Sulla posizione masochista abbiamo appena concentrato la nostra attenzione. Si parla qui di uno spettatore che desidera provare dolore per ricavarne qualche tipo di piacere. Di fronte a un testo che assume dunque il ruolo dello pseudo-sadico, lo spettatore masochista può trovare piacere nelle lacrime o nell'abbandono al sentimento della paura. Non sono certo solo i rifugi del cinema di genere a fornire ospitalità allo spettatore masochista, che può evidentemente accostare con la stessa predisposizione anche film d'autore o documentari la cui sofferta fruizione può generare compassione, emozione e spavento, così come fornire (dolorose) conoscenze e informazioni o spingere all'azione.
Nelle situazioni in cui manca o si rompe il patto masochistico, quando lo spettatore è indifferente all'assenso del corpo (violato) rappresentato, ci sembra che non rimanga altra scelta se non quella di recuperare la possibilità di una relazione con il testo a tutti gli effetti sadica. L'esempio più immediato è costituito dallo spettatore dei (presunti) snuff movies o dei mondo movies: in particolare nel primo caso, a costituire l'attrazione del film e a procurare eccitazione nello spettatore è proprio la resistenza dell'oggetto della visione a prendervi parte11. Questa posizione spettatoriale di tipo sadico è certamente minoritaria: “ben pochi hanno voglia di identificarsi con un voyeur, soprattutto quando filma una scena di agonia o linciaggio” (Jullier, 1997, p. 125)12.
La terza tipologia che vogliamo proporre è quella dello spettatore ludico. Questo soggetto non trova piacere nel subire su di sé il pseudo-sadismo del film
11 Con riferimento alle pratiche di diffusione di video o fotografie in cui sono ritratti, a loro insaputa, individui o gruppi in situazioni generalmente intime o private, Lauren Langman (2004, p. 209 e ss.) parla di “sguardo intrusivo”. Questo specifico tipo di sguardo, strettamente voyeurista, è di certo parente di quello sadico appena delineato.
12 Si pone sulla stessa falsariga anche lo psicologo sociale Dolf Zillmann (1998, p. 195): “Assumiamo la posizione non-ortodossa che la soddisfazione della curiosità nei confronti della violenza, anche nella sua forma estrema di curiosità morbosa, generalmente non dà luogo a reazioni piacevoli. Se si escludono i sadici, che potrebbero provare piacere nel vedere, ad esempio, lo smembramento di una persona, un'esposizione a scene di violenza distruttiva che sia guidata meramente dalla curiosità induce stress e apprensioni paurose”.
(spettatore masochista) né cerca una rottura del patto tra voyeur ed esibizionista (spettatore sadico). Il suo rapporto con il tema della violenza è invece inserito in un contesto di completo distacco: la violenza della finzione viene considerata esclusivamente all'interno del suo quadro enunciativo. Con essa si intrattiene dunque un rapporto ludico o ironico13. Si inserisce in questa posizione il tipico spettatore del cinema horror – giovane, maschio, disincantato (cfr. Zillmann, 1998).
Per richiamare la tipologia tratteggiata da Agostino, una quarta categoria può essere costituita da uno spettatore curioso, che si avvicina alle immagini del corpo violato in cerca di sensazioni fresche che colpiscano il suo occhio. In relazione ai contesti dello sport e del tifo, questa pulsione viene definita dai sociologi Elias e Dunning (1986) “ricerca di eccitazione all'interno di una società non-eccitante”. Il quinto e ultimo tipo potrebbe essere denominato – raccogliendo uno spunto di Jacques Rancière (2008) che parla di “image pensive” – spettatore meditativo. La presenza di forti elementi riflessivi all'interno del testo spinge tendenzialmente lo spettatore a collocarsi in questa posizione. Si può infatti decidere di affrontare la visione del corpo violato per ragionare sul tema stesso della violenza e della sua rappresentazione. Il lavoro che lo spettatore può e deve fare in relazione a quella che Rancière definisce “immagine intollerabile” è proprio reagire all'insensibilità che rischia di provocare il flusso continuo di immagini di corpi sofferenti proveniente dagli schermi. La prescrizione, per lo spettatore meditativo, consiste quindi nell'inserire l'immagine all'interno di un discorso più ampio, di un dispositivo della visibilità: “il problema non è sapere se bisogna o no realizzare e guardare tali immagini ma in seno a quale dispositivo sensibile lo si fa” (p. 110). Queste posizioni spettatoriali sono quindi di volta in volta definite dall'incontro tra spettatore e testo. Si può ipotizzare, riprendendo le formule di Stuart Hall (1973), che di fronte a un testo che propone un certo tipo di codifica, la decodifica dello spettatore possa essere dominante (il soggetto accetta quindi il tipo di proposta
13 Cfr. le considerazioni di Jullier (1997, p. 128) sul cinema post-moderno: “Quando lo spettacolo della morte era totalmente a carico dello spettatore della Corazzata Potemkin, quando doveva egli stesso farsene un'idea con la mediazione degli occhiali imbrattati di sangue della testimone, l'immagine mentale che nasceva in lui era la stessa del ricordo che avrebbe potuto avere se avesse realmente assistito allo spettacolo del massacro. Sopprimendo l'Altro mediatore, il cinema postmoderno obbliga lo spettatore a sperimentare una ricezione sul piano ludico”.
che gli viene rivolta dal testo), oppositiva (rifiuta la proposta del testo e assume una posizione spettatoriale opposta) oppure mediata (si allinea ad alcuni tratti dell'encoding rifiutandone altri). Un testo può pensare di proporsi ad uno spettatore masochista e invece trovarsi di fronte uno spettatore sadico (o viceversa); creare i presupposti per una visione meditativa e invece trovare nello spettatore una semplice curiosità; cercare uno spettatore ludico e trovarne uno masochista; e così via.
Le cinque tipologie sopra delineate non sono naturalmente né esaustive né mutualmente esclusive, e difficilmente sottoponibili a una verifica empirica:
Lo spettatore sarà incline a regolare e a esprimere sentimenti all'interno del rango di “ciò che ci si aspetta” in risposta a una data scena. […] Gli spettatori sentiranno che è loro richiesta una risposta-espressione normale, a prescindere dalla loro risposta interiore alla scena. Se gli spettatori ritengono che i loro sentimenti interiori rispetto a una scena siano abnormi (ad esempio nel caso in cui uno spettatore provi piacere mentre è testimone di una sofferenza), una sensazione di vergogna può indurli a manifestare, contro il loro stesso senso del piacere, una gamma di affetti più normativa (coinvolgimento, pietà, dolore) (Cartwright, 2008, p. 231).
È proprio su tali questioni – la definizione di ciò che è normativo e ciò che non lo è all'interno del regime scopico – che il cinema sadiano consuma chilometri di pellicola. Nella nostra analisi proveremo di volta in volta a trovare una collocazione per le diverse posizioni spettatoriali qui delineate, che non sono certo fisse, ma conoscono necessariamente vari spostamenti anche all'interno dello stesso testo. Il filo tematico della presenza cinematografica di Sade saprà mettere al centro dell'attenzione proprio gli elementi dello sguardo e della spettatorialità su cui ci siamo focalizzati in questo capitolo.
CAPITOLO 2.