SILLING. IL CASTELLO
4.2. L'âge d'or di Luis Buñuel 1. Il surrealismo, Sade e Buñuel
4.2.2. L'âge d'or: violenza, eros, civilizzazione
L'âge d'or è il film che apre l'orizzonte di una scrittura cinematografica in cui Sade si pone come co-autore implicito. Diretto da Luis Buñuel e sceneggiato assieme a Salvador Dalì9, L'âge d'or viene finanziato dai visconti di Noailles, mecenati e già illuminati finanziatori, l'anno precedente, di Le mystère du château de Dé di Man Ray10. La circostanza storica, rievocata da Buñuel nella sua autobiografia, racconta che i visconti erano all'epoca proprietari del manoscritto originale delle 120 giornate di Sodoma (acquistato a Berlino nel 1929 tramite la mediazione di Maurice Heine), ritenuto per più di un secolo perduto, smarrito
8 Per un approfondimento complessivo della relazione Sade/Buñuel rimandiamo a López Villegas (1998). Sulla presenza di spunti sadiani sin nella tarda produzione francese di Buñuel v. anche Duprat (2007).
9 Per analizzare la questione della paternità dell'opera e delle attribuzioni delle diverse invenzioni (o, come le definisce lo stesso Buñuel, gag) di sceneggiatura e visive rimandiamo a Bertetto (2001) e allo scambio di corrispondenza tra i due sceneggiatori in Bouhours e Schoeller (1993).
10 Verifichiamo anche qui la presenza di un “castello” (in realtà la residenza dei Noailles sulla Costa Azzurra presso Hyères).
durante i momenti convulsi della presa della Bastiglia, in cui era incarcerato Sade. La scomparsa del lungo rotolo, il primo dei tentativi narrativi del marchese, fa versare al suo autore “lacrime di sangue” (cit. in Lely, 1982, p. 419). All'interno de L'âge d'or Luis Buñuel inserirà un riferimento diretto a questo libro maledetto. Si tratta in assoluto della prima citazione cinematografica di un'opera di Sade. La maggior parte delle letture critiche di L'âge d'or interpreta il film come una lunga riflessione, antropologica e psicoanalitica, sul tema del rapporto tra violenza e civilizzazione, oppure, per dirlo con Paolo Bertetto (2001, p. 105), sulla “mitofania dell'eros e della violenza”, ovvero l'apparizione e l'evoluzione da un tempo remoto fino al presente degli elementi mitologici e simbolici che li accompagnano. Il film è diviso in sei capitoli. Il primo è un prologo entomologico in forma di pseudo-documentario, che mostra alcuni momenti nell'esistenza degli scorpioni in un ambiente secco e roccioso11. Il secondo capitolo mostra la reazione di un gruppo di banditi di fronte all'invasione (apparentemente pacifica) della loro costa da parte del popolo dei “maiorchini” (quattro vescovi seduti tra le rocce). Il terzo capitolo descrive la fondazione di una città per mano degli eredi dei maiorchini conquistatori. Il capitolo successivo fa vedere che quella città è divenuta Roma imperiale e mostra, con forti tratti surrealisti, alcuni momenti di vita urbana. Il quinto, lungo capitolo si svolge durante una festa in una villa borghese, dove una coppia d'amanti senza nome, interpretati da Gustave Modot e Lya Lys, cerca il modo per dare sfogo alla propria passione. È l'epilogo a richiamare esplicitamente Sade mostrando l'uscita dal castello dei quattro protagonisti delle 120 giornate di Sodoma12. I tre lunghi cartelli che lo introducono scrivono:
11 Secondo Paul Hammond (1997) la divisione del carapace degli scorpioni richiama la struttura del film. L'immagine dello scorpione si proporrebbe così come una mise en abyme della pellicola stessa, con una coda velenosa costituita dal riferimento alle 120 giornate.
12 Sulla suddivisione in capitoli (e sul loro numero) non c'è tuttavia unanimità. Sono sei per Bertetto (2001), cinque per Williams (1981) (che considera un capitolo unico la fondazione della città e le successive scene di vita nella Roma imperiale), mentre sono quattro per Tinazzi (1973) e Bernardi (1984) (1. prologo; 2. dai banditi alla fondazione della città alla scene urbane; 3. “amour fou”; 4. castello).
[Primo cartello]. Nel preciso istante in cui queste piume, strappate da mani infuriate, coprivano il suolo ai piedi della finestra, in quell'istante, dicevamo, ma molto lontano di là, stavano uscendo per tornare a Parigi i sopravvissuti del castello di Selliny13.
[Secondo cartello]. Per celebrare la più bestiale delle orge, si erano rinchiusi in questo castello inespugnabile, centoventi giorni prima, quattro noti e profondi scellerati, che non hanno altro Dio che la loro lussuria, altra legge che la loro depravazione, altro freno che la loro dissolutezza, licenziosi senza Dio, senza princìpi, senza religione, il meno criminale dei quali è macchiato di più infamie di quante voi non ne potreste nominare, ai cui occhi la vita di una donna, che dico, di tutte le donne che abitano la superficie del globo, è altrettanto indifferente che la distruzione di una mosca. Avevano portato nel castello, unicamente per servire ai loro immondi disegni, otto ragazze meravigliose, otto splendide adolescenti e, perché la loro immaginazione già corrotta all'eccesso fosse continuamente eccitata, avevano egualmente portato quattro donne depravate che alimentavano incessantemente con le loro narrazioni la voluttà criminale dei quattro mostri.
[Terzo cartello]. Ecco ora l'uscita dal castello di Selliny dei sopravvissuti alle orge criminali. I quattro organizzatori e i capi. Il Duca di Blangis14.
Si intuisce lo sconcerto provocato nel pubblico dell'epoca quando, sparito questo cartello, si vede comparire da dietro una porta la figura di Gesù. È quest'ultima sequenza a rappresentare “l'atto violento surrealista, il pugno nello stomaco, la bestemmia e lo scandalo” (Farassino, 2000, p. 131).
Fa parte del gioco de L'âge d'or la sfida lanciata allo spettatore: trovare le continuità che uniscono i diversi capitoli, ciascuno dei quali elude ogni appartenenza di genere. Viene richiesto un lavoro attivo per riempire le ellissi e ricostruire la soggiacente dinamica narrativa (cfr. Weiss, 2004): lo spettatore è posto di fronte a un “assurdo che gli richiede di interpretare il visibile anche al di fuori della logica” (Bertetto, 2001, p. 126).
L'unico collegamento possibile tra un capitolo e l'altro è attribuibile a una “continuità” spaziale o temporale di matrice surrealista. La spiaggia dove sbarcano i maiorchini è (inspiegabilmente) quella dove sorge la città di Roma; la continuità temporale tra la fondazione di Roma e la sua espansione come grande
13 A causa della difficoltà a decifrare la minuta scrittura di Sade, il nome del castello (Silling nel manoscritto delle 120 giornate), viene trascritto come “Silliny” nella prima edizione del 1904, quella che Luis Buñuel ha occasione di leggere. Il regista deformerà ulteriormente in nome in “Selliny”.
14 Trad. it. tratta dalla sceneggiatura pubblicata in Luis Buñuel, Sette film, Torino, Einaudi, 1989. Il duca viene denominato “Blangy” nella sceneggiatura e Blangis (correttamente, come nel manoscritto della Bastiglia e anche nell'edizione del 1904 letta da Buñuel) nel cartello.
metropoli moderna sembra garantita dagli abiti del protagonista maschile, arrestato mentre si rotola insieme alla protagonista femminile nel fango sulle rocce e ancora sporco quando cammina per la città. Lungo tutto il film, l'improbabilità dei collegamenti spaziali – le rocce degli scorpioni, la costa dei banditi e la città di Roma compongono un'unità di spazio – si somma a quella dei nessi temporali: la certificazione del raccordo tra la festa altolocata e l'uscita dal castello di Selliny è attestata dal cartello “in quello stesso momento”. Ma la festa si svolge in una villa contemporanea mentre lo spazio del castello – dove tre signori indossano abiti settecenteschi e uno, addirittura, una tunica del tempo di Cristo – è medievale.
L'apertura entomologica e il finale sadiano incorniciano un pensiero. Augustín Sánchez Vidal segnala che Buñuel trae le didascalie della sezione sugli scorpioni da un'altra delle sue letture giovanili che considera più formative: i Souvenirs entomologiques di Jean Fabre15: “I due grandi difensori dell'istinto – Fabre e Sade – se la prendono con le barriere che la società ha eretto di fronte al desiderio dei protagonisti” (Sánchez Vidal, 1993, p. 17). Ponendo Fabre e Sade come guardiani in capo e in coda al film, Buñuel sceglie di adottare anche la loro stessa ottica per quel che riguarda la costruzione dei personaggi: protagonisti e comprimari vengono osservati in modo oggettivo, esterno, sotto una lente entomologica; al pari dei personaggi delle 120 giornate, i tipi de L'âge d'or sono privi di ogni reale caratterizzazione psicologica. Ma proprio grazie a questo disegno bidimensionale Buñuel riesce a porre l'accento su tendenze sfuggenti, perturbanti e improvvise, che non delineano superficiali tratti della personalità ma lasciano piuttosto trasparire le tendenze dell'inconscio. L'alleanza tra Fabre e Sade produce così, secondo Sánchez Vidal, un grado di evidenza allo stesso tempo puramente visuale, concentrata sulla manifestazione di comportamenti inspiegabili, e subliminale, ovvero tale da lasciar percepire, al di sotto dei gesti, pulsioni che tuttavia rimangono, in quanto tali, altrettanto inspiegabili.
Nelle prime due società, quella degli scorpioni e quella dei banditi, la violenza si manifesta come l'unico mezzo che garantisce la sopravvivenza. Nel terzo capitolo
15 “Ho adorato i Ricordi di un entomologo di Fabre. Libro che, per la passione dell'osservazione e per l'amore sconfinato per tutte le creature viventi, trovo ineguagliabile, infinitamente superiore alla Bibbia” (Buñuel, 1981, p. 229).
assistiamo alla fondazione di una civiltà. L'ordine sociale è finalmente stabilito, celebrato dalla posa della prima pietra sulla spiaggia da parte delle autorità. È proprio in questo momento identitario e rituale che la violenza cambia di registro, assumendo una nuova dimensione, simbolica. Durante la cerimonia viene scoperta la coppia che amoreggia in modo passionale e incontrollato a pochi passi lungo il medesimo tratto di costa. La (presunta) violenza dell'atto d'amore induce l'istituzione a procedere con l'arresto dei due amanti: il loro comportamento non può (più) essere tollerato. La violenza di Stato deve prendere possesso del campo d'azione. Si assiste probabilmente in questo momento alla nascita dello Stato quale istituzione che detiene, weberianamente, il monopolio dell'uso legittimo della violenza fisica.
La costrizione della Legge sembra tuttavia dar subito luogo a una violenza corrispondente da parte di chi la subisce: Modot, appena arrestato, strattona i suoi guardiani per scalciare un cane e schiacciare poi un coleottero con la suola della scarpa16. L'interruzione dell'amplesso da parte della neonata legge trasforma subito il gesto d'amore in violenza. La fondazione della città avviene dunque in contrapposizione a un atto di espressione della sessualità, il disciplinamento della quale, messo in atto dalla società moderna, è la base su cui essa viene costituita17. Entrambi i gesti primari dell'autodifesa e della riproduzione, agiti da scorpioni18, banditi e coloni, dovranno d'ora in poi confrontarsi con l'istituzione che li norma:
16 La breve sequenza può essere letta come un antecedente del genere pornografico del “Crush fetish”, una parafilia in cui l'eccitazione per lo spettatore deriva dalla visione dello schiacciamento (di solito con il piede/scarpa/tacco, in genere da parte di una donna) di un insetto/piccolo animale/cibo/oggetto. Cfr. “Sex and the City: Crush by Venus and the Japanese Version of the 'Crush Fetish' Genre”, relazione di Laura Sangalli alla IX MAGIS International Film Studies Spring School di Gorizia (10 aprile 2011). Buñuel dichiara (in Pérez Turrent e De La Colina, 1993, p. 71) che solo l'obiezione dell'attore e della troupe l'ha trattenuto rispetto alla sua idea iniziale di far schiacciare a Modot anche il cagnolino.
17 Si confrontino le riflessioni di Foucault e Bataille sul tema del disciplinamento della sessualità. Scrive Foucault (1976, p. 9): “La sessualità viene allora accuratamente rinchiusa. Mette casa. La famiglia coniugale la confisca e l’assorbe tutta nella serietà della funzione riproduttiva. Intorno al sesso si fa silenzio. La coppia, legittima e procreatrice, detta legge; s’impone come modello, rende efficace la norma, detiene la verità, conserva il diritto di parlare riservandosi la prerogativa del segreto. Nello spazio sociale, come nel cuore di ogni casa, esiste un solo luogo di sessualità riconosciuta, ma utilitario e fecondo: la camera dei genitori”. E Bataille (1976a, p. 102): “[la sessualità] avrebbe in sé qualcosa di così sporco e così pericoloso, di così losco, che non si sarebbe potuto affrontarla senza moltiplicare le precauzioni e le scappatoie. A ciò fecero fronte le regole del matrimonio”.
18 Per i quali l'atto della riproduzione coincide con un attacco mortale della femmina ai danni del maschio.
“da questo punto in poi, né il sesso né la violenza possono essere semplicemente una funzione biologica” (Williams, 1981, p. 133).
La rottura tra i due episodi pre-moderni (gli scorpioni e i banditi) e la parte moderna (Roma) è dunque scandita dal passaggio dalla violenza naturale alla violenza istituzionale. Un altro momento del film mostra come la società sappia appropriarsi di episodi di violenza per costruire su di essi il proprio monopolio nell'uso della forza. La città di Roma viene infatti edificata nel luogo esatto in cui i quattro vescovi trovano il loro enigmatico martirio: sulle rocce essi si trasformano in scheletri anche se i banditi, sfiancati da fame o stanchezza, non riescono a raggiungerli e di conseguenza a martirizzarli. Viene così svelata la dipendenza della neonata civiltà dalla violenza che ne consente l'affermazione. Come sottolinea Linda Williams in una delle letture più lucide e profonde del film (1981, p. 135), i vescovi incarnano il paradosso di una civilizzazione che ha bisogno di martiri, che è dipendente dalla violenza che li uccide. La violenza dello Stato deve la sua legittimità al gesto di martirio che le permette di affermarsi: la punizione del colpevole, di chi ha ucciso un santo, autorizza inequivocabilmente lo Stato a dar prova del suo potere coercitivo.
L'ambiguità morale tra santi e criminali e lo scambio di ruoli tra aggressore e vittima è un elemento tipico del cinema di Buñuel19 come della scrittura di Sade: la virtù provoca danni quanto e più del crimine; il crimine, portato all'eccesso, diventa virtuosismo e virtù20. I banditi non riescono ad essere fedeli al loro ruolo di aggressori; le loro potenziali vittime si affermano come i padroni del territorio; i vescovi invasori diventano martiri; Modot, che doveva essere punito per la sua deviazione dalla legge, viene assolto e può permettersi di dare seguito ai suoi
19 O più in generale del cinema sadiano: v. ad esempio Marat/Sade e Šilení.
20 Sulla perfetta sovrapponibilità formale tra etica della virtù ed etica del vizio si veda la famosa riflessione di Jacques Lacan – in particolare nel Seminario VII (1986, pp. 92 e ss.) e nel saggio “Kant con Sade” (1963) – che applica la dimensione morale proposta da Kant nella Critica
della ragion pura alla teoria del godimento di Sade: “Se si elimina dalla morale ogni elemento
sentimentale, se ci viene tolta, se si invalida qualunque guida si possa trovare nel nostro sentimento, il mondo sadiano è al limite concepibile – anche se ne è il rovescio e la caricatura – come uno dei compimenti possibili di un mondo governato da un'etica radicale, dall'etica kantiana” (Lacan, 1986, p. 93-94). “Il fuoco dell'interesse di Lacan risiede nell'inversione paradossale attraverso la quale il desiderio stesso (cioè agire in base al proprio desiderio, senza compromessi) non può più essere addebitato a interessi o motivazioni 'patologici' e incontra così i criteri dell'atto etico kantiano, in modo che 'seguire il proprio desiderio' si sovrappone a 'fare il proprio dovere'” (Žižek, 1998b, par. 3).
comportamenti violenti; i due gendarmi che l'hanno arrestato, paladini dell'ordine, vengono delegittimati dalla loro stessa istituzione quando il tribunale lo assolve. La fusione finale tra Cristo e Blangy, Dio e il divin marchese, il caritatevole e il sadico ribadisce ulteriormente queste considerazioni sull'intercambiabilità dei ruoli di innocente e persecutore: se il sacrificio di Gesù è necessario all'affermazione dell'era cristiana, l'assassinio (e l'assassino) è funzionale all'affermazione di un'istituzione religiosa che, come lo Stato rispetto alla violenza, vuole imporre un proprio monopolio sull'uso della coscienza. “La funzione di Cristo è di essere assassinato benché innocente e la funzione del Blangy di De Sade è di assassinare l'innocente” (Williams, 1981, p. 136). La santità è complementare al sacrilegio che le si oppone.
Il film colloca inoltre fianco a fianco, sulle stesse rocce, due elementi di forte attrazione per una piccola platea di spettatori: gli astanti seguono la fondazione della città e, quasi simultaneamente, si fermano a guardare la copula nel fango dei due protagonisti. A creare tale attrazione sembra essere la stessa spinta voyeurista: i corpi – corpi putrefatti, corpi in amore – costringono il pubblico ad aprire gli occhi e fermarsi a guardare.
L'omaggio alle spoglie dei martiri cristiani si collega e si oppone all'osservazione incuriosita e insieme attratta e scandalizzata degli amanti nel fango. È come se il valore del sacrificio agli ideali religiosi fosse contrapposto all'emergenza (vergognosa e travolgente) della libido più scatenata. Ma il cerchio della gente che si crea non solo rende evidente la contrapposizione dei valori (la tradizione e il sacrificio cristiano contro l'affermazione dell'eros), ma soprattutto mostra anche una spinta voyeuristica ulteriore. La folla osserva la morte e il martirio, e osserva la passione desiderante incontrollata. Thanatos ed eros sono indirettamente legati in una contrapposizione violenta e fortemente ideologizzata (Bertetto, 2001, p. 125).
La riflessione su violenza e civilizzazione rimane centrale anche nel capitolo che ci conduce all'interno della villa altoborghese. Durante la festa assistiamo a due feroci scoppi di rabbia. Nel primo, un guardaboschi, per futili motivi, spara a suo figlio uccidendolo; nel secondo, Modot schiaffeggia la padrona di casa, la marchesa de X: è colpevole di avergli versato inavvertitamente addosso del liquore. Rispetto a questi due episodi, la reazione degli altri invitati alla festa è
significativa. Nel primo caso, attratti dal rumore dello sparo, escono sul balcone a studiare l'accaduto. Disapprovano moderatamente e poi tornano nelle sale interne. Il secondo caso, apparentemente minore, scatena quasi una rissa. Il confronto ribadisce didascalicamente che esiste una violenza legittima o tutto sommato tollerabile e una violenza illegittima e intollerabile. La violenza di un padre nei confronti di un ragazzino disubbidiente è certo, in questo frangente, sproporzionata, ma nondimeno autorizzata, legittimata dall'atto stesso della fondazione della civiltà, con le sue regole che mettono a disposizione dei padri un codice per controllare e regolare il decoro e la rispettabilità familiare. La violenza nei confronti di un'ospitale nobildonna, per quanto veniale, appare invece intollerabile, poiché scalfisce il codice alla cui nascita avevano presieduto, sulla spiaggia dei maiorchini, personalità appartenenti allo stesso mondo altolocato e borghese della marchesa de X.
Posto puntualmente a fianco della violenza, il tema sadiano dell'arbitrarietà delle leggi che la dovrebbero punire rimane fondamentale lungo tutto il film. Benché la violenza sia una presenza costante, il suo significato cambia continuamente in relazione al contesto sociale in cui si manifesta. Legge, violenza, violazione, individualismo si mescolano e si propagano dunque sin dal prologo per contagiare i personaggi umani e le loro relazioni. La violenza è infatti strettamente correlata a un eros che cerca il suo sfogo esclusivamente in relazione ad essa.
In questo senso non si trova conferma nel film della lettura bretoniana21 che interpreta l'amore tra Modot e Lys come un grande esempio di amour fou: “L'esplosione dell'eros […] non è certo delineata nei termini dell'idealismo tardoromantico di Breton, ma è piuttosto connotata da determinazioni più vicine al materialismo e all'erotismo impuro di Bataille” (Bertetto, 2001, p. 119) (v. anche Drouzy, 1978).
21 Si veda il manifesto “L'affaire 'L'âge d'or'”, diffuso nel gennaio 1931, firmato da Maxime Alexandre, Aragon, André Breton, René Char, René Crevel, Salvador Dalì, Paul Eluard, Georges Malkine, Benjamin Peret, Man Ray, Georges Sadoul, Yves Tanguy, André Thirion, Tristan Tzara, Pierre Unik e Albert Valentin (riprodotto in anastatica in Bouhours e Schoeller, 1993, pp. 111-116); ma anche L'amour fou (1937, pp. 87-89), libro in cui Breton cita L'âge
d'or come esempio di esaltazione dell'amore totale; e poi la monografia classica di Ado Kyrou
Il desiderio è uno scatenamento che ci obbliga a rompere l'ordine del mondo che si innalza come barriera, come proibizione tra noi e l'oggetto del nostro desiderio. […] Il desiderio ci espone al rischio totale di cercare l'impossibile; l'impossibilità è il ponte sospeso al di sopra dell'abisso che separa la realtà dal desiderio (Arteta Lusuviaga, cit. in Buñuel, 1991, p. 339).
La difficoltà di espressione di un desiderio così concepito è evidente: alla sua manifestazione si oppone non solo lo stesso ordine del mondo, ma anche l'abisso che separa desiderio e soggetto.
Ne L'âge d'or il desiderio, incapace di realizzarsi, è dunque costretto in diverse sequenze a trasformarsi (o a sublimarsi) in sfogo violento. La pulsione sessuale è tenuta desta soltanto dalla sua interruzione e dalla violenza che essa scatena. Un'interruzione decisiva avviene nel quinto capitolo, quando Modot e Lys sono seduti nel giardino e cercano il modo e il tempo per saziarsi, metaforicamente e letteralmente, l'uno dell'altro. Ma prima un accordo orchestrale, poi una telefonata, poi definitivamente la visita del direttore d'orchestra interrompono la loro solitudine e impediscono ogni passaggio all'atto. Ma anche nei momenti che