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Peter Weiss e Peter Brook: la costruzione scenica

CHARENTON. MANICOMIO

6.3. Marat / Sade di Peter Brook

6.3.1. Peter Weiss e Peter Brook: la costruzione scenica

Peter Weiss (Nowawes, 1916 – Stoccolma, 1982) si afferma internazionalmente come autore teatrale nel 1964 con un lavoro complesso e filosofico: La persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat rappresentati dai filodrammatici di Charenton, sotto la guida del marchese De Sade. Il titolo – che cerca assonanze

10 Foucault (1972, p. 111) commenta così l'importante lettera di “uno dei primi uomini che hanno voluto costruire una scienza positiva della follia, facendo tacere i discorsi della sragione per non ascoltare più che le voci patologiche della follia”: “lui, filantropo della follia, vuole proteggerla dalla presenza della sragione, poiché si rende ben conto che questa esistenza, internata in modo così normale nel XVIII secolo, non trova più posto nell'asilo del XIX; egli domanda la prigione. […] Royer-Collard non comprende più l'esistenza correzionale [all'interno dei “nuovi” manicomi, NdR]; ne cerca il senso dal lato della malattia e non ve lo trova; la rinvia al male allo stato puro, un male senz'altra ragione che la propria sragione: 'delirio del vizio'. Nel giorno della lettera a Fouché, la sragione classica si è chiusa sul proprio enigma; la sua strana unità che raggruppava tanti volti diversi si è per noi definitivamente perduta”.

con i lunghi titoli dei romanzi dell'epoca in cui la pièce è ambientata – viene presto abbreviato, e il testo diventa comunemente noto come Marat / Sade. La trama sta già tutta nel frontespizio: vediamo sul palcoscenico Sade mentre dirige i ricoverati di Charenton che mettono in scena un re-enactment dell'assassinio di Jean-Paul Marat, l'eroe della Rivoluzione francese, l'amico del popolo ucciso nella sua tinozza da Charlotte Corday il 13 luglio 1793. La pièce debutta al Teatro Schiller di Berlino il 29 aprile 1964 per la regia di Konrad Swinarski.

In una Nota sullo sfondo storico del nostro lavoro pubblicata in coda al testo è l'autore stesso a indicare il motivo che l'ha avvicinato ai due personaggi che compaiono nel titolo e al contesto storico della Rivoluzione Francese: “Ciò che ci interessa del confronto tra Sade e Marat è il conflitto dell'individualismo portato alle sue estreme conseguenze e l'idea della rivoluzione politica e sociale” (p. 126). Il testo del Marat / Sade arriva a Londra, in una traduzione di Geoffrey Skelton, tra le mani di Peter Brook, già all'epoca regista teatrale riconosciuto a livello internazionale11. Glielo propone Martin Esslin, drammaturgo della BBC. Peter Brook lo legge in 24 ore e subito se ne innamora. Brook, proprio in questi anni, si è avvicinato e sta lavorando sulla teoria poetico-teatrale di Antonin Artaud, che il regista inglese intende conciliare con l'insegnamento, già assimilato, di Bertolt Brecht12. A Brook interessa in particolare convogliare nel suo lavoro registico la diffidenza di Artaud nei confronti del linguaggio che quest'ultimo ha ereditato dal teatro balinese13. Vuole creare una forma costruita su elementi semplici, sui suoni basilari più che sul linguaggio, un teatro che si sappia confrontare con la morte della parola.

Peter Brook recluta tramite provini un gruppo di attori per un workshop sul teatro della crudeltà. Partendo da esso porta in scena, nel 1964, uno spettacolo – un work in progress che è il collage di alcuni testi e di diversi spunti a carattere performativo – alla London Academy of Music and Dramatic Art. Immerso in tali suggestioni, nel mezzo di questi lavori, il testo del Marat / Sade gli giunge tra le

11 La ricostruzione si basa prevalentemente su Hunt e Reeves, 1995.

12 “Il teatro per Artaud è fuoco; per Brecht è una visione chiara; per Stanislavskij è umanità. Perché dovremmo scegliere l'uno o l'altro?” (Brook, 1987, p. 45).

13 “I Balinesi realizzano con estremo rigore l'idea di teatro puro, dove tutto, concezione come realizzazione, vale ed esiste esclusivamente nella misura in cui si oggettiva sulla scena. E vittoriosamente ci mostrano l'assoluta preponderanza del regista, la cui capacità creativa

mani tempestivamente. Brook vi riscontra le qualità che cerca nella scrittura drammaturgica:

Affinché un dramma sia il riflesso della vita deve avere un movimento costante dal sociale al personale e viceversa; o, in altre parole, dal generale al particolare. […] L'importante non è la distanza in sé, ma il continuo spostamento tra i diversi piani. [...] Per molto tempo si è creduto che l'uso brechtiano della “distanza” fosse in contrasto con la concezione di Artaud, che intende il teatro come un'esperienza soggettiva, immediata e violenta. Non sono mai stato d'accordo; credo che il teatro, così come la vita, sia un conflitto ininterrotto tra impressioni e giudizi: l'illusione e la disillusione sono inseparabili e coabitano nel dolore. È proprio questo che Weiss raggiunge. Tutto nel suo testo […] è concepito per colpire in piena faccia lo spettatore, buttarlo nell'acqua gelata, costringerlo a valutare con intelligenza ciò che gli è successo, dargli un calcio sulle palle e, infine, riportarlo a galla. […] Sembra di essere in una sala degli specchi o in un corridoio degli echi e per cogliere il significato dell'autore dobbiamo continuare a guardare in tutte le direzioni (Brook, 1987, p. 48).

Peter Brook trova quindi nel Marat / Sade un testo che gli permette di sperimentare una sintesi deliberatamente cercata a livello teorico: combinare la consapevolezza dei gesti con l'abbandono alla trance, la lucidità con la follia, il rigore brechtiano con la corporeità artaudiana.

Il regista inglese si preoccupa di migliorare la traduzione del testo affidandone l'adattamento in versi al poeta militante Adrian Mitchell. La Royal Shakespeare Company avanza un'opzione sui diritti. Brook si reca a Berlino al Teatro Schiller per osservare il modo in cui prende vita il testo di Weiss, rimanendo deluso da una produzione che gli sembra troppo statica. La sua intenzione è invece quella di estendere l'azione a tutto il palco, collocando gli internati sul suo perimetro per poi usare la scena come una scacchiera in cui far entrare e uscire in continuazione i pezzi.

Brook non intende tuttavia riprodurre il cerebralismo che indubbiamente caratterizza il testo di Weiss. Fedele all'idea di coniugare il teatro epico brechtiano con il teatro emotivo e corporeo di origine artaudiana, il regista inglese sceglie di insistere sugli elementi di liberazione individuale piuttosto che su quelli politico-rivoluzionari: per raccogliere la sfida lanciata dal testo scritto, i corpi degli attori sono importanti quanto le parole.

Le prove del suo Marat / Sade non partono dal copione ma da un lavoro di gruppo sul tema della follia, su cui stanno iniziando a insistere in quegli anni anche la lotta teorica e politica del movimento anti-psichiatrico. Brook chiede consulenza al fratello psicologo, visita manicomi in Francia e nel Regno Unito, dà in lettura alla compagnia libri di Sade, Artaud, Pound, basa la ricerca delle tonalità dello spettacolo su immagini di Bruegel, Goya e Hogarth. Mostra inoltre ai suoi attori dei film, tra cui un documentario di Jean Rouch sugli stati di trance raggiunti nel corso di un rituale magico in Nigeria (Hunt e Reeves, 1995, p. 86). Queste immagini non vanno imitate, ma servono a incoraggiare gli attori ad andare in cerca dei propri impulsi più nascosti e inquietanti, a rendere visibile sulla scena aspetti della propria realtà interiore che si tende generalmente a seppellire o a smentire.

Il primo giorno di prove del Marat / Sade chiesi agli attori di improvvisare sull'idea che loro avevano della pazzia. Restammo tutti attoniti nel vedere ridicoli stereotipi sulla pazzia espressa roteando gli occhi. Ci rendemmo allora conto che avevamo bisogno di conoscere con maggiore precisione che cosa fosse realmente la cosiddetta pazzia. E così andammo a vedere. Il risultato fu che, per la prima volta nella mia vita, ricevetti i veri shock che derivano dal contatto diretto con le atroci condizioni fisiche degli internati negli ospedali psichiatrici, nei padiglioni geriatrici e, infine, nelle prigioni: immagini di vita reale che i film non potranno mai restituire. Il crimine, la follia, la violenza politica qui mi si paravano di fronte, battevano alla finestra e spalancavano la porta. Non vi era via di scampo. Non era sufficiente restare in anticamera, di qua dalla soglia. Era necessario un altro tipo di coinvolgimento (Brook, 1998, p. 134-135).

Lo sforzo è volto alla liberazione degli attori dal preconcetto di follia, dalla parte che ognuno di loro aveva già in repertorio. Durante le prove ogni attore è libero di far notare all'altro quando le sue azioni sono il prodotto di un cliché. Brook chiede agli attori di parlare di persone con problemi psichiatrici che essi conoscono direttamente, in cerca di immagini della follia dotate di realtà e di movimento. Una volta sviluppata una recitazione convincente e superata la maniera, si alza ulteriormente l'asticella della difficoltà: la follia che gli attori devono recitare non è quella contemporanea, ma quella, ben diversa (o trattata in modo diverso), d'inizio Ottocento.

Occorre non soltanto interpretare con questa chiave la parte del folle, ma anche mantenere la lucidità per tenere testa a un copione caratterizzato da un ragionamento intellettuale molto complesso. La distanza tra l'identificazione con il personaggio e il ruolo da attore è, in questo caso, particolarmente difficile da gestire. Agli attori viene richiesta la capacità e la forza di restituire la costitutiva doppiezza dei personaggi di Weiss, allo stesso tempo internati e attori che recitano una parte: gli attori di Brook devono interpretare, en abyme, un internato che a sua volta interpreta un personaggio storico. Ma i personaggi di internati, durante la pièce, abbandonano talvolta la loro immedesimazione per ritornare ad essere ingovernabili e violenti, o per manifestare i sintomi della loro malattia (indolenza, smemoratezza, depressione, pulsione sessuale incontrollabile...).

La struttura stessa del dramma è costruita su una schizofrenia, sulla sovrapposizione di due circostanze storiche: la Charenton del 1808 e l'assassinio di Marat del 1793. Nella scena conclusiva questa schizofrenia esplode del tutto. Il finale teatrale vede infatti comparire sul palco un direttore di scena in abiti novecenteschi. Sale sul palco e soffia dentro un fischietto per placare la furia dei pazzi. A quel punto gli attori smettono di recitare e si girano verso il pubblico. In risposta ai primi applausi provenienti dalla platea, essi si avvicinano al bordo palco per applaudire a loro volta gli spettatori, ritmicamente, in modo ostile. Il rapporto con un pubblico vivo e vicino, fondamentale per la poetica teatrale di Peter Brook14, si rivela particolarmente importante per rendere compiuto lo sforzo di costruzione del Marat / Sade.

Lo spettacolo debutta a Londra, all'Aldwych Theater, il 20 agosto 1964. La messa in scena, attraverso un lavoro regolatissimo sui dettagli, riesce a comunicare un'idea di caos, e restituisce l'accumulazione che ne ha costituito la preparazione. Il Marat / Sade incontra un deciso successo presso il pubblico inglese ed è ben accolto dalla critica. La regia di Peter Brook viene interpretata come un passaggio coerente all'interno del suo percorso e della sua sperimentazione teatrale. Il 27 dicembre 1965 Brook porta lo spettacolo a New York, dove desta altre reazioni in

14 “Allo spettatore si parla con franchezza, lo si invita a reazioni fisiologiche: se si annoia, non deve nascondersi più dietro sbadigli mimetizzati. Anche perché se il pubblico si annoia, non è mai colpa sua. La cultura cessa con Brook di essere una ragione indiscutibile e superiore, un valore assoluto tale da impedire alla gente di lamentarsi. Rispettata nelle sue istanze sane e fisiologiche di divertissement, la sala possiede un suo tempo proprio, inteso sia come percezione dello spettacolo sia come orizzonte di riferimento” (Puppa, 2005, p. xxix).

prevalenza positive da parte della critica (cfr. Feazell, 1969, pp. 39 e ss.). La rappresentazione parigina (autunno 1966) dà origine ad alcune polemiche, sulla stampa e all'Assemblea nazionale15.

Nel frattempo Peter Brook, nel maggio 1966, aveva realizzato un film a partire dalla messa in scena teatrale. La prima proiezione avviene a New York il 22 febbraio del 1967.