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Per iscritto. Strategie sadiane

TABLEAUX. CONFIGURAZIONI DELLO SGUARDO NELL'OPERA

2.2. Per iscritto. Strategie sadiane

Il racconto sadiano, ponendosi in una “rivalità evidente e dichiarata con i riferimenti visuali” (Bordas, 2010, p. 122), si sforza dunque di portare all'interno del linguaggio scritto le qualità di altre arti. A essere coinvolta non è solo la pittura ma anche la drammaturgia: la narrazione ambisce a conservare il movimento proprio della scrittura per aggiungervi l'immediatezza della rappresentazione pittorica e il dinamismo del dialogo teatrale. È la stessa fedeltà alle leggi dell'immaginazione a costringere il linguaggio a superare i limiti di una forma scritta che tende a proteggere e separare, non prevedendo la possibilità di contatto diretto tra i corpi dell'enunciatore e dell'enunciatario. In contrapposizione a questo dato di fatto, Sade cerca di ricreare una sensazione di co-presenza tra scrittore e lettore avvicinandosi al modello della comunicazione orale o teatrale, che possono contare su un'immediatezza visivo-uditiva, su un'istantaneità che “non soffre l'assenza né l'attesa” (Bordas, 2010, p. 52).

La prediletta forma del dialogo è la prima risposta a questa esigenza. La seconda è costituita dalla continua iterazione dei verbi di percezione – “guarda”, “osserva”, “ascolta”, spesso all'imperativo –, e dall'uso frequente dei punti esclamativi. La scrittura di Sade è denotativa, anaforica, funzionale, figlia di “rabbia dimostrativa” (Hénaff, 1978, p. 8); procede veloce, in cerca di accumulazione, rilanciando continuamente i suoi spunti. La sua urgenza di dire “rende derisorio il lavoro stilistico” (ibid.). Il segno va cancellato a profitto della cosa, il significante disattivato al fine della creazione di un'evidenza. Il principio di efficienza richiesto al testo è misurato sulla base della sua capacità di presa sul corpo. Il piano dell'espressione cerca di assumere su di sé un carattere di realtà, strumentale al raggiungimento di un effetto perlocutorio, quello di suscitare l'eccitazione erotica del lettore.

Se questo è un tratto generico valido per la pornografia nel suo complesso, la differenza sadiana – oltre che nella natura estrema, repellente e quindi quasi sempre anti-erotica dei contenuti – sta nella volontà di incitare il lettore a lasciarsi convincere non solo dalla forza del desiderio fisico ma anche dalla proposta teorico-filosofica che gli viene rivolta dal testo. La scrittura aspira ad adeguare nel suo complesso l'immaginazione del lettore a quella dell'autore, che vorrà ripercuotersi tanto sui corpi dei lettori, creando una serie di effetti pratici che abbattono la distanza imposta dal testo scritto, quanto sulle loro menti (v. Warman, 2002). L'immaginazione si configura come l'origine comune del desiderio e del pensiero.

Le dissertazioni, le lunghe digressioni che punteggiano ciascuna delle opere di Sade, hanno dunque anch'esse, pur in modo diverso, un intento perlocutorio. L'autore, oltre a voler ripercuotere sul lettore una tensione fisica, a volerne mettere in moto il corpo, sente l'esigenza di convincere chi presta orecchio alle sue parole, di convertirlo alla filosofia che sta alla base del suo pensiero. Negli scritti e nei romanzi di Sade tale componente dimostrativa interrompe il corso dell'azione per dar luogo a sterminate orazioni materialiste, libertine, teologiche, anti-clericali, antropologiche, politiche... Il discorso viene inserito proprio là dove solitamente la parola tace: nei luoghi e nei momenti del godimento sessuale o in quelli in cui scoppia la violenza.

Il tempo del discorso non è sottratto al tempo del godimento, ma ne fa parte. La dissertazione “è un oggetto erotico” (Barthes, 1971, p. 133): essa – scrive Sade – “seduce”, “anima”, “sconvolge”, “elettrizza”, “infiamma”. Solo le cattive dissertazioni, apparentemente, tolgono spazio al godimento. Ad esempio quella del Cavaliere di Mirvel, quando prova con scarso successo a confutare un ragionamento di Dolmancé sul disprezzo per il sentimento della pietà ne La filosofia nel boudoir. La Signora di Saint-Ange non ha imbarazzo a dirgli: “Sì, amico mio, fottici bene, ma non tenerci sermoni” (p. 211).

Oltre a costituire un piacere in sé, la dissertazione predispone inoltre un'occasione di accrescimento energetico per il filosofo libertino. Le pause nell'azione ribadiscono il tipo di piacere di cui va in cerca l'eroe sadiano, che non è mai solo fisico ma in ogni caso anche mentale. Le due componenti, la sessualità violenta e

la riflessione, non si oppongono ma si completano: si assiste a un continuo passaggio, senza gerarchie, dalla testa al corpo e dal corpo alla testa. La capacità di immaginazione del libertino è inarrivabile non solo per quanto riguarda la configurazione dei piaceri sessuali ma anche i ragionamenti sulla natura, l'uomo, la società.

L'irrefrenabile vena oratoria del libertino segna ancor più la distanza tra l'uomo sovrano di Sade e una vittima che rimane muta. La logofilia del primo si infrange contro la logofobia della seconda (cfr. Hénaff, 1978, pp. 78 e ss.), silenziosa o balbettante di fronte alle riflessioni filosofiche dell'eroe sadiano, costretta a vivere nel continuo timore che la teoria della crudeltà si trasformi, come quasi sempre accade, in una pratica che la coinvolge. La dimostrazione si identifica così “con la perfetta solitudine e l'onnipotenza di colui che dimostra. […] Il ragionamento non deve essere condiviso dall'ascoltatore a cui lo si rivolge più di quanto il piacere debba essere condiviso dall'oggetto dal quale lo si ricava” (Deleuze, 1967, p. 22). Al veloce spostamento delle suite sadiane si sommano dunque momenti di fissazione, dei fermo-immagine; alle sequenze d'azione vengono contrapposte delle scene meditative e filosofiche; alla velocità temporale con cui viene tratteggiato il quadro complessivo sono affiancati gli innumerevoli passaggi in cui Sade si dedica ai più piccoli particolari. Una percepibile ansia di “dire tutto” rende la scrittura spasmodicamente spinta nella direzione della descrizione minuziosa e del dettaglio, evocato in modo ossessivo come fonte di piacere per i libertini, ad esempio quando il Presidente, ne Le 120 giornate, richiama proprio su questo una delle narratrici:

“Duclos […], non vi era stato forse imposto di arricchire il racconto con particolari più numerosi e più dettagliati? Non possiamo giudicare se la passione di cui state narrando sia in rapporto con le tendenze e con il carattere dell'uomo, sin quando ci nasconderete ogni circostanza, mentre proprio queste minime circostanze risultano estremamente utili per ciò che ci aspettiamo dai vostri racconti e per l'eccitamento dei nostri sensi” (p. 119).

La maggior parte delle passioni hanno come premessa l'accurata descrizione dei personaggi, del contesto, delle regole di vita della comunità libertina dove esse si svolgono. Su questo presupposto si innestano altre componenti fondamentali della

scrittura sadiana: l'organizzazione combinatoria, l'accumulazione, la lista (cfr. Lasowski, 1998) e l'ossessione matematica, ovvero la necessità di contare i corpi, misurare gli organi, tenere il conto degli atti, stilare il bilancio delle operazioni... Nelle loro descrizioni i libertini sono così precisi che sembrano avere “un compasso nell'occhio” (Hénaff, 1978, p. 35)7. La scrittura di Sade è anche un'aritmetica. Il godimento è nell'ordine della quantità. La precisione e la variazione delle cifre intendono aggiungere specificità laddove il racconto non produce che ripetizione. Tale volontà di esattezza costituisce inoltre un modo per rimediare alla difficoltà posta dalla vastità dell'immaginazione, dall'impossibilità di rendere con verosimiglianza le visioni che da essa provengono: la rete di cifre e geometrie serve a imbrigliarla, realizzarla, fermarla sulla carta.

All'interno dell'ordine combinatorio previsto dai riti libertini il dispiegamento di ogni scena passa attraverso quattro operazioni essenziali (Hénaff, 1978). La prima è la programmazione, quando i signori discutono i termini delle loro azioni e ne stabiliscono lo svolgimento. La seconda è l'esecuzione, il passaggio all'atto. Seguono poi le variazioni, di cui il desiderio libertino è insaziabile. Ogni minimo scarto crea differenza, “fonda la singolarità della figura ottenuta” (p. 41), stabilisce una nuova unità e permette di aumentare la somma totale delle variazioni. In particolare all'interno delle 120 giornate le più piccole sfumature dei tratti delle passioni servono a differenziare, a circoscrivere una passione originale, a perpetuare una meccanica della mutazione. La scrittura si sforza di trovare frasi inedite per raccontare azioni apparentemente analoghe. Gesti che appaiono piatti, monotoni, iterativi sono resi vivi dalla ricerca di parole e numeri nuovi. La quarta e ultima operazione essenziale allo svolgimento della logica combinatoria sadiana prevede la fase della saturazione, che si manifesta in due sottospecie. La prima è la saturazione della scena attraverso la somma di un gran numero di personaggi coinvolti nell'azione sessuale, secondo i principi di un'estetica molto vicina a quella barocca, rivista in funzione dell'appello all'esaltazione o all'ubriachezza dei sensi e del “pan-sessualismo” (Boutoute, 1999, p. 37); la seconda specie di saturazione è quella del corpo, di cui vanno tenute impegnate o occupate tutte le

7 Citiamo come esempio un passaggio della Filosofia nel boudoir in cui Dolmancé si preoccupa di informarsi su una penetrazione in corso: “Quanto ne resta fuori, Eugénie? EUGÉNIE: Appena due pollici. DOLMANCÉ: Dunque ne ho dentro il culo undici!” (p. 126, traduzione

parti8. La strategia sadiana prevede dunque la saturazione di uno spazio attraverso un collettivo di corpi basato sulla saturazione di ogni corpo coinvolto nel collettivo: si forma un corpo-gruppo, un meccano del godimento. La saturazione coinvolge inoltre il linguaggio, ridondante, gonfio, che si fa notare per l'eccesso di sinonimi, aggettivi, predicati dell'azione.

Attraverso una scrittura che si costruisce come enfasi e violazione, Sade mira a edificare il sogno di un'“immensa negazione” (Blanchot, 1963, p. 34), di realizzare un crimine assoluto capace di ripercussioni che si protraggono oltre i confini temporali del gesto violento per continuare a colpire persino al di là dell'esistenza terrena del soggetto che lo perpetra:

“Vorrei”, disse Clairwil, “trovare un crimine il cui effetto perpetuo agisca anche quando io non agirò più, in modo che non ci fosse un solo istante della mia vita in cui, anche dormendo, non fossi causa di un disordine qualunque e che questo disordine possa estendersi al punto che ne conseguirebbe una corruzione generale o uno sconvolgimento così netta che il suo effetto si prolungherebbe ancora anche al di là della mia stessa vita”. (Juliette, vol. 1, p. 375, traduzione modificata).

A questa invocazione Sade, attraverso il personaggio di Juliette, trova una risposta ammirevolmente semplice: “Prova con il crimine morale al quale si perviene per iscritto” (ibid.). Si confronti anche questo passaggio da La nuova Justine (vol. 1, p. 269, traduzione modificata):

Come quei perversi scrittori la cui corruzione è così perniciosa, così attiva, che non hanno per scopo, stampando i loro orrendi sistemi, che estendere al di là della loro stessa vita la somma dei loro crimini: non possono più farne, ma i loro maledetti scritti ne faranno commettere; e tale dolce idea, che portano nella tomba, li consola dell'obbligo di rinuncia al male imposto dalla morte.

8 Un esempio dalle 120 giornate (p. 436, traduzione modificata): “25. Utilizza otto uomini contemporaneamente: uno in bocca, uno nel culo, uno sotto l'ascella destra, uno sotto la sinistra; ne masturba uno con ciascuna mano; il settimo è tra le sue cosce, e l'ottavo si masturba sul suo viso”; e uno dalla Nuova Justine (vol. 2, p. 190, traduzione modificata): “Quattro prostituti lo circondavano: uno sosteneva il vaso da notte; il secondo teneva una candela vicino al buco perché l'atto fosse ben illuminato; il terzo gli succhiava il bischero; e il quarto, con in mano un asciugamano bianchissimo, lo baciava sulla bocca”.

La scrittura di Sade, proponendosi con evidenza di realizzare il “crimine morale”, tradisce ogni codice, ogni convenzione della comunicazione; accoglie al suo interno termini inammissibili, rinnega la figura della metafora, sottopone la lingua a una corruzione generalizzata.