate del carcere (un cammello), che scopre i testi pornografici scritti dal Marchese e li pubblica clandestinamente, con grande successo, con il nome di SADE (Sans Adresse De l'Expéditeur); e una mucca di nome Juliette, una prostituta dalla quale il governatore, un debosciato, si fa masochizzare. Le trame rivoluzionarie incrociano le vite di questi abitanti della Bastiglia, al punto che il 14 luglio 1789 segnerà i destini, di morte o di libertà, di ognuno di loro.
Il Marquis viene presentato come un personaggio schizofrenico, in dialogo continuo con il suo pene. Quest'ultimo, anch'esso animato, ha una personalità del tutto autonoma e un nome, Colin. Molte righe di dialogo si concentrano sul suo conflitto con il Marchese, ovvero sul dualismo tra mente e corpo. Mentre il Marchese scrive, Colin lo controlla, vigilando affinché non metta in fila troppi verbi. Il Marquis gli risponde: “Non darmi consigli di stile. Accetto se mi dai delle idee, di tanto in tanto, ma sono io che scrivo”. Ma una tensione ironica tra il Marchese e Colin corre lungo tutta la sceneggiatura: “È la mia testa che ti comanda? O sei tu che comandi la mia testa?”, chiede il primo. “Questione spinosa”, risponde giustamente Colin. Anche il seguente dialogo coglie uno dei temi chiave della scrittura sadiana:
Colin: – Tutto il tuo corpo mi appartiene... E anche i tuoi cinque sensi.
Marquis: – Senza la mia immaginazione, le tue sensazioni sarebbero altrettanto insipide quanto le rêverie di Jean-Jacques Rousseau.
Colin: – Anche la tua immaginazione, sono io che la comando. Marquis: – Questo resta da provare.
La relazione tra Marquis e Colin definisce la prigione come uno spazio masturbatorio. Non solo il gesto auto-erotico viene mostrato esplicitamente, ma esso dà anche il (parodico) titolo a uno dei libri che il Marchese scrive alla Bastiglia (“Les Infortunes de la veuve Poignet”, modo di dire gergale per masturbazione). La mano scrivente viene così associata alla mano masturbatoria, la scrittura, “attaccata al corpo erotico” (Frappier-Mazur, 1991, pp. 91), presentata come un supplemento all'onanismo. La penna si dimostra un simulacro del fallo, e viceversa.
L'interazione tra uomo e pene assume inoltre spesso una dimensione teatrale, nella forma scenica con cui si svolgono i dialoghi ma anche, in modo esibito, quando il Marquis fa recitare Colin dentro un teatrino appositamente costruito. Questa piccola rappresentazione riduce ai minimi termini il dispositivo teatrale: un palcoscenico in miniatura, un unico attore e un unico spettatore. Lo spettatore è inoltre autore e regista della pièce che viene messa in scena: suggerisce le battute, corregge la recitazione di Colin, se la prende perché declama il testo “come se leggesse un almanacco”.
Un altro nodo di interesse legato all'aspetto teatrale è riscontrabile nel rapporto tra il governatore e la sua amante Juliette. Come in ogni relazione masochista ciascuno dei due recita infatti una parte – quelle tradizionali della dominatrice e del bambino indifeso. Juliette mette in opera sulla pelle del governatore alcune delle torture che legge in un volume di SADE appena messo in commercio – ad esempio la cinquantottesima delle passioni di terza classe o criminali dalle 120 giornate di Sodoma. La prostituta, che in realtà è una dei leader rivoluzionari, spinge l'artificio tanto in là da proporre al governatore di condurla alla Bastiglia. Il gioco della tortura e del masochismo entra così nel luogo simbolo dei soprusi monarchici, nello spazio della tortura che non è gioco. Il carceriere diventa vittima delle stesse torture che impone professionalmente. L'inquietante sovrapposizione produce un interessante scontro tra realtà e finzione, dimensione oppressiva e ludica, lavoro e tempo libero, ribalta e retroscena.
Juliette si conferma come un personaggio dalla carica rivoluzionaria, dinamico, in contrapposizione alla passività di una Justine senza utilità sociale, concentrata sulle sue sventure, destinata alla morte. Masochizzare è un atto politico: Juliette dimostra di essere la più concreta ed efficace dei leader rivoluzionari. Ma anche l'azione che porta Marquis in prigione è politica: lui stesso la definisce una “presa di posizione poetica”, un gesto performativo-ideologico. In questo senso è molto coerente la richiesta che viene fatta al Marchese di cedere alle avance di un guardiano della Bastiglia (un ratto che lo concupisce da molto tempo) al fine di liberare gli altri detenuti e in particolare l'ex capo della polizia del re. “Mi proponete di inculare qualcuno in nome della libertà?!?”, chiede scettico il Marchese. Anche la sodomia è un gesto politico. Ogni azione erotica e artistica sembra assumere una dimensione performativa che spinge verso la res publica, la caduta della Bastiglia, la Rivoluzione. Il comportamento (apparentemente) privato del Marchese (e di Colin) implica una presa di responsabilità pubblica dalle conseguenze che non coinvolgono solo il corpo dei due attori, poiché da loro dipendono le possibilità di successo rivoluzionario delle masse.
La distinzione tra pubblico e privato viene a saltare, da qualunque punto la si guardi: il comportamento sessuale del governatore crea involontariamente problemi al regime; quello del Marchese li crea volontariamente. Ne è un'ulteriore dimostrazione la conclusione del film, che mostra il distacco tra il Marchese e Colin: la “parte privata” vuole raggiungere la scena pubblica, scendere in piazza, unirsi a Juliette (sono loro due alla fine a dimostrarsi i veri rivoluzionari) e sostenere un cambiamento sociale che viene dunque definito così come una questione di corpo, di emozioni e di istinto più che di testa e di ragione.
Il nucleo di attrazione principale del film è rappresentato tuttavia dalle cinque sequenze di animazione pura realizzata in plastilina con la tecnica dello stop-motion. All'interno del cinema sadiano, esse sono tra le scene che con maggiore forza riescono ad avvalorare la carica immaginativa della scrittura di Sade.
La prima animazione mostra un gruppo di quattro uomini che penetrano una donna con un ariete, sventrandola. Le corna dell'ariete si trasformano in serpenti. La seconda sequenza illustra un episodio in cui viene torturata una donna incinta. La voice over del Marquis che improvvisa la scrittura di questo episodio riprende
e riassume un preciso passaggio da La nuova Justine (vol. 1, p. 220). La sceneggiatura recita:
La donna di vent'anni, incinta di tre mesi, è posta da loro su un piedistallo di sette... no, otto piedi di altezza. Non potendo posare che una sola gamba, è obbligata a tenere l'altra per aria. Per sostenersi le viene data una pertica flessibile. Da una parte l'interesse che ha di non lasciarsi andare, dall'altra l'impossibilità di mantenere l'equilibrio. È questa alternativa che diverte i monaci, riuniti tutti e quattro intorno a lei. Ciascuno di loro ha una o due donne che li eccita, in vari modi, durante questo spettacolo. Benché incinta, la sfortunata resta in equilibrio per circa un quarto d'ora. Alla fine le mancano le forze. Essa cade sulle spine, e i nostri scellerati, ubriachi di lussuria, vanno a offrire per l'ultima volta sul suo corpo l'abominevole omaggio della loro ferocia.
La citazione del testamento di Sade (“Le tracce della mia tomba spariscano dalla superficie della terra, come mi auguro che la mia memoria si cancellerà dallo spirito degli uomini”7) e la lettura di un testo sul movimento perpetuo della natura, sull'indifferenza del crimine, sul continuo variare delle forme accompagnano la terza animazione, che mostra un cimitero dove viene sepolta una bara. Dal punto di interramento emergono due gigantesche gambe femminili che si scuotono nel cielo. La quarta animazione rappresenta una visione del Marchese nella sua cella: le zampe di un ragno si trasformano in gambe di donne che ballano il can can. L'ultima animazione mostra il Marchese che scava un tunnel. All'uscita, sotto la luna piena, trova una foresta composta da statue di donne nude dalla testa a forma di osso. A una di esse il Marchese morde il seno.
L'immagine visualizza tutte queste scene con un'enorme forza evocativa. L'animazione mantiene tutta la violenza del gesto sadiano ma la trasfigura e la prosciuga. Il corpo figurato dei pupazzi animati permette alla rappresentazione di allontanarsi da ogni obbligo referenziale per avvicinarsi a un altro tipo di corrispondenza. La capacità che André Bazin attribuisce al surrealismo di Buñuel di “raggiungere il fondo della realtà” (1951, p. 206) è applicabile anche a quello di Topor, in grado di dare lucida espressione ai contenuti più inquietanti di un'immaginazione sconfinata. Liberata in tutte le sue potenzialità dall'animazione, l'arte trasforma in segno visivo la fantasia sadiana conservandone tuttavia i tratti
materici, la brutale fisicità della scrittura. La morte/non-morte del personaggio animato – che può passare attraverso innumerevoli trapassi per ricomparire indenne nella scena successiva8 – permette di rappresentare il testo sadiano facendo perno proprio sulla sua irrappresentabilità letterale, sulla necessità di transitare per lo spazio dell'immaginazione, che in questo caso assume la concretezza della plastilina. “La figura animata è sprovvista di referente, come se si creasse da sé […]. Al punto che si può pensare che non è tutto il corpo che manca all'animazione bensì uno dei suoi registri, quello del soma” (Tomasovic, 2007, p. 55).
Questo “corpo asomatico”, parto dell'immaginazione e non della natura, illumina con una chiarezza davvero rara l'essenza del corpo sadiano. Diversamente dai corpi reali, quelli animati riescono a reggere l'urto della sfida alla rappresentazione visuale della violenza e del corpo sessuale contenuta nell'opera di Sade. Nessun corpo umano può adeguarsi alle richieste della scrittura sadiana, a meno che non accetti di intraprendere un inevitabile percorso di trasfigurazione che prima gli sottragga l'anima e poi gliela restituisca attraverso un effetto, reale o metaforico, di animazione.