• Non ci sono risultati.

Luis Buñuel: la cella e la villa

SILLING. IL CASTELLO

5.4. Luis Buñuel: la cella e la villa

A introdurre l'episodio in cui Sade, interpretato da Michel Piccoli, compare ne La via lattea di Luis Buñuel, è il seguente dialogo tra un capo cameriere e un suo sottoposto:

– So bene che ci sono sempre stati degli atei, ma sono dei pazzi. Oppure affermano di essere atei ma non è vero.

– Come fa a dirlo?

– Perché è impossibile che un uomo di buon senso sia intimamente e sinceramente convinto che Dio non esiste.

– E perché, signor Richard?

– Perché? La prova è nella Bibbia, nei Salmi, 13, 1: “È l'insensato che dice in cuor suo: Dio non esiste”.

Dopo la dogmatica dimostrazione, che per il cameriere suona “assai convincente”, uno stacco ci conduce in una segreta dove troviamo una figura deputata a rappresentare orgogliosamente la forza dell'insensato. In base alla caratterizzazione del personaggio e all'indicazione contenuta in sceneggiatura possiamo identificare quell'uomo con il marchese de Sade. Collocata all'interno di un film che celebra le eresie, la presenza di Sade è breve ma importante.

Buñuel sceglie di presentare una situazione in cui Sade non è prigioniero ma, svolgendo le funzioni dei libertini dei suoi romanzi, tiene prigioniera una vittima. Questa particolare prigione non si costituisce di conseguenza come tale, ma piuttosto appare come la buia segreta di un castello, lo spazio dei dominī. Vestito di bianco, Sade perfeziona il suo abbigliamento, quasi fosse prossimo a un appuntamento. La vittima, Therèse (è lo pseudonimo che, nella seconda versione di Justine, la protagonista utilizza per raccontare sotto copertura le sue disavventure), è seduta per terra, sanguinante, su un giaciglio di fieno, legata a una caviglia da una grossa catena. Lo stacco tra la fine del dialogo tra i camerieri e

l'inizio del monologo di Sade è minimo. La dissertazione recitata da Piccoli è un collage di citazioni sadiane tratte da Justine (v. Macary, 2004): un monologo di Bressac, un breve discorso di Madame Dubois e l'ultima parte di una dissertazione di Coeur-de-Fer:

Dio non esiste. Tutte le religioni partono da un presupposto falso, Therèse. Tutte suppongono come necessario il culto di un Dio creatore, ma questo creatore non esiste. C'è forse una sola religione che non porti il marchio dell'impostura e della stupidità? Però se fra tutte ce n'è una che merita in modo particolare il nostro disprezzo e odio, non è forse quella barbara legge detta cristianesimo, nella quale siamo stati allevati entrambi? Tu conti su un Dio vendicatore. Disingànnati, Therèse, disingànnati. Questo Dio che tu immagini non è che una chimera. La sua miserabile esistenza si trascina solo nella testa degli sciocchi. È un fantasma, creato dalla malvagità degli uomini, all'unico scopo di ingannarli, o di armarli gli uni contro gli altri. Se questo maestro esistesse veramente, con tutti i difetti con cui ha riempito le sue opere, meriterebbe forse altro che il nostro disprezzo e i nostri insulti? Io credo che se un Dio esistesse, ci sarebbe meno dolore sulla Terra. [...] Non è affatto un crimine dare forma a quelle bizzarre tendenze che ci vengono ispirate dalla natura. No, Therèse, non esiste nessun Dio. La natura basta a se stessa. Questo fantasma deificato nato dalla paura e dall'ignoranza non è che una bassezza rivoltante. Non merita da noi né un istante di fede né un minuto di consolazione. È solo una follia spregevole, che ripugna lo spirito, che rivolta il cuore. Uscito dalle tenebre, dovrebbe tornarvi, per sempre. Ah, se esiste il tuo Dio, come lo odio!

Therèse, pur nella situazione in cui si trova, non finge nemmeno di lasciarsi convincere. Grida: “Dio esiste, Dio esiste!”. La risposta di Sade non è verbale, si condensa in uno sguardo minaccioso. Non è tanto il nome e nemmeno lo statuto di vittima a rendere quella ragazza una Justine, ovvero una giovane che pagherà le conseguenze della sua virtù: a definirla come oggetto meritevole della furia libertina è più di tutto la sua sordità di fronte alle dissertazioni. L'occhiata con cui Sade liquida la sua resistenza restituisce pienamente la potenza dell'uomo sovrano.

Come abbiamo già osservato, a partire da L'âge d'or sono numerosi i riferimenti sadiani nel cinema di Buñuel. Oltre a La via lattea, anche in altri film il regista aragonese usa citazioni o spunti tratti dai testi di Sade – in particolare dal Dialogo tra un prete e un moribondo – per dare sostanza alla filosofia ateista propugnata

dai personaggi. Ne Las aventuras de Robinson Crusoe (1954) Buñuel utilizza il dialogo sadiano per ibridarlo con un contraddittorio tra Robinson e Venerdì già presente in Defoe, dove i due hanno una sorta di disputa “teologica”9; in Nazarin (1958) mette in scena un confronto tra Nazarin e una donna in punto di morte che vede il sacerdote fallire nel suo tentativo di convertirla.

Anche in El (1953) sono presenti frammenti di dialogo sadiano. Ad esempio quello recitato dal protagonista Francisco in cima al campanile dove conduce, con intenzioni ambigue, la sua sposa: “– Ecco i tuoi simili. Da qui si vede quello che sono realmente. Strisciano sul terreno. Viene voglia di schiacciarli con il piede. – Che dici, Francisco? Questo è egoismo puro! – L'egoismo è la prerogativa di un animo nobile. Disprezzo gli uomini. Se fossi Dio, non concederei loro il perdono”. In El si vive un altro momento distintamente sadiano quando Francisco, marito perseguitato da una gelosia che lo ha reso ormai pazzo, si reca a mezzanotte nella camera da letto della moglie dormiente armato di lametta, corda, cotone idrofilo, ago e filo: si allude qui al gesto sadiano iconico, la cucitura della vagina, azione che conclude La filosofia nel boudoir. Se nel romanzo Eugénie con questo atto intende punire la madre per averla messa al mondo, nella pellicola si tratta di impedire il tanto temuto tradimento della donna.

Il maniero di Francisco sembra inoltre possedere alcune delle caratteristiche dello spazio de L'angelo sterminatore (El angel exterminador, 1962), dove i convenuti a una cena sono impossibilitati, per qualche motivo inesplicabile e inesplicato, a uscire dal salone. Anche in El lo spazio trattiene e rinchiude al suo interno la moglie, che vi subisce minacce di violenza fisica. In questo caso a imporsi come uno spazio di prigionia è l'istituzione matrimoniale, che impedisce alla donna di fuggire lontana dal marito e di proteggere la propria incolumità. La casa, lo spazio domestico, in particolare le ville-magioni di personaggi benestanti e alto-borghesi, si caratterizza spesso in Buñuel, sin da L'âge d'or, come una prigione psicologica

9 Trascriviamo alcune battute: “Venerdì: – Se Dio è più forte, perché non uccidere Diavolo e peccato? Robinson: – Beh... vedi, Venerdì: senza il Diavolo non ci sarebbe tentazione né peccato. Il Diavolo deve esistere perché noi si possa scegliere tra il peccare e il resistervi.

Venerdì: – E Dio lascia Diavolo tentare noi? Robinson: – Eh... Sì. Venerdì: – E perché molto

arrabbiare se io peccare?”. Da confrontare con questo estratto dal Dialogo fra un prete e un

moribondo: “Sicché il tuo dio ha voluto far tutto di traverso, soltanto per tentare o provare la

o metafisica, soprattutto per le donne – mogli o ospiti – che si trovano a occuparne le stanze.

CAPITOLO 6.